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 2010  aprile 14 Mercoledì calendario

MICHELE PLACIDO

IL MAESTRO & FEDERICA Dopo otto anni Michele dice "sì".
Lui le regala un anello un giorno sì e uno no e le chiede: «Vuoi sposarmi?». Lui è l’uomo più affascinante, più difficile, più talentuoso di tutto il cinema italiano, Michele Placido. Lei, che lo farà capitolare quanto prima, è bella e misteriosissima. Praticamente Federica Vincenti, la compagna che ha dato al grande attore e regista l’ultimo figlio, Gabriele, non ha mai detto mezza parola in pubblico. La pizzichiamo al Teatro Argentina, dopo la recita dello Shylok di Moni Ovadia, che le ha fatto guadagnare ottime critiche, e in camerino indovinate chi c’è a complimentarsi? La mamma di Michele. Se si sposta dalla Puglia la matriarca, pensiamo, vuoi dire che le cose stanno proprio andando per il verso giusto. E Federica ci rilascia la sua prima intervista.
Sei la donna del mistero. Mi dici da dove sbuchi?
«Sono nata a Parabita, in provincia di Lecce. Classica famiglia tradizionale, papa lavora in Telecom, mamma casalinga, un fratello, Leonardo, che vuole fare il medico. Prima che Michele arrivasse a terremotare la mia vita ero una ragazza riservata che passava tanto tempo chiusa in camera a leggere libri di poesia». Quando hai scoperto di avere inclinazioni artistiche?
«Già a 6 anni suonavo il piano. Poi, mentre mi prendevo il diploma di ragioniera per non scontentare i miei, studiavo canto al conservatorio. Anche mio papà suona. A 16 anni mi esibivo nei piano bar e giocavo a pallavolo nella serie B2. Dopo la maturità, vedendo in tv Nino Manfredi che parlava dell’Accademia d’arte, ho avuto la folgorazione: anch’io voglio calcare il palcoscenico. Se dici a un padre come il mio che vuoi far l’attrice, lui ti risponde che sono stupidaggini. Se punti al teatro, che è più nobile, cede».
Diplomatica la Federica...
«Tutta la vita non ho fatto altro che cercare di mettermi nei panni degli altri». Gli altri chi?
«Prima di tutto i miei genitori, poi i figli di Michele. La nostra storia nasceva sulla carta come difficilissima se non impossibile e ora dopo 8 anni sono finalmente serena e non mi vesto più coi tailleur per sembrare più grande agli occhi della gente che giudica».
Come incontrasti Michele?
«Galeotta è stata mia nonna. Un giorno se ne esce: "Che bella voce Placido, recita a Gallipoli, andiamolo a sentire". Io ce la porto e Michele mi invita a cena con la compagnia».
Proprio non perde tempo.
«Che hai capito? Il primo impatto fu burrascoso. Mi sembrò duro e antipatico quando gli chiesi consigli per iscrivermi all’Accademia d’arte. "Non è la tua strada", mi disse, secco. "Ci vuole un impegno mostruoso". Insomma, bastonò i miei sogni».
Però poi vi siete rivisti.
«Per forza. Per i giovani lui è un punto di riferimento obbligato, è l’unico che coltiva i nuovi talenti con una generosità senza pari. Adesso per esempio sta preparando uno spettacolo da Fontamara di Silone con i dieci più bravi allievi dell’Accademia d’arte».
Ma tu hai cominciato a frequentarlo solo perché è un bravo maestro?
«No, che c’entra, io mi sono innamorata ed è stata una tragedia».
Come, come?
«Ho vissuto anni terribili. Per il malessere presi 10 chili, poi persi. Fa conto che io a Roma passavo tante ore in Accademia e l’Accademia si affaccia sulla casa dei figli di Michele. Lo vedevo entrare e uscire e mi tormentavo: "Io che gli dico a questi figli? Che cosa penseranno del padre che frequenta una ragazza così giovane?". Mi ribellavo al sentimento così grande e totalizzante che s’era impossessato di me e in cuor mio gridavo: "Miche’, perché sei venuto a scombinare la vita di una ragazza tranquilla?"».
Secondo te perché?
«Perché da dieci anni viveva solo, un po’ randagio, aveva bisogno di un’oasi di purezza, di normalità. Quando sono entrata a casa sua sai che ci ho trovato?» Che cosa?
«Un tavolo pieno di multe. Parcheggiava male e gli arrivavano le contravvenzioni. Viveva alla giornata».
Mi ricordo che faceva la spesa al mercato con l’amico Tumminelli e pareva sempre stropicciato.
«Non si vestiva, si trascurava. Io sono entrata nella sua vita facendo ordine. Tanto che a un certo punto gli ho detto, scherzando, ma non troppo: "A Miche’, comoda la fidanzata che fa da segretaria". Ho sempre pensato a tutto. Anche ora per un’intervista chiamano me».
Vabbè questo è il Michele incasinato, quello che una volta mi disse: "Chiamami mentre mi misuro le scarpe perché è l’unico momento in cui mi siedo". Ma l’homo eroticus, più segreto, com’è?
«Uno che ti porta a letto e ti chiede di leggere a voce alta Pirandello. Non scherzo. Alla dimensione più intima di Placido arrivi, con grazia, leggendo versi».
Io ho scoperto che tu c’eri, anche se non sapevo il tuo nome, quando Michele venne a presentare a Venezia il film Ovunque sei. Vado a intervistarlo e mi dice: «Sono a pezzi, ho lasciato in ospedale una persona che mi è tanto cara».
«Avevo perso il bambino che aspettavo, un dramma che ha avvicinato i nostri destini e in qualche modo anche ci ha riconciliato coi miei genitori che, lo puoi immaginare, erano allarmatissimi per la diffe-renza di età».
Pesa il divario di anni che vi separa?
«Ma che dici? Non lo vedi che è più fico di qualsiasi attore trentenne che c’è in giro? Io mi godo questi anni meravigliosi, con il nostro bambino Gabriele, con la consapevolezza che m’è toccato un uomo complìcatissimo, che però sa donarsi con generosità, che ha sempre un pensiero per gli altri, che non è mai meschino. Vivo l’attimo fuggente».
Però te ne vai in tournée con Moni Ovadia. Sei la Porzia del suo bellissimo Shylok, tratto dal Mercante di Venezia. In palcoscenico reciti Shakespeare, balli, canti. Vuoi una carriera tutta tua?
«Non rinuncio alla recitazione, al canto, alla musica. In casa ho di nuovo un pianoforte che mi riempie di gioia. Non me la sento di fare la donna ombra di Michele Placido anche perché lui non sarebbe affatto contento che mi appiattissi sulla sua persona. Però misurerò le mie forze, il mio impegno artistico terrà sempre conto delle esigenze della famiglia. Proprio per quel discorso che abbiamo fatto prima. Non voglio perdermi niente di questi anni meravigliosi».
Com’è lavorare con Moni Ovadia?
«Lui è un protagonista indiscusso della cultura oggi. In Shylok affronta il tema dell’essere ebreo, con implicazioni storico-politiche, morali, filosofiche. Moni Ovadia mi aiuta a capire meglio il nostro tempo. Già prima con Il romanzo di Ferrara, per la regia di Maccarinelli, avevo affrontato questi temi pesanti, nel ruolo della Micol del Giardino dei Finzi Contini».
Michele ti ha voluto anche nel suo film su Vallanzasca.
«A Michele non posso certo dire di no. Interpreto Giuliana Brusa, una ragazza che scriveva al bandito in carcere, proponendo sue foto, e che il bandito finì per sposare».
A giugno sarai all’Auditorium di Roma con uno spettacolo di Cerami, Italia mia, che si avvale anche delle musiche di Piovani. La famiglia si ritrova. «Ci ritroviamo a maggio. Ma non pensare che Michele si lagni delle mie assenze. Ha detto a Gabriele: "Meno male che quella chiacchierona di mamma è via per un po’. Noi facciamo la vita da signori"».
Coi figli di Michele come va?
«Il tempo lavora per me: li rispetto perché sono ragazzi perbene e mi sto guadagnando il loro rispetto».
Sei gelosa di Michele?
«Spiare il suo telefonino mi manda ai pazzi perché ci trovo sempre messaggi tipo: "Oggi eri così affascinante". Glielo faccio notare e lui, serafico, risponde: "Ma non sei contenta che il tuo sessantenne piace ancora?"».