Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  aprile 15 Giovedì calendario

VOGLIAMO LE BANCHE DEL NORD

« chiaro che avremo uomini nostri a ogni livello. La gente ci dice prendetevi le banche e noi lo faremo». Questo dice Umberto Bossi. Il capo della Lega va interpretato, ma per quanto sia difficile dire se esista davvero un mandato popolare alla conquista del credito nordista, un problema di uomini effettivamente si porrà. Esistono già questi uomini? E quali sono le banche da conquistare? E come? In tutte le ricostruzioni di queste settimane del potere leghista nell’economia, la parte accertata del green power bancario, gratta gratta, sembra limitata per ora a una pattuglia esigua.
C’è di sicuro un consigliere di gestione di Intesa Sanpaolo, Marcello Sala, uomo Cariplo, e Massimo Ponzellini, il nuovo presidente della Banca Popolare di Milano in buoni rapporti con Giulio Tremonti, ma soprattutto con Giancarlo Giorgetti anche a causa di un legame famigliare. Gli altri, dall’amministratore delegato della Popolare di Novara, Domenico De Angelis, fino a Gianni Zonin della Popolare di Vicenza e a Vincenzo Consoli di Veneto Banca non sono leghisti, sono uomini cresciuti al nord, manager o imprenditori (vedere corposa mappa su Panorama di questa settimana), che sanno governare i rapporti con la politica, Lega inclusa, e con essa trattano in una logica di obiettivi per l’area in cui operano.
Qualcuno dice che - ovviamente consapevole della situazione e cioè di non avere una banca - Bossi abbia al momento due finalità: innanzitutto, esercitare una pressione psicologica sul sistema creditizio in una fase di aggiornamento della governance di alcuni grandi istituti e assestamento dei poteri con un combinato di burbanza minacciosa e di corteggiamento; in secondo luogo, far partire un processo di acquisizione di classe dirigente bancaria, attrarre risorse umane disponibili.
Quanto alla pressione vediamo che cosa sta accadendo in questi giorni. Zaia si è congratulato per la nomina di Gabriele Piccini alla guida delle attività italiane della banca guidata da Alessandro Profumo prima ancora che Unicredit la ufficializzasse, e ha detto di considerare amici Consoli e Zonin. Mentre Bossi, alla vigilia di un paio di riunioni decisive per la più importante delle partite in gioco, il rinnovo dei vertici di Intesa Sanpaolo, banca per il paese, espressamente legata alle vicende del territorio, ha fatto l’uscita di ieri, come avrebbe potuto fare un potente ministro democristiano alla vigilia di un Cicr, i famosi comitati interministeriali per il credito e il risparmio che nominavano i presidenti delle casse di risparmio.
Le difficoltà leghiste di costruzione di una classe dirigente bancaria sono particolarmente chiare nella partita Intesa. Giuseppe Guzzetti con mossa astuta ha imposto che si presentasse la lista Cariplo-Compagnia Sanpaolo per il consiglio di sorveglianza prima delle elezioni amministrative. Risultato c’è un solo nome riconducibile al Carroccio, il milanese Marco Spatacini, espresso da Cariplo. Il ventre molle in cui la Lega potrebbe affondare il coltello è Torino. Ma lì le rivendicazioni leghiste sulla banca si sommano alle rivendicazioni territoriali della Compagnia Sanpaolo, che vuole riequilibrare i pesi con Milano. Ma per ora nella richiesta di un nuovo direttore generale ha indicato un banchiere di provenienza Monte Paschi.
Adesso il capo della Compagnia Angelo Benessia, pressato dal sindaco e in fase di freddezza con il suo vecchio mondo Fiat di provenienza (La Stampa lo tratta senza passione), chiede un presidente del consiglio di gestione torinese ma che non sia Enrico Salza. E con uno strappo ha lasciato che un consiglio di gestione della Compagnia desse a maggioranza un’indicazione al consiglio di sorveglianza di Intesa (che sarà nominato il 30 aprile): per la presidenza del consiglio di gestione Torino indica Domenico Siniscalco oppure Andrea Beltratti, economista alla Bocconi.
Ovvio che il candidato vero della Compagnia è Siniscalco, torinese ma né vicino a Benessia - il quale gli tolse la presidenza del Collegio Carlo Alberto - né alla Lega, semmai a Giulio Tremonti - peraltro lui sì vicinissimo alla Lega - di cui fu prima grande amico, poi direttore generale al Tesoro, e poi sostituto al ministero dell’Economia. Oggi si riunisce un vertice delle fondazioni azioniste della superbanca Milano-Torino. E vedremo come reagiranno all’indicazione di Torino. Guzzetti aveva detto che dalla riunione di oggi non uscirà l’indicazione di un presidente del consiglio di gestione perché spetta al consiglio di Sorveglianza che sarà nominato il 30 aprile. E non è un mistero che a Guzzetti non dispiacerebbe la conferma di Salza, mentre il presidente del Consiglio di Sorveglianza della banca Giovanni Bazoli si è sempre tenuto più largo anche a causa di un buon rapporto con Tremonti. Ma anche qui della Lega, a parte il legame strettissimo Bossi-Tremonti, non c’è l’impronta politica.
A proposito, invece, del rapporto con il ministro dell’Economia, si dice che una pressione leghista sia in atto sull’asse Cassa depositi e prestiti ed F2i, il fondo infrastrutturale. C’è un lavorìo sulle fondazioni per le nomine in F2i, il cui consiglio va rinnovato entro la fine del mese, dove quattro consiglieri sono espressione delle Fondazioni bancarie (Crt, Montepaschi, Cariplo più uno a rotazione espresso dalle minori) e su cui la Lega ambirebbe a esercitare maggior peso. Lo stesso potrebbe accadere alla Cassa depositi e prestiti, con il consiglio che scade ad aprile e dove il Tesoro avrà cinque consiglieri a disposizione. La cassa ha una gestione separata in cui il risparmio postale viene utilizzato per finanziare iniziative infrastrutturali degli enti locali. Su questa partita le fondazioni cercano di promuovere iniziative dei loro territori di elezione. E qui la Lega chiederà di contare di più, di avere più spazio tra i cinque consiglieri di nomina ministeriale.
In questo tentativo di espansione, bisogna rilevare che la linea della Lega troverà ostacoli e avversari. Un po’ dovrà scontrarsi con le altre forze politiche (per ora per la verità assenti, giacché il Pdl non parla e il Pd non ha quasi replicato all’uscita di ieri di Bossi); poi dovrà superare le divisioni interne: per esempio è stato notato che due giorni fa al consiglio di amministrazione di Unicredit che ha nominato Piccini, non ha partecipato il consigliere Unicredit espresso da Cariverona (vicina a Flavio Tosi che non ama Luca Zaia) per dare un segnale di distinguo. Inoltre la Lega dovrà contrastare le resistenze dei poteri intrinseci alle fondazioni e gli assetti sedimentati delle singole banche. Per esempio - come abbiamo visto - il caso Cariplo, dove Guzzetti ha sempre filtrato le richieste leghiste riassorbendole in una sapiente miscela di territorialità lombarda. Infine dovrà vedersela con le istituzioni di mercato. Ieri Salvatore Rebecchini, commissario antitrust, ha ricordato al Foglio come un eccesso di politicizzazione delle fondazioni porrebbe un problema all’Autorità, perché limiterebbe la contendibilità delle banche.