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 2010  aprile 15 Giovedì calendario

KISSINGER E VITTORINI, LETTERE SULLA LIBERTA’

La lettera è in inglese, su carta intestata Harvard University, datata 9 ottobre 1952: «Uno degli aspetti che mi interessa in modo particolare è la tendenza a resistere ai totalitarismi dal punto di vista culturale e l’abilità dei Comunisti a sfruttare questa tendenza in modo che i più validi rappresentanti della cultura occidentale si trovano schierati in campo Comunista proprio per la loro preoccupazione per quei valori e per la loro volontà di difenderli. Penso che nessuno possa trattare questo problema con più passione e più profondità di voi che ne avete avuto un’esperienza tanto personale». Il destinatario è Elio Vittorini (indirizzo del tempo: via Canova 42, a Milano) e il mittente è Henry A. Kissinger, futuro Segretario di Stato Usa, all’epoca «editor» di Confluence, una rivista collegata all’International Summer School dell’università americana.
I nomi dei corrispondenti rendono assolutamente sorprendente il carteggio. inedito. Alcune lettere di Kissinger (fra cui quella appena citata) sono conservate nel fondo Vittorini, oggi approdato alla Fondazione Apice, e consultato, nel corso degli anni, da diversi studiosi. Che non le avevano mai prese in considerazione.
Alla cieca, come destinatario di un messaggio del genere si indicherebbe Ignazio Silone o Nicola Chiaromonte, i due intellettuali che animarono la sezione italiana del Congress for Cultural Freedom, controparte occidentale delle tante sigle (a partire dall’Alleanza della cultura) create a sinistra in quella che è stata chiamata la «Guerra fredda culturale», dal titolo di un saggio di Frances Stonor Saunders pubblicato in Italia da Fazi. Associazioni finanziate da strutture governative di entrambi i campi contrapposti (a partire dai servizi segreti: Cia e Kgb). Il nome di Vittorini nell’indirizzario kissingheriano fa più effetto. Non è un’icona della sinistra italiana, ma quasi. Ancora nel 1948 aveva declinato un invito a casa Bompiani perché c’era anche Arthur Koestler: «So che non ama incontrarsi coi comunisti… L’incontro potrebbe dunque prendere una piega spiacevole». Certo, i primissimi Cinquanta segnano la rottura fra Vittorini e il Pci, quattro anni dopo la chiusura di Politecnico. A un articolo dello scrittore su La Stampa risponde un velenoso corsivo di Togliatti, alias Roderigo di Castiglia, su Rinascita: il celebre «Vittorini se n’è ghiuto e soli ci ha lasciato», seguito dal meno celebre ma forse più significativo: «Credeva fossimo liberali, invece siamo comunisti». Scrive Nello Ajello, nel suo Intellettuali e Pci 1944-1958 (Laterza): «Proprio in questo periodo lo scrittore siciliano raggiunge il massimo dell’animosità ideologica nei riguardi del Pci, scopre l’insostituibilità delle "libertà cosiddette borghesi"».
Per Henry Kissinger sono anni fondamentali. Qualcuno definisce l’esperienza a Harvard – dove dirige la rivista Confluence e l’International Summer School – il suo «trampolino di lancio». Di sicuro costruisce lì contatti che torneranno utili in una memorabile carriera: passano futuri premier come Valery Giscard D’Estaing, il giapponese Nakasone, il turco Ecevit. Gli scopi istituzionali, ovviamente, erano altri. Si trattava di «creare un legame spirituale tra i giovani stranieri e gli Usa», spiegò in un memorandum, aggiungendo che se la superiorità materiale dell’American way of life era dimostrata, finora, «non si è riuscito ad affermare il nostro primato spirituale». Hugh Wilford – in The mighty wurlitzer. How the Cia played America, Harvard University Press – rende più concreto il concetto «Fu un’arma fondamentale della diplomazia culturale Usa nella guerra fredda». E ricostruisce come i fondi provenissero dall’Opc, l’Office of Policy Coordination della Cia. Sempre Wilford ricorda come Kissinger abbia sempre negato la conoscenza dell’origine dei finanziamenti: «Ma molte lettere parrebbero dimostrare il contrario», aggiunge.
Al di là della sensazione causata da interlocutori a prima vista tanto distanti, contenuti e termini del dialogo meriteranno certo ulteriori approfondimenti. Il rapporto, infatti, non è episodico o casuale.
La prima lettera di Kissinger a Vittorini conservata ad Apice (2 febbraio 1952) non è la prima fra i due. stringata ma un passaggio lo rende chiaro: «Quando le ho scritto riguardo la nostra rivista…». La seconda (6 marzo) si dilunga di più, dopo un esplicito invito a collaborare: «Le scrivo per esplorare la possibilità di un suo articolo per il terzo numero. Il tema sarà "Il ruolo sociale della filosofia e dell’arte"». Kissinger sottolinea il revival di interesse fra i giovani europei per l’arte’ «assieme al disinteresse per la politica» – e chiede un contributo: «La situazione della letteratura italiana nelle sue implicazioni sociali e filosofiche. Naturalmente siete assolutamente libero di trattare ogni aspetto ritenete importante». C’è una precisazione economica: 50 dollari per 3000 parole. Il 14 aprile Kissinger insiste, evidentemente dopo un rifiuto di Vittorini: «Ma siete libero in luglio. Allora vorremmo il suo articolo per agosto». La lettera del 9 ottobre è quella citata all’inizio: Vittorini dovrebbe intervenire dopo un saggio di Aron su La diffusione delle ideologie.
Il 7 gennaio 1953 Kissinger scrive di nuovo. E fa un riferimento preciso legato alla Summer School: «Dal momento che siete stato così utile l’anno scorso nel trovare possibili candidati».
Infine, l’ultima lettera conservata in Italia risale al 27 gennaio dell’anno successivo. In mezzo c’è stato un incontro: «Ricordo ancora con molto piacere la nostra conversazione, l’anno scorso, a Milano». Ora, Kissinger chiede un articolo per il numero dedicato a Etica e lealtà. Si toccherà anche il maccartismo, definito: «A serious problem». Ma questioni serie sono anche altre: «Infine c’è il problema dell’individuo quando deve confrontarsi con un movimento totalitario come il Comunismo che non ha ancora trionfato. Specialmente sull’ultima questione, voi potete dare un contributo importante».
Di sicuro, per questo, Vittorini aveva passato momenti dolorosi anche sul piano personale. Sono pochi gli accenni al rapporto fra lo scrittore e l’Ailc’ Associazione Italiana per la Libertà della Cultura, la filiazione del Congress for Cultural Freedom – nelle biografie e nelle antologie: uno, breve, in Gli anni del Politecnico, il primo volume dell’epistolario (Einaudi, 1977) dedicato agli anni 1945-51; niente nell’Epistolario americano curato da Giampiero Chirico per Lombardi editore. Nella biografia di Raffaele Crovi per Marsilio ( Il lungo viaggio di Vittorini) si riportano le sofferte lettere al fratello Ugo dopo la rottura col Pci e si ricorda il progetto’ poi abbandonato’ di partecipare al congresso per la libertà della cultura a Parigi: «Dell’ antistalinismo del Congresso me ne infischio completamente. Voglio dire che me ne infischio di rivelare che sono anch’io antistalinista».
Tornando al rapporto con Kissinger, negli archivi di Harvard si trova il carteggio completo. la storia di un corteggiamento insistito e avvolgente a un riluttante oggetto del desiderio. La primissima lettera è dell’agosto 1951. Kissinger spiega il suo progetto: «Sarà una rivista destinata a offrire ai giovani europei e americani la possibilità di confrontare i punti di vista sui problemi contemporanei della filosofia, delle arti e della politica. solo il primo passo di un piano a raggio molto più ampio». Vittorini risponde garbato e attento il 12 settembre: «Trovo così interessante lo scopo e l’impostazione della rivista che approfitterò di ogni occasione di collaborarvi». In realtà non succederà. Fra marzo e aprile 1952 pare quasi si decida al gran passo: «L’argomento sul quale lei mi invita così gentilmente a dire la mia opinione è tra i miei preferiti». E poi: «Le manderò dunque l’articolo richiesto entro il mese di luglio». Ma l’articolo non arriva e, fiscale, il primo agosto Kissinger sollecita dando una nuova deadline. Quando non viene rispettata neanche questa, la stiracchia ulteriormente a dicembre. Ma il 9 novembre riceve una doccia fredda: Vittorini non può scrivere l’articolo, ha troppi problemi familiari dopo la scomparsa della suocera. Kissinger non mollerà. Continuerà una corrispondenza cortese e troverà il modo di incontrare lo scrittore al momento di un viaggio in Europa, nel gennaio 1953. Ancora nel 1955 assicura: «Sarei davvero felice se voi aveste voglia di scrivere qualcosa per Confluence ». L’ultima lettera è del 13 aprile 1955. Su un altro fronte Kissinger ottiene migliori risultati. In realtà, oltre che direttore e organizzatore, è anche un talent scout. Lo mette in chiaro dalla prima lettera a Vittorini: «Cerchiamo collaboratori nelle generazioni più giovani». Nella risposta, lo scrittore compila un interessante elenco della «meglio gioventù» italiana dell’epoca: «Tutti sotto i quarant’anni, tranne uno».
 difficile ricostruire il primo contatto fra Kissinger e Vittorini. Nelle lettere si fa riferimento a un conoscente comune, certo Gian Brioschi (probabilmente Gian Antonio, dirigente della Olivetti e curatore, nel 1957, di un’antologia italiana da Confluence). Forse come tramite contò anche James Laughlin, editore americano di Vittorini e suo caro amico, nonché responsabile per la Ford Foundation di Perspectives, rivista rivolta alla sinistra anti-comunista europea. Qui, Laughlin è concorrente proprio di Kissinger nella distribuzione dei stanziamenti governativi Usa. Emerge da una lettera speditagli, nel 1955, dal futuro segretario di stato in cui si difende la ragion d’essere (e di essere finanziata) di Confluence e si cita Vittorini’ con Moravia, Carlo Levi, Silone, Jemolo, Agnoletti e Margaret Caetani – fra i «non comunisti che hanno collaborato dall’Europa».
Enrico Mannucci