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 2010  marzo 17 Mercoledì calendario

AMORE E VIRUS AI TEMPI DI MRS. JENNER

Difficile. Difficilissimo. Addirittura facile. Sì, scrivere di scienza, imbastire sull’argomento un breve racconto può essere molto facile, se si ci si guarda intorno. Viviamo circondati dalla scienza. Viviamo circondati dalla narrazione. Si tratta di intrecciare questi due elementi cercando di usare la stessa disinvoltura che usate per raccontare qualche balla ai vostri genitori.
Invece di teorizzare proviamo con qualche esempio: è di qualche tempo fa la notizia di una possibile cura per il morbo di Alzheimer. Un trafiletto uscito sui giornali nella pagina di scienza. Una di quelle notizie in cui la voglia di scoop del giornalista e la voglia di mettersi sotto i riflettori dei ricercatori sono evidenti. Per curare davvero questa malattia ci vorranno ancora parecchi anni, e fra le righe questo appare chiaro. Ma... - e qui comincia il nostro eventuale racconto - se a leggere quella notizia è un ragazzino di 10 anni, di un paesetto vicino a Napoli, che con i giornali ci incarta le uova al mercato, perché lui la scuola non la frequenta... tutte quelle sottigliezze vanno a farsi benedire. Quella notizia colpisce Gennariello come una folgorazione. E così eccolo radunare i suoi pochi soldi, acchiappare per mano suo nonno, la cui lucidità va e viene, ma che di tutta la famiglia è comunque quello più vicino e più affettuoso con lui, e andare a farlo «guarire».
Un viaggio iniziatico compiuto da un ragazzino testardamente sorretto da una speranza: a Roma, al Policlinico Umberto Primo, c’è «la medicina» giusta per suo nonno. Il loro è un viaggio lungo e breve assieme. Che finirà contro un muro. Sono dure come pietre le parole di un giovane medico così «buono» da perdere cinque minuti con loro per spiegare a brutto muso che la cura ci sarà, se ci sarà, fra 10 anni: «Quando tu sarai un uomo e tuo nonno... non ci sarà più». Gennarino e suo nonno sono sul treno regionale che li riporta al loro paesetto della circumvisuviana. Sono stanchi, silenziosi, il nonno ha capito metà di quel che è avvenuto. Ma coglie lo sconforto del nipote e allunga una mano verso di lui, mentre dal finestrino entra il rosso del tramonto. Gennariello ricambia l’abbraccio. Anche in quella terribile giornata c’è lo spazio per un attimo di sospesa felicità.
Proviamo con un altro spunto. Non attuale, ma storico. Molti di voi sono vaccinati. Alcuni, forse, hanno fatto anche il vaccino per il vaiolo, oggi non più obbligatorio, perché si ritiene questa malattia sia stata ormai debellata grazie all’intuizione di un medico inglese, Edward Jenner, che sul finire del ’700 si accorse come le donne che mungevano le vacche afflitte da peste bovina, pur colpite dal vaiolo dei bovini, non si ammalavano mai del vaiolo umano, quello sì davvero letale. Jenner non sapeva perché questo avveniva. Ma la convinzione che fra i due fatti esistesse un nesso lo indusse a iniettare sul braccio di suo figlio la materia infetta tolta dal braccio di una contadina. E poi a mettere il bambino che lui considerava (sperava, credeva) ormai immune a contatto con un uomo ammalato di vaiolo. Inutile dirvi che il piccolo non si ammalò. Jenner aveva visto giusto e nasceva così la pratica del vaccino, il cui nome deriva dal vaiolo bovino (o vaccino) di cui sopra.
Questi i fatti. Che già di per sé valgono un racconto. Ma se fate uno sforzo in più e raccontate l’accaduto con gli occhi del bambino, per niente contento di fare da cavia. O della signora Jenner, preoccupata di perdere il figlietto tanto amato, tutto diventa più mosso, più articolato. Anche se usate - questo è il mio invito - una lingua semplice, addirittura quotidiana. Immaginate che il racconto cominci così: «Quella notte la signora Jenner non riuscì a dormire. Sapeva che nulla avrebbe indotto suo marito a rinunciare. Ma non riusciva ad accettare quella dura verità». Quale verità? Cosa accadrà la mattina dopo? Perché la signora Jenner non si ribella (siamo nel ’700 e la volontà del marito è legge)... tutte cose a cui il racconto può rispondere, anche nello spazio di sei cartelle.
Cosa hanno in comune i due esempi che vi ho fatto? L’emozione. Sono dei racconti perché raccontano le emozioni. La narrazione non deve spiegare. Deve mostrare ed emozionare. Nelle scorse edizioni del premio molte liceali si sono misurate con lo stesso tema: quello della fecondazione assistita. Giustamente, nessuna delle studentesse si è dilungata sui metodi e sulle tecniche usate per fecondare. Tutte hanno alzato lo sguardo sulle emozioni, le ritrosie, i timori, gli entusiasmi di chi affrontava un’esperienza del genere. La scienza ce la raccontano in tanti. Basta allungare lo sguardo... e mettersi a scrivere. Buon lavoro.