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 2010  aprile 14 Mercoledì calendario

CONFINDUSTRIA E FASCISMO LA PRESIDENZA DI VOLPI

Quest’anno la Confindustria festeggia cento anni dalla costituzione, un evento importante per un’organizzazione influente sull’economia e sulla politica del nostro Paese. Scorrendo l’elenco dei presidenti vedo tre figure che ricoprirono l’incarico durante il fascismo: parlo di Antonio Stefano Benni, di Alberto Pirelli e di Giuseppe Volpi di Misurata. noto storicamente il peso dell’industria statale durante il fascismo, meno noto è il contributo dell’industria privata al regime: potrebbe spiegare il peso di queste presidenze sulla politica industriale di quel periodo?
Andrea Sillioni
a.sillioni@yahoo.it
Caro Sillioni,
Posso parlarle soprattutto della presidenza di Giuseppe Volpi, particolarmente interessante perché inizia dopo il salvataggio delle banche e la creazione dell’Iri per concludersi alla vigilia del collasso del regime fascista. Quando divenne presidente della Confindustria, Volpi era una delle personalità più note e ammirate del mondo pubblico italiano. Come finanziere e imprenditore aveva creato la Sade (Società adriatica di elettricità) e la zona industriale veneziana di Porto Marghera. Ma grazie alla sua conoscenza del mondo ottomano aveva avuto anche una parte nei negoziati di pace con la Turchia dopo la guerra italiana per la conquista della Libia. Fu questa la ragione per cui il governo di Ivanoe Bonomi, nel 1921, allorché una buona parte del territorio libico era sfuggita al controllo delle forze italiane, lo nominò governatore della Tripolitania.
All’avvento del fascismo, quindi, Volpi era al tempo stesso un imprenditore intelligente, un finanziere spregiudicato, un brillante impresario culturale (fonderà, tra l’altro, la Mostra del cinema di Venezia) e un uomo pubblico ambizioso, pronto ad assumere incarichi di maggiore responsabilità. Politicamente era duttile e flessibile, vale a dire disposto a intendersi con il governo e il partito che gli avrebbero permesso di realizzare i suoi grandi progetti economici. Aveva collaborato con Giolitti, Nitti, Bonomi, Amendola (ministro delle Colonie nel governo Bonomi) e sarebbe stato pronto, se necessario, a collaborare con il fascismo. Mussolini lo comprese e nel 1925 gli chiese di lasciare Tripoli per assumere a Roma l’incarico di ministro delle Finanze. Da quel momento Volpi rappresentò le esigenze dell’economia italiana in seno al regime e assicurò a Mussolini la fedeltà del mondo economico. Come ministro riuscì a diminuire il debito pubblico, a chiudere con gli Stati Uniti il complicato capitolo dei debiti di guerra e a rimuovere l’ostacolo che aveva consentito alle banche americane di prestare denaro all’Italia e alle sue imprese. Ma non poté impedire che Mussolini, ossessionato dal «ritorno all’oro», promuovesse una rivalutazione della lira che avrebbe messo in ginocchio una buona parte dell’industria nazionale.
Dopo tre anni alle Finanze, Volpi fu congedato, ma continuò a essere imprenditore, regista di grandi operazioni finanziarie, e uomo pubblico in attesa di un nuovo impiego. L’occasione venne per l’appunto nel 1934 quando Mussolini gli affidò la presidenza della Confindustria. Ma la vecchia associazione degli imprenditori era diventata ormai un braccio del regime, una delle tante istituzioni con cui Mussolini aveva progressivamente «corporativizzato» la società italiana. Fu una presidenza in uniforme, ricca di cerimonie pubbliche, udienze a Palazzo Venezia emanifestazioni di lealtà al fascismo. Questo non impedì a Volpi di tutelare gli interessi dell’industria italiana ogniqualvolta i demagoghi del regime cercavano d’imporle misure populiste e antieconomiche. Continuò a farlo diligentemente occupandosi sempre della sua amata Biennale e dei rapporti economici con la Croazia dopo lo smembramento della Jugoslavia. E suscitò così, nel 1942, un commento ironico dell’amico Vittorio Cini: «Ma perché ti occupi ancora di queste cose? Non hai capito che tutto è f(...)?».
Sergio Romano