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 2010  aprile 15 Giovedì calendario

IL RISCATTO E I MISTERI DIETRO IL GIOCO AL RIALZO

La comunicazione ufficiale sulle imputazioni non c’è stata e questo consente agli analisti di affermare che «la notizia dell’accusa contro Marco Garatti di essere coinvolto nel sequestro di Daniele Mastrogiacomo è falsa, ma serve ad alzare il prezzo, a negoziare una contropartita al rilascio dei tre detenuti». Si complica dunque la partita da giocare con il governo di Kabul sulla sorte dei tre operatori sanitari arrestati sabato scorso. E appare sempre più evidente come la resa dei conti riguardi proprio la gestione dei rapimenti del giornalista Mastrogiacomo e del fotoreporter Gabriele Torsello, entrambi rilasciati dopo la mediazione di Emergency. Una ritorsione per quello che avvenne all’epoca e per la divisione di una torta che potrebbe non aver soddisfatto tutti i protagonisti. Dunque è da lì che la diplomazia deve ripartire per trovare il bandolo e forse concedere adesso quello che all’epoca potrebbe non essere arrivato a destinazione.
Le vicende sono parallele. Torsello viene catturato nell’ottobre 2006, Mastrogiacomo nel marzo 2007. Con i talebani tratta in entrambi i casi Rahmatullah Hanefi, responsabile dell’ospedale di Lashkar Gah. La prima richiesta dei rapitori per rilasciare il fotoreporter viene dichiarata «irricevibile» dal governo italiano, all’epoca guidato da Romano Prodi: consegna di Abdul Ramah, l’afghano convertito al cristianesimo che ha trovato rifugio a Roma proprio per sfuggire alla pena capitale decretata nel suo Paese. Si media così sull’entità del riscatto. «Due milioni di dollari affidati ad Hanefi e versati ai rapitori», rivela Gino Strada durante un interrogatorio di tre anni fa davanti ai magistrati romani.
Il negoziato per Mastrogiacomo è ancora più complesso, anche perché la scelta dell’allora ministro degli Esteri Massimo D’Alema di tagliare fuori gli 007 del Sismi e i carabinieri del Ros che sono a Kabul, provoca aspre polemiche in Italia e irritazione forte nelle autorità afgane. Dal campo vengono infatti eliminati pure i servizi segreti locali che così perdono il controllo di quanto accade sul proprio territorio. La contropartita imposta dai rapitori è la liberazione di tredici talebani detenuti. Secondo la versione ufficiale alla fine ne vengono consegnati cinque. Ma non basta. Mentre il giornalista arriva all’ospedale di Lashkar Gah, il suo interprete di 23 anni Adjmal Nashkbandi viene nuovamente catturato dai talebani.
Che cosa sia davvero accaduto in quei momenti nessuno è stato ancora in grado di rivelarlo. E da allora si sono rincorse le ipotesi. Quella più
probabile accredita la possibilità che il giovane sia stato trattenuto in attesa della consegna dei soldi. Il governo italiano ha sempre negato di aver pagato un riscatto, ma è pur vero che nessun ostaggio è stato riportato a casa senza contropartita e all’epoca è apparso evidente che non sarebbe bastata la scarcerazione di oltre la metà dei detenuti richiesti. Resta il fatto che Adjmal è il nipote di un alto funzionario della polizia locale poi diventato responsabile governativo del distretto di Bagram. Quindi, merce preziosa per i sequestratori che tenendolo in ostaggio potevano formulare nuove istanze. Per rilasciarlo pretendono infatti la consegna di altri tre talebani che si trovano in carcere. E di fronte al rifiuto delle autorità afgane decidono di giustiziarlo. Un affronto per il governo Karzai. Una ferita che evidentemente è ancora aperta.
Il primo a pagare è Hanefi che viene arrestato il 21 marzo 2007, il giorno dopo il rilascio di Mastrogiacomo, e accusato di complicità con i rapitori. Lo prosciolgono dopo tre mesi di carcere. Ora è toccato agli altri tre. E la circostanza che Garatti sia stato uno dei mediatori del sequestro Torsello dimostra, secondo gli esperti, che il nodo da sciogliere è legato proprio a quelle due vicende. Del resto l’accusa fatta filtrare sabato che lo stesso Garatti, Matteo Pagani eMatteo Dell’Aira preparavano un attentato contro il governatore della provincia di Helmand non è stata formalizzata, quindi era un pretesto per portarli prelevare. Anche perché, come ha rivelato ieri il direttore dell’Aise Adriano Santini durante l’audizione di fronte al comitato parlamentare sui servizi segreti, qualche ora prima dell’irruzione nell’ospedale di Emergency, ci fu un allarme bomba e l’ordine di evacuazione del personale internazionale. Dunque in quel lasso di tempo chiunque avrebbe potuto sistemare nel magazzino della struttura le pistole e gli esplosivi poi sequestrati dalla polizia locale.
Fiorenza Sarzanini