Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  aprile 15 Giovedì calendario

PIL CINESE VERSO UNA CRESCITA DEL 12% NEL PRIMO TRIMESTRE

Si rafforzano sui mercati le attese di una rivalutazione dello yuan alla vigilia del rilascio dei dati sul Pil cinese, che secondo le indiscrezioni dovrebbe battere le attese con un progresso del 12% nel primo trimestre accompagnato da segnali di rigonfiamento degli "asset prices". la stessa situazione che ha indotto ieri il governo di Singapore a rivalutare il suo dollaro, dopo l’annuncio della più accelerata espansione economica trimestrale mai rilevata nelle statistiche (+32,1% su base annualizzata e destagionalizzata, +13,1% sul primo trimestre 2009), in tandem con un incremento delle pressioni inflazionistiche. Una mossa che ha contribuito a spingere in rialzo altre valute asiatiche e i mercati azionari, nel quadro di sempre maggiori conferme sulla robustezza della ripresa economica continentale: dalle stime dell’Asian Development Bank (Adb) – che martedì nel suo outlook semestrale ha alzato al 7,5% le previsioni sul Pil dell’Asia emergente ”all’iniziativa dell’agenzia Moody’s, che ieri ha promosso da A2 ad A1 il rating sovrano della Corea del Sud, motivandolo con la dimostrazione di un «eccezionale livello » di resistenza e reazione alla crisi globale (Seul ha chiuso in positivo il 2009 con un Pil in crescita dello 0,2% e la sua banca centrale ha migliorato questa settimana al 5,2% le prospettive di quest’anno).
Alla vigilia dei dati su un Pil ormai atteso alla performance più robusta dal marzo 2007, il Consiglio di Stato (ossia il governo) cinese ha emesso ieri una nota di cautela, sottolineando che il deciso passo della crescita in corso è legato in modo significativo «alla politica di stimoli e anche al basso livello comparativo dell’anno scorso »; tuttavia ha omesso il ritornello sul fatto che la ripresa non poggerebbe ancora su basi solide e soprattutto ha indicato con chiarezza l’emergere di «alcuni fattori che stanno spingendo i prezzi, rafforzando le aspettative di inflazione», il che impegna l’esecutivo a combattere in particolare la crescita dei prezzi immobiliari. Non è sfuggito agli osservatori, del resto, che il presidente Hu Jintao, dopo l’incontro con Obama al vertice sul nucleare negli Usa, non abbia ripetuto la solita frase secondo cui uno yuan stabile ha effetti benefici sull’economia globale (pur ribadendo che Pechino agirà esclusivamente secondo le necessità della sua economia).
La risoluta decisione delle autorità di Singapore – che in effetti ha portato a un apprezzamento della valuta della città-stato intorno all’1,3%, il doppio di quanto atteso – è considerata da vari economisti non solo come l’equivalente di una stretta contro inflazione e bolle settoriali, ma anche come una mossa preventiva di contrasto alle pressioni rialziste sulla divisa, destinate a intensificarsi una volta che Pechino dovesse consentire allo yuan oscillazioni più ampie. Nel rilevare gli immediati rincari di altre valute asiatiche, Tim Condon, economista alla Ing Financial Markets, suggerisce che «in qualche modo questo appare come una conferma delle aspettative su una iniziativa di Pechino entro i prossimi tre mesi». Anche l’ultimo rapporto degli esperti di Hsbc scommette su uno yuan più forte entro la fine di giugno, pur avvertendo che, se nulla si materializzerà nel primo semestre, tutto resterebbe invariato per il resto del 2010.
Da Singapore – che tradizionalmente utilizza le ( rare) manovre sul cambio come strumenti di politica monetaria – esce rafforzata anche la prospettiva che alcune banche centrali dell’area regionale si orientino verso un aumento dei tassi prima del previsto, con l’effetto collaterale di favorire ulteriori afflussi di capitali (a sua volta forieri di nuove spinte rialziste sulle valute). Su questo punto l’Adb ha lanciato poco meno di un allarme: l’attesa di rivalutazioni monetarie e di più ampi differenziali dei tassi ha già innescato flussi speculativi di capitali oltre il desiderabile, e il loro aumento potrebbe vanificare gli obiettivi di drenaggio della liquidità e di sgonfiamento delle bolle finanziarie che si stanno sviluppando. Se poi gli Usa continuano a premere su Pechino, in Giappone sono in pochi a entusiasmarsi alla prospettiva che la Cina si avvii a misure di relativo raffreddamento del’economia: vari economisti hanno alzato le stime sul Pil di Tokyo nel primo trimestre intorno a un + 0,5%, ma per i prossimi mesi temono l’effetto combinato di un eventuale rallentamento della crescita cinese e dell’esaurirsi degli stimoli pubblici all’economia interna.