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 2010  aprile 15 Giovedì calendario

DISARMO

& RISPARMIO. IL FUTURO DEL NUCLEARE-
L’accordo tra Stati Uniti e Russia sulla riduzione degli arsenali nucleari e i colloqui a Washington sulla non proliferazione hanno un significato soprattutto politico, con dei risvolti economici notevoli da non sottovalutare. Difficile dire con precisione quanti ordigni riposino nei bunker del Midwest americano o nello sconfinato territorio sovietico ma le stime fatte finora forniscono una buona approssimazione. Le forze statunitensi hanno a disposizione un massimo di 2.200 testate, quelle russe 2.600. Il presidente Barack Obama e il suo omologo russo Dimtri Medvedev hanno fissato l’obiettivo di ridurle a 1.500: in media ottocento bombe in meno. Le testate hanno un costo implicito in termini di capitale umano perché devono essere custodite, spostate in caso di allarme e mantenute attive e pronte all’uso. E così il disarmo si traduce in risparmio.
All’indomani dell’intesa il New York Times ha pubblicato un articolo riguardo la riconversione del materiale bellico in carburante per le centrali nucleari: «Un singolo reattore - si legge - potrebbe accettare il plutonio di circa 150 armi in un anno». Secondo il Nyt, alcuni studiosi rimangono scettici sulla possibilità che si arrivi a breve a sviluppare una tecnologia simile, anche perché il mercato è già saturo di materiale fissile, e i progetti come quello di Savannah nel Sud Carolina procedono a rilento, mentre salgono i costi per la costruzione degli impianti. Le scuole di pensiero però sono diverse, tra entusiasti sostenitori e detrattori preoccupati che il materiale possa essere convertito nuovamente in bombe. Non è proprio così. Il processo, anche se complicato e costoso, rappresenta un’opportunità per il futuro. I leader dei 47 paesi riuniti a Washington non hanno preso misure concrete ma nel comunicato finale affermano che lavoreranno insieme «come appropriato» per fare in modo che la riconversione «sia tecnicamente ed economicamente realizzabile. Di fatto se ne parlerà di nuovo al summit sudcoreano del 2012.
L’uranio arricchito o il plutonio contenuti in una testata sono combustibile altamente concentrato. L’obiettivo, infatti, è creare una reazione a catena esplosiva e «incontrollata» per arrivare alla deflagrazione atomica. Gli ingredienti, però, possono essere trasformati per scopi civili. I materiali radioattivi vengono diluiti e convertiti in ossidi di uranio o plutonio: un procedimento irreversibile. Davide Giusti, vicedirettore del Master nucleare di Bologna, spiega che sarebbe impossibile ricondurli ad uso bellico: «Il combustibile delle testate richiede un alto grado di purezza isotopica e quindi dopo averlo ”sporcato” non è più possibile tornare indietro». La miscela dei due ossidi è detta Mox (Mixed oxide fuel) ed è anche con questo carburante che si possono alimentare i reattori di terza generazione Epr. In Ue Francia e Finlandia stanno mettendo a punto questo tipo di tecnologia.
A Flamanville, in Normandia, la Edf (compagnia energetica dell’Eliseo) sta costruendo un reattore. All’investimento partecipa anche l’italiana Enel con il 12,5 per cento. Un altro Epr è in programma a Penly, nel nord del paese, e anche qui è previsto un contributo italiano. Il focus del vertice parigino della settimana scorsa tra Nicolas Sarkozy e il premier Silvio Berlusconi riguardava proprio l’atomo. In quell’occasione Ansaldo energia (controllata di Finmeccanica) ha trovato spazio per una lettera d’intenti con Edf ed Enel allo scopo di sviluppare almeno quattro centrali Epr in Italia. Ansaldo è impegnata anche su un altro fronte, più consolidato. Si tratta dell’alleanza ventennale con l’americana Westinghouse che procede di pari passo con l’avanzamento della tecnologia Ap1000, di potenza inferiore e più leggera dell’Epr.
Il primo Epr progettato in Europa è quello di Olkiluoto, sulla costa finlandese che si affaccia sulla Svezia, ed è stato sviluppato dalla francese Areva. I lavori però sono arenati perché interrotti dall’avvio di oltre duemila procedure d’infrazione per la mancanza di sicurezza nei materiali: lo scotto da pagare per lo sviluppo di un prototipo.
Nell’aprile dell’anno scorso il Kazakistan aveva lanciato l’idea della creazione di una «banca internazionale del materiale fissile» sul proprio territorio, ricco di uranio. La ex-repubblica sovietica, giunta all’indipendenza nel 1991, è già un cimitero dei residuati bellici del Cremlino ma la «ventata» nucleare in giro per il mondo deve aver fatto pensare al presidente Nursultan Nazarbayev di approfittare del business. La proposta era rimbalzata alla Casa bianca, dove ha trovato terreno fertile. Allora - come riferito da un funzionario della presidenza al Wall Street Journal - Obama avrebbe preso in considerazione l’offerta. L’avvicinamento tra Russia e Stati Uniti e la necessità di smantellare gli armamenti potrebbe rilanciare il progetto in attesa che la tecnologia per la riconversione proceda, anche se forse ci vorranno decenni.