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 2010  aprile 14 Mercoledì calendario

SERENISSIMA CON L’ISLAM NEL GHETTO


Relegati nel Fondaco dei Turchi, con il divieto di uscire la sera e contatti limitati con la popolazione locale: era il ghetto degli islamici della Serenissima Repubblica di mercanti, Venezia.
I rapporti fra la città adriatica e mondo musulmano risalgono al IX secolo, quando le sue navi già si spingevano fino al Nordafrica. Ed è proprio per opera di due mercanti, Bobo da Malamocco e Rustico da Torcello, che avvenne nell’828 l’avventurosa traslazione delle reliquie dell’Evangelista Marco da Alessandria d’Egitto alla Laguna. La leggenda narra che i due, per beffare i doganieri egiziani, inserirono i resti del Santo in un sacco con la scritta ”maiale”, animale aborrito dagli islamici per motivi religiosi. Il prezioso corpo quindi arrivò senza difficoltà a Venezia.
Con il passare dei secoli gli scambi mercantili fra mondo musulmano (che non si sono interrotti neanche nei periodi di maggiore conflittualità, come la battaglia di Lepanto) e Venezia hanno determinato la presenza in Laguna di un numero consistente di commercianti turchi e persiani. Fra questi s’infiltravano a volte anche spie al servizio del Sultano.
Porta d’Oriente
Necessaria quindi una regolamentazione della presenza musulmana nella città. Maria Pia Pedani in Venezia porta d’Oriente (Il Mulino, pp. 334, euro 26) racconta proprio questa storia. Di come il Doge decise di risolvere il problema per il bene di tutti: dei mercanti turchi che volevano condurre in pace e serenità i loro affari all’ombra del ponte di Rialto e dei veneziani che vedevano con sospetto l’arrivo dei ”Mori” nella loro città. La scelta dell’amministrazione cittadina fu quindi quella, nel XVI secolo, di richiudere gli islamici nel Fondaco, che rappresentava di fatto una zona franca all’interno del tessuto urbano.
In questo periodo si contavano, fra i non cristiani, circa una settantina di musulmani stanziali, e una novantina di ebrei (molti di nazionalità ottomana) già relegati nel ghetto. La richiesta di trovare un’area specifica dove alloggiare gli islamici era stata fatta dai turchi stessi, che la ritenevano un fattore di sicurezza. Venezia
all’epoca era una città estremamente violenta. Si calcola che fra il 1524 e il 1533 ogni anno venissero uccise fra le 45 e le 50 persone. Rapinatori, banditi, malviventi di ogni tipo frequentavano la Laguna. Ad essere oggetto di violenze e rapine spesso erano i ricchi mercanti turchi e persiani. Inoltre le frequenti guerre contro gli ottomani e la predicazione cattolica scaldavano gli animi popolari contro gli islamici.
In questa situazione quindi è comprensibile la richiesta di trovare un luogo sicuro per i commerci, senza pericoli per i beni e i patrimoni dei mercanti venuti dall’Oriente. Nasce così l’idea del ”fondaco”, ossia di un albergo per l’accoglienza dei mercanti stranieri.
Nel 1575 venne individuato nell’osteria dell’Angelo, a poca distanza da Rialto. L’edificio era situato in una zona urbana marginale, vicino al quartiere delle prostitute. L’osteria venne restaurata in modo da venire incontro alle esigenze di chi era abituato a fare bagni e a lavarsi molto di più di quanto non facessero i contemporanei europei. Ecco dunque cisterne ricche d’acqua e un hammam, ossia il tradizionale bagno turco, assieme a camere da letto, magazzini e latrine. Nel XVII secolo si trovò una sistemazione più ampia per gli islamici ospiti di Venezia, in un grande palazzo affacciato sul Canal Grande, nella zona di San Giacomo dall’Orio (l’edificio oggi ospita il museo di storia naturale). Inaugurato nel 1621 dal Doge Antonio Priuli, si affiancava al Fondaco dei Tedeschi e al ghetto ebraico come zona extraterritoriale, dove si potevano effettuare commerci in tutta libertà. All’interno della struttura venne costruita anche una piccola moschea. Gli islamici che abitavano e lavoravano in questo nuovo Fondaco provenivano da Bosnia, Albania e Turchia. Alle donne e ai ragazzi veneziani era proibito entrare. L’edificio doveva essere serrato durante la notte e i suoi abitanti erano costretti a rientrarvi al tramonto. Tuttavia le cronache narrano di numerose ”evasioni” notturne. Le autorità spesso tolleravano tali fughe. L’importante era salvare gli affari. La Pedani scrive che «si hanno notizie di turchi che, abbandonati gli ampi caffettani della tradizione e messe le giacchette e le braghe corte dei cavalieri dell’epoca, si confondevano fra la folla parlando un buon italiano che non tradiva le loro origini». A volte andavano persino a teatro. Chi invece non accettò questo regime di semi-reclusione fu il gruppo di commercianti persiani. I mercanti iraniani decisero quindi di lasciare la città.
La decadenza
Con l’arrivo delle truppe napoleoniche e poi di quelle asburgiche, alla fine del XVIII secolo, rimanevano solo 9 mercanti in un Fondaco quasi diroccato. Per far scappare i ”turchi” era stato imposto il pagamento di un affitto esoso. Nel XIX secolo sopravviveva un ultimo islamico al Fondaco: Sa’dullah Idrisi, un cinquantenne che rivendicava, in puro dialetto veneziano, il diritto della nazione turca di abitare in quel palazzo. «San Marco aver dato fontego per casa de Turchi, e mi voler star in fontego». Dopo aver puntato due pistole contro il commissario di polizia incaricato di sloggiarlo, un giorno sparì improvvisamente. Finisce così, con una timida e disperata resistenza, la presenza islamica in Laguna. Una presenza che ha vissuto nei secoli della Serenissima alti e bassi, fatta non solo di scambi commerciali, ma anche di rapporti culturali.
Proprio a Venezia si stamparono le prime copie europee del Corano in arabo e in traduzione latina ed italiana. Qui nel 1698 il sacerdote Ludovico Marracci pubblicò un ampio saggio sulla religione coranica, dove accanto alle critiche all’eresia di Maometto, elogiava la morigeratezza delle donne musulmane che andavano per strada velate. Il dotto chierico, confessore del papa, si era scontrato con alcune dame dell’alta società romana che si ostinavano a uscire con le braccia e il collo scoperti secondo la nuova scandalosa moda appena arrivata dalla Francia. Curioso il ribaltamento di prospettiva avvenuto ai nostri tempi, quando i paladini della crociata anti-islam pongono proprio la questione del velo come l’elemento visivo di scandalo, simbolo dell’arretratezza culturale dei seguaci di Allah, di fronte al più progredito e laico Occidente.