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 2010  aprile 15 Giovedì calendario

QUELL’ALGA CI SALVER

Dal Texas alla California sono le microalghe le protagoniste della nuova corsa ai biofuel, l’oro verde che promette di far ripartire l’economia Usa e limitare le emissioni di CO 2 . Quale sarà la nuova Dallas dei biocarburanti lo deciderà il mercato nei prossimi anni, ma già oggi laboratori pubblici e multinazionali moltiplicano gli investimenti per trasformare quelle che fino a poco fa erano maleodoranti mucillaggini nell’energia pulita del futuro. In prima linea ci sono diatomee, alghe verdi e azzurre, ma c’è molta ricerca su nuove specie e c’è già chi pensa agli ogm per aumentare la produttività di olii da cui distillare idrocarburi o di idrogeno.
«Il settore è ancora in una fase pre-industriale, ma ci sono almeno 200 aziende nel mondo che lavorano alla messa a punto di queste produzioni e ciascuna ha il suo organismo preferito» osserva Al Darzins, "principal researcher" del Bionergy center di Nrel, il laboratorio per le energie rinnovabili del governo Usa a Boulder, in Colorado. La ricerca sulle alghe, nella quale il Dipartimento per l’energia statunintense (Doe) aveva investito attivamente negli anni 70 per poi cancellare il programma alla fine degli 80, sta vivendo una vera e propria rinascita. BP e Chevron hanno staccato un assegno pluriennale all’Nrel e lo scorso luglio il gigante petrolifero Exxon Mobil ha annunciato un’iniezione di 600 milioni di dollari in una partnership con la Synthetic Genomics di Craig Venter, lo scienziatoimprenditore e grande visionario del settore, che nei suoi laboratori di La Jolla assicura di aver ingegnerizzato un organismo in grado di produrre direttamente idrocarburi. A catalizzare l’attenzione per il "greggio-verde" è stata anche la nuova amministrazione Usa che con il "Reinvestment and Recovery Act", il cosiddetto "stimulus package", e i programmi del Doe ha messo a disposizione 180 milioni di dollari per progetti sui biofuel da alghe. Ma quella delle alghe non è solo una partita per i grandi gruppi e molte sono le start-up che riscuotono attenzione. La Solazyme di San Francisco siè aggiudicata un contratto da 8,5 milioni di dollari con la Marina Usa per la produzione di biofuel da alghee e, secondo BiofuelsDigest, nel 2009 i venture capitalists americani hanno investito più di 175 milioni di dollari nello sviluppo di biofuel da microalghe. Oltre la metà di questi capitali di rischio sarebbero confluiti nell’area di San Diego, nel Sud della California, dove intorno ai laboratori dello Scripps Research Institute e dell’Università della California si è sviluppato un distretto biotech con oltre 500 aziende, che ha spinto alla creazione dell’SD-Cab (San Diego Center for Algae Biotechnology).
«Le microalghe hanno molti vantaggi per l’industria dei biofuel perché sono capaci di colonizzare moltissimi ambienti diversi e permetterebbero di assorbire la CO 2 dell’aria, oggi considerata un inquinante, trasformandola in carburante grazie alla fotosintesi le cui uniche materie prime sono sole e acqua» spiega Daniel Kammen, advisor per le energie rinnovabili dell’amministrazione Obama e direttore del Renewable and Appropriate Energy Laboratory dell’Università della California a Berkeley. Le microalghe garantiscono rese per ettaro da 10 a 50 volte superiori rispetto alle colture da biofuel tradizionali come palma e soia e necessitano da 50 a 500 litri d’acqua per litro di prodotto finale contro gli oltre mille delle colture erbacee, ma la strada verso la produzione industriale non è priva di ostacoli. «Il primo problema sono le rese, perché oggi siamo ancora tra 10 e 40 dollari al gallone, mentre dobbiamo arrivare sotto i 3 dollari al gallone per essere competitivi – spiega Darzins – per questo la ricerca deve migliorare la resistenza alla colonizzazione delle vasche da parte di organismi indesiderati, ma anche semplificare i processi di estrazione. Dobbiamo inoltre capire meglio quale può essere l’impatto ambientale di queste produzioni su larga scala». «La situazione è molto simile a quella dell’industria del petrolio di 100 anni fa, quando del greggio si produceva solo cherosene e solo più tardi si sviluppò la produzione di plastiche e altre molecole – osserva Robert Hebner, fisico dell’Università del Texas e "lead author" per l’Ipcc nel campo delle energie rinnovabili ”. Oggi si pensa solo ai combustibili, ma ci saranno moltissimi altri sottoprodotti che contribuiranno a rendere sostenibile l’equazione economica del biofuel da alghe.