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 2010  aprile 15 Giovedì calendario

FRAMMENTO DEI FRAMMENTI CHE RISPONDONO ALLA VOCE "GIAN" (GIANFABIO

BOSCO)"

N.B.: la ricerca è stata fatta con "Gianfabio Bosco", "Gian Fabio Bosco" e con "Ric & Gian".

•2010
Di nascere era davvero nato a Firenze, Gian Fabio Bosco, in arte ”Gian”, ma ancora neonato fu subito portato a Genova dalla madre Anna Caroli, attrice nella compagnia di Gilberto Govi insieme al marito Sergio Bosco, in arte Sergio Fosco. Il problema del ”nome”, perciò, si era già posto col padre che, aggiungendo una sola consonante, diede cadenza scapigliata al proprio cognome bucolico. Anche il figlio Gian Fabio ha avuto qualche problema con il nome: non solo per l’eterna querelle tra i sostenitori del Gian Fabio staccato e quelli del Gianfabio attaccato (la versione corretta dovrebbe essere la prima), e per il fatto che sin da ragazzino Gian Fabio Bosco recitò nella compagnia del padre facendosi chiamare Gian Fabio Fosco, ma soprattutto per quel tronco ”Gian” che è nome d’arte fino a un certo punto, ché non esiste ”Gian” senza ”Ric”, l’altra faccia della medaglia, e che prima di chiamarsi ”Ric & Gian” la coppia mimica e demenziale si chiamava ”Jerry e Fabio”. [...] A lanciare davvero ”Ric & Gian” fu Angelo Rizzoli, che li scritturò, dopo il grande successo del loro delirante spogliarello al Crazy Horse di Parigi, e dopo i trionfi teatrali, nel film Ischia, operazione amore (1966). Due anni dopo i due comici si cimentano in una parodia western diretta da Osvaldo Civirani. Ma il vero successo arriva verso la fine degli anni 60 grazie alla televisione, in programmi quali Quelli della domenica, Senza rete, Giochi in famiglia e Che domenica, amici! Oltre alla televisione c’è il teatro, che li vede uniti nella pièce La strana coppia di Neil Simon e Le farse di Dario Fo. Poi, ancora televisione, in quantità industriale: Ric & Gian Show, Ric & Gian Folies e Domenica In. E collaborazioni coi grandi della televisione e del teatro, da Mike Bongiorno a Gino Bramieri, da Raffaella Carrà a Raffaele Pisu.
Gian Fabio Bosco ha fatto televisione, teatro, radio, cinema e fiction seriale; alla fine degli anni 80, quando la premiata ditta ”Ric & Gian” era bell’e sciolta, ”Ric” andò per qualche tempo a condurre Striscia la notizia, mentre ”Gian” recitò nei film di Parenti, Castellitto e Salemme, ma sempre in parti non memorabili, come quella che lo vide alle prese con un ”piacione” di provincia (Jerry Calà) in ridicolo agguato dell’ambita e procace moglie (Sabrina Salerno) in Fratelli d’Italia.
Un momento invece molto interessante da un punto di vista dell’antropologia sociale degli anni 80 fu la serie televisiva I cinque del quinto pianto, andata in onda sulle reti del Biscione nel 1988 per ben 95 puntate (con centinaia di repliche). Gian Fabio Bosco era il padre un po’ ”cumenda” (Edoardo) di una famiglia milanese della classe media. Per chi non lo ricordasse, il figlio maggiore era quel terribile ”fancazzista” della giovane Milano rincitrullita di benessere a nome Gianfilippo (Luca Sandri), che in ogni puntata ripeteva l’agghiacciante refrain «sfortunello!». E infatti I cinque del quinto piano non fu una serie molto fortunata da un punto di vista degli ascolti, ma segnò comunque una tappa importante dell’avvicinamento tra fiction seriale e racconto di segmenti della società. Due momenti cult della serie erano le sortite naïf e ammiccanti della sguaiata e indiscreta colf siciliana, e l’immancabile chiusa del padre estenuato e saggio, che esclama dritto in telecamera: «Ci vuole proprio una gran pazienza!».
Nel 1994, è lo stesso Lino Banfi a raccontarlo nel libro Una parola è troppa . ”Gian” partecipa al flop di Gran casinò del 1994, un programma a cui Banfi teneva tantissimo – e, a dare la notizia della morte dell’amico, è stato proprio Lino Banfi. Forse, nel 1994 un modo di intendere il cabaret e l’avanspettacolo era definitivamente tramontato. Infatti Lino Banfi accettò la notizia della sospensione del programma caracollando per strada e strisciando rasente ai muri.
Ma noi vogliamo congedarci dal grande Gian Fabio Bosco con uno sketch indimenticabile, passato alla storia come «lo sketch della brioche» (al quale s’ispirò Linfo Banfi in Vieni avanti cretino nella scena delirante del cameriere che si esaurisce a furia di bere caffè sbagliati). uno sketch televisivo del 1969. ”Gian” si vanta con ”Ric” di essere un cameriere calmo e pacifico, che riesce a nascondere bene lo stress di assecondare le richieste assurde della clientela. Solo che mentre vanta la sua proverbiale calma con la clientela, incomincia a manifestare strani tic, sempre più vistosi. un crescendo di fischi, salti, occhiolini, scatti di testa, tanto da trascinare lo stesso ”Ric” in questa frenesia di funambolismo nevrotico.
L’elemento cruciale della sua comicità era il fatto che la sua faccia si presentava sovente col piglio ducesco o padronale, e poi, lentamente, si sfaldava, rendendo comica e delirante quella stessa faccia che, appena qualche attimo prima, si era presentata col mento protervo – non sembrava mai vero che una faccia così seria, così sicura, così ”maschia” potesse preludere a un qui pro quo, alla buffoneria o al demenziale. Altra caratteristica del corpo di ”Gian” era il fatto di presentarsi sempre come corpo appesantito e finanche impiegatizio, e poi di sciogliersi all’improvviso in virtuosismi mimici di rara bravura. Ma parlare di corpo nel giorno della dipartita del corpo è una contraddizione che ci condanna, con il ricordo e con le parole, a tenere vivo, impudicamente, quel che non può risponderci e, soprattutto, quel che più non può deriderci con uno sberleffo.
Andrea Di Consoli, Il Riformista 16/2/2010