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 2010  aprile 14 Mercoledì calendario

TEO TEOCOLI

"Sapete che ho dato picche a BB?"

Questa è buona. Una sera d’estate del 1965, Brigitte Bardot ci ha provato con Teocoli, e lui le ha dato picche. Perché?
«Perché puntavo la sua segretaria, mica lei».
Ah. Seduto sul divano di casa, Teo si gode il successo del suo show La compagnia dei giovani, 60 date tutte esaurite, parla e pare una slot machine quando azzecchi le tre ciliegie: viene giù di tutto. La Milano nebbiosa di viale Fulvio Testi in cui era bambino («I miei mi mettevano i pantaloni corti dell’anno prima anche a gennaio, e io avevo sempre le gambe blu»), le nottate in spider a caricar ragazze («Ma mica le cercavo io, eh? che le donne quando capiscono che uno è, diciamo così, disponibile, arrivano come le api»), e poi gli amici, la musica, gli scivoloni («Ho mollato i Quelli un minuto prima che diventassero la Pfm. Sono un genio o no?»).
Se si è convinto a fare uno spettacolo sulla sua vita, dice, «è perché ho fatto tante di quelle cose che dove la trovavo una sceneggiatura così?».
Scusa sai, ma quella di BB va spiegata meglio, sennò non ci crede nessuno.
«Saint-Tropez, luglio. Gigi Rizzi -il playboy, quello coi dané- mi invita a casa della Bardot. Verso mezzanotte, lui e altri vanno a una festa a Montecarlo, e io rimango lì, a giocare a dadi con questa meraviglia. Lei mi guarda con quegli occhi da bambola e mi fa: "Mais Teo, tu es un peu sfigatò... Com’è che non sei andato alla festa e sei rimasto qui con me?". M’ha buttato l’amo, insomma».
E tu?
«A me piaceva la sua segretaria. Ma per combinare qualcosa aspettavo che Brigitte andasse a dormire, e lei invece sempre lì con ’sti dadi...».
Chissà gli amici.
«Rodevano di più perché in spiaggia mi aveva salutato Jane Fonda, te la
ricordi ai tempi di Barbarella? L’avevo conosciuta a una festa. Una mattina arriva sulla plage de Tahiti, gli occhialoni scuri, il cappello, si gira e fa: "Bonjour Teooo, ça va". A quelli gli cascava la mascella».
Uno sciupafemmine.
«Ma dai, figurati...».
Ma che figurati: mi hanno detto che ai tempi del Derby alle dieci di sera ti vedevano con una ragazza e a mezzanotte con un’altra. Le portavi in giro per Milano in spider, a turno.
«Ehhh... Invitarne una sola pareva brutto. Solo che la 124 era del patron del Derby, che me la prestava fino alle tre. E quando tornavo - alle cinque - mi correva dietro: "Ti te mèrit una manica di botte, te mèrit"».
In 40 anni di carriera hai conosciuto mezzo mondo. Ti faccio una proposta: io dico un nome e tu mi butti lì un aggettivo, il primo aneddoto che ti viene in mente, stile associazione d’idee. Ci stai?
«Associazione di cus’e?... Sì, sì, ci sto».
Ancora donne: la Berte.
«Facevamo Hair nel ’74, aveva 16 anni. Non ci crederai, ma era bionda e gentile. Filavo con sua sorella, Mia Martini».
Alba Parietti.
«Timidissima, torinese, era sposata con Franco Oppini, dei Gatti di Vicolo Miracoli. Quando si fermava a parlare con me arrivava Franco e diceva: "Vieni via, Alba, vieni via..."».
Ma eri un pericolo pubblico!
«Mai come Franco Califano. Negli Anni 70 abbiamo vissuto insieme a Roma: spariva per giorni, diceva che s’era innamorato. "Hai visto ’sta collanina? Me l’ha regalata Tizia, nun posso più vive’ senza de lei". Poi la settimana dopo la collanina non c’era più, e io gli chiedevo: "E Tizia?". E lui: "Tizia chi?"».
Mi spieghi come sei finito a casa di Salvador Dalì? «Ero in vacanza a Calaquès, in Spagna. Al pomeriggio, il suo agente girava per la spiaggia vestito da Capitan Findus, con un pappagallo sulla spalla, e invitava i giovani a bere a casa del maestro: c’erano Amanda Lear, i toreri, Verushka. Ricordo corridoi, quadri, statue, un posto pazzesco. Continuavano a invitarmi ma non capivo perché: mi mandavano perfino la Cadillac nera a casa. Poi l’ho scoperto: Gala, la moglie di Dali, si era innamorata di me».
Anche lei.
«Peccato che aveva 87 anni».
Basta donne. L’altra sera, a vedere il tuo spettacolo, c’era anche Adriano Celentano: dicono si sia commosso.
«Be’, insieme ne abbiamo fatte tante... Da ragazzino vivevo a casa sua, in adorazione, lo seguivo anche in bagno. E lui: "Eh no, qui no, aspettami lì"». (E fa Adriano, pari pari)
A quei tempi frequentavi anche Lucio Battisti.
«Non eravamo ancora nessuno. Un giorno andammo insieme a sentire la Vanoni che registrava. Volevamo salutarla, ci guardò appena e si girò dall’altra parte. Due sfigati».
E Renato Zero?
«Buono, come il pane. Gli facevo da guardaspalle: lui andava in giro vestito da baronetto con una piuma sulla testa. E se lo sfottevano intervenivo io».
Fabrizio De Andre.
«Passammo una notte intera in giro per Milano a raccontarcela su, non ti dico in che condizioni».
Con Cochi e Renato hai lavorato per anni.
«Ricordo pomeriggi interi al bar, fatti di caffè e nonsense. Ci divertivamo da pazzi. Poi ci siamo allontanati: Renato era diventato famosissimo, io molto meno. Ma io mi comportavo come prima, lui no».
E Jannacci?
«Un genio, un matto. In tournée studiava Medicina fino a notte fonda, poi, siccome era raffreddato, si metteva a dormire con due tamponi gialli infilati su per il naso. "Perché?" chiedevo io. E lui, con la sua parlata sbiascicata: "Mhhhpffff, losciò io, losciò io perché". Quando aprì l’ambulatorio ci andavamo solo io, Cochi, Renato e Boldi, Non si fidava nessuno».
Già, Boldi. Eravate una coppia d’oro.
«Ai tempi di Antenna 3 la gente registrava le partite di Coppa dei Campioni per vedere noi in diretta; arrivavano agli studi coi bambini e la birra, come allo stadio. Ma Massimo non c’aveva il fisico: dopo gli spettacoli lui e Cochi andavano a casa, mentre io e Renato...».
Capito. A Genova, negli Anni 70, giravi per taverne con Beppe Grillo.
«Facevamo le serate, ci pagavano con la cena. Beppe è un grande, uno che ha sempre combattuto da solo. A quel tempo era tanto preoccupato per suo figlio, che non stava bene. Credo ancora che quella preoccupazione l’abbia cambiato, perché dopo l’ho visto più schivo, più duro».
E Paolo Villaggio?
«Geniale. E perfido. Un giorno ti era amico e il giorno dopo ti mollava lì. Molto intelligente, ma anche molto solo».
Avevi un’adorazione per Nino Manfredi.
«Il più grande di tutti. Negli Anni 60, quando veniva a Milano per i Caroselli, mangiavamo spesso insieme. Mi vedeva arrivare e mi chiamava sulle note di Winchester cathedral, ma come se cantasse Un uomo in frack: "La prego, al mio tavoloooo". L’ho rivisto molto tempo dopo, giravo uno spot sotto casa sua. "A’ bello, damme un bacio, te ricordi quante cose?". Stava per morire, me lo disse sottovoce. Ma sorrideva». (E qui Teo si commuove).
 vero che ti capitava di bere il caffè con Roman Polanski?
«Sì, a Ibiza, in un bar di muratori. Ma non è una gran compagnia: è sempre serissimo».
E che Gianni Agnelli te ne ha dette quattro?
«Eravamo a Torino, alla festa della Fiat. "Ah, è lei che ha vovinato il calciatove...". Quale calciatore?, faccio io. "Cesare Maldini". Guardi Avvocato che son vent’anni che non gioca più... "Giocatove, allenatove, è lo stesso! Un’imitazione così può distruggeve un uomo!"».
 vero?
«Ma va’, Cesare si è sempre divertito. Lo conosco da quando ero ragazzo. "Coooomeee staaai!", mi faceva, al bar. «Cooosaaaa beeeviii?". Aveva appena smesso di giocare, usava ancora i toni del campo».
Sei uno dei pochi che può dire di aver sbattuto la porta in faccia a Silvio Berlusconi.
«Veramente la porta l’ha sbattuta lui, dopo una litigata pazzesca. Ero andato ad Arcore con Boldi, la macchina era la sua: dopo essere stato invitato a uscire mi toccò aspettarlo in giardino per due ore».
C’è un incontro che avresti voluto fare? Teo ci pensa su un bel po’.
«John Travolta».
Perché?
«Perché a vent’anni ero come lui. Ero il Tony Manero di viale Fulvio Testi, io».