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 2010  marzo 17 Mercoledì calendario

LO SCONTRO LIBIA-SVIZZERA


GHEDDAFI, JIHAD CONTRO LA SVIZZERA (riassunto del 26/2/2010, in Frammenti) -

Il 25 febbraio Muammar Gheddafi ha lanciato una jihad contro la Svizzera, paese «miscredente che distrugge le case di Allah»: il riferimento è ai minareti proibiti in novembre dal referendum elvetico. Il leader libico fa un appello al boicottaggio: «Le masse musulmane si mobilitino ovunque per non fare atterrare gli aerei svizzeri, non far attraccare le loro navi, fermare i loro prodotti».
La rabbia di Gheddafi è l’ultimo atto dello scontro scoppiato fra Tripoli e Berna nel luglio 2008 con il fermo a Ginevra del figlio Hannibal e della nuora per abusi su due dipendenti (due giorni dopo furono rilasciati su cauzione). Da allora i rapporti sono pessimi: la Libia ha fermato la vendita di petrolio, ritirato fondi dalle banche, bloccato due uomini d’affari elvetici. La Svizzera ha reagito con una lista nera di 188 libici a cui vietare l’ingresso, famiglia Gheddafi e governo compresi. Controreplica di Gheddafi, dieci giorni fa: bloccati i visti ai cittadini dei 25 paesi di Schengen.
 la prima volta che Gheddafi lancia una guerra santa, anche se ha fatto più volte uso politico della religione.

Gheddafi ha preso il potere con un colpo di stato nel 1969, a 27 anni. Avendo concordato con Usa e Gran Bretagna lo smantellamento dei programmi tesi a dotare la Libia di armi di distruzione di massa, è potuto tornare in Europa, ospite della Ue in una visita a Bruxelles, dopo quasi due decenni, solo il 27 aprile 2004: negli anni 80 era ritenuto soprattutto il regista delle stragi di Berlino e Lockerbie. Nel 2007 ha avuto il visto per Parigi, nel 2009 per l’Italia.

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Alla fine, il colonnello ha chiuso gli uffici della Nestlé a Tripoli, ha chiuso in gattabuia due dirigenti dal passaporto elvetico (ospitati in cella con una ventina di detenuti comuni), e ha chiuso anche il resto che più conta, cioè i rubinetti e - forse - i portafogli: minaccia di ritiro dei fondi libici dalle banche elvetiche, e da subito niente più petrolio libico alla Svizzera, almeno fino a quando non «chiederà scusa» per l’ arresto di Hannibal. E’ l’ ultimo atto della crisi diplomatica apertasi fra Tripoli e Berna: e al centro c’ è proprio lui, Hannibal Gheddafi, 32 anni, figlio più giovane del leader della «Gran Jamahiria Araba Libica Popolare Socialista», bloccato per quasi due giorni a Ginevra insieme con la moglie in stato di avanzata gravidanza, sotto l’accusa di aver minacciato e percosso due suoi domestici nell’albergo di lusso dove aveva preso alloggio. Un arresto considerato da Tripoli «un crimine orribile», tanto da essere punito con quelle che i diplomatici svizzeri definiscono «preoccupanti misure di ritorsione». [...]
Nella notte si continua a trattare, le linee diplomatiche fra i due Paesi sono - come si dice in questi casi - roventi. Ma preoccupano anche le prime dimostrazioni di piazza, che già si sono avute a Tripoli. Da Zurigo, l’ Unione Petrolifera ha precisato che solo un sesto del petrolio svizzero viene dalla Libia, e che non sarà difficile approvvigionarsi altrove. E però, secondo altre fonti citate invece dalla Bbc, la «dipendenza petrolifera» della Svizzera da Tripoli sarebbe ben più forte: arriverebbe addirittura al 50 per cento dei bisogni totali.
Quanto ad Hannibal Gheddafi, non si sa se sia tornato a casa. Il suo arresto era stato compiuto il 15 luglio nell’ albergo President Wilson di Ginevra, e si è concluso 48 ore dopo con una multa di 124.000 euro, più una cauzione addizionale di 186.000 per il rilascio della signora: i due coniugi erano giunti in Svizzera per farvi nascere il figlio. Sembrava solo uno dei vari episodi che nel tempo hanno avuto Hannibal come protagonista: un’ altra zuffa in albergo, con pistola in pugno e successiva condanna a quattro mesi con la condizionale, a Parigi nel 2005; l’ anno precedente, un fermo sugli Champs Elysées, per un semaforo rosso violato a gran velocità, qualche spintone e qualche bicchiere di troppo, secondo il verbale della polizia francese; e prima ancora, l’ estintore calato su tre poliziotti italiani in un albergo di Roma.
Luigi Offeddu, Corriere della Sera, 25/7/2008


HANNIBAL E I DOMESTICI (in Frammenti ) Parigi. «Essere al servizio di Hannibal vuol dire lavorare 22 ore al giorno quasi senza mangiare, cinghiate e sberle alla minima occasione, insulti e un salario da fame pagato una volta all’anno». Parola di Hassan e Mona (nomi falsi), ovvero del domestico marocchino e della collega tunisina che un mese fa osarono denunciare alla giustizia elvetica per sequestro e maltrattamenti Hannibal Gheddafi.
Quinto figlio della Guida alla Jamahiriya libica, pecora nera della numerosa famiglia del Colonnello, già noto per i frequenti «incidenti» capitatigli (o meglio da lui causati) nei suoi 32 anni di vita, ma comunque potentissimo. E ora infatti al centro di un caso che da umanitario e domestico ha assunto contorni giudiziari, diplomatici ed economici di portata internazionale.
A scovare Hassan e Mona, nascosti sotto alta protezione in un «centro medico segreto» in Svizzera, convalescenti nell’animo ma anche nel corpo (solo un mese fa erano coperti di lividi, graffi e tagli), è stato il quotidiano francese Le Monde. Che sotto il titolo «Parlano gli schiavi di Gheddafi», riportava ieri le loro testimonianze e gli ultimi sviluppi della faccenda.
[...]
La rottura delle relazioni con Berna è più volte minacciata. Hannibal (e tutti i Gheddafi) chiedono le scuse della Svizzera e l’archiviazione del caso, gli svizzeri ritengono che questo potrà avvenire solo se Hassan e Mona ritirano la denuncia. Altrimenti «la giustizia farà il suo corso» fino alla prevista condanna (seppur in contumacia) di Monsieur Gheddafi.
«Farete marcia indietro?» Chiede Le Monde ai due «ex schiavi». Lo farebbero, rispondono, «perché anche senza una condanna i Gheddafi resterebbero dei violenti e noi le vittime ». Ma nel frattempo l’ira di Tripoli ha toccato anche la famiglia di Hassan. La madre ha passato un mese in un carcere libico: liberata il 15 agosto è tornata in Marocco, dove i medici hanno certificato che durante la detenzione è stata stuprata e ha perso vari denti. Il fratello 24enne, invece, è scomparso in Libia dal 27 luglio, senza lasciar traccia. «So di che cosa sono capaci gli uomini di Hannibal», dice il povero Hassan, con lo «sguardo fisso e intenso di un sopravvissuto». Che però poi aggiunge, determinato: «Fino a quando gli svizzeri saranno trattenuti in Libia e mio fratello non riapparirà, noi non cederemo».
Cecilia Zecchinelli (Corriere della Sera 28/8/2008)


I DOMESTICI DI HANNIBAL RITIRANO LA DENUNCIA - I due domestici di Hannibal Gheddafi, quinto figlio del presidente libico, hanno ritirato la denuncia per maltrattamenti sporta contro di lui e la moglie il 15 luglio a Ginevra, che era costata al figlio del Colonnello due giorni di carcere. L’ ira di Tripoli aveva portato all’ arresto di due elvetici nella Jamahiriya e a vera crisi diplomatica tra i due Paesi. I due «schiavi», sotto alta protezione in Svizzera, avevano detto che avrebbero ritirato la denuncia solo se fosse ricomparso il fratello di uno di loro, che si teme sia stato ucciso in Libia. Ma ieri hanno ceduto di fronte a un grosso indennizzo pagato da Gheddafi e al diritto di restare in Svizzera.
(Corriere della Sera, 3/9/2008)


Si riapre la crisi Libia-Svizzera, dopo le gravi tensioni seguite al breve arresto a Ginevra di Hannibal Gheddafi, figlio del capo di stato libico. Tripoli ha annunciato il ritiro di tutti i suoi averi dalle banche elvetiche (circa 7 miliardi di dollari) e la sospensione delle forniture di petrolio.
(Corriere della Sera 11/10/2008)


[...] E’ successo, infatti, che un anno fa, nell’estate del 2008, il figlio del colonnello libico Hannibal e sua moglie incinta venissero arrestati a Ginevra in seguito alla denuncia per maltrattamento e sevizie sporta da due domestici nordafricani. Liberati su cauzione, nell’attesa di ottenere le scuse ufficiali dallo stato elvetico, il colonnello Gheddafi ha pensato bene di mettere in atto una ritorsione, facendo arrestare due ingegneri della ABB, residenti in Libia, con la scusa che il permesso di soggiorno era scaduto. Da allora, il contenzioso si è avvitato in una serie di figure fantozziane. Il ministro delle Finanze Hans-Rudolf Merz, per un anno presidente a rotazione della Confederazione, e oggi accusato di ”autismo” come i suoi concittadini dell’Appenzello, è partito il 20 agosto per Tripoli per porgere le scuse ufficiali al colonnello Gheddafi. Un Falcon 50 di stato era pronto a decollare con gli ostaggi, ma ha dovuto fare marcia indietro. Per rilasciare i due businessmen svizzeri, di cui si sono perse le tracce, Gheddafi chiede adesso che gli sia versata una cauzione di mezzo milione di dollari, e che si insedi un tribunale indipendente che con arbitrato internazionale statuisca la legalità dell’arresto del figlio Hannibal. [...]
Marina Valensise (Il Foglio 23/10/2009)


REFERENDUM MINARETI IN SVIZZERA
In Svizzera, contro le previsioni della vigilia, è passato il divieto alla costruzione di minareti. Nel referendum nazionale la proposta della destra populista, cioè del partito dell’Udc e di altre formazioni minori, è stata accolta con una maggioranza del 57,5 per cento. I sondaggi avevano indicato invece una maggioranza contraria alla proposta, del 53 per cento. L’iniziativa della destra populista elvetica ha ottenuto anche la maggioranza dei cantoni, necessaria in questo caso perchè il divieto a nuovi minareti comporterà anche alcune modifiche alle norme costituzionali.
La conferenza dei vescovi svizzeri considera il risultato di oggi «un ostacolo sulla via dell’integrazione e del dialogo interreligioso nel mutuo rispetto». Secondo il loro portavoce Walter Mueller si è arrivati a questo punto perché non si è stati capaci di dare una giusta risposta ad alcune paure legate all’integrazione di diverse religioni e culture. Sul risultato, secondo Mueller, ha influito anche la situazione dei cristiani, vittime di discriminazione e oppressione, in alcuni paesi musulmani. Il segretario generale della Conferenza episcopale svizzera, monsignor Felix Gmur definisce la decisione contro i minareti «un duro colpo alla libertà religiosa e all’integrazione». Gmur ha anche precisato che «i vescovi non sono contenti».
Solo quattro cantoni su 26 si sono opposti al divieto: Ginevra, Vaud, Neuchatel, Basilea Città. Attualmente i minareti, con le caratteristiche torri, in Svizzera sono quattro, le semplici moschee sono invece numerose. I musulmani nella Confederazione sono 300-400mila, su una popolazione di circa 7,5 milioni. Sin qui non si sono registrate tensioni particolari, ma la destra populista ha voluto lanciare un segnale marcato contro quello che ha definito il pericolo del potere islamico rappresentato dai minareti.
Una chiara sconfitta per il Governo di Berna e per i partiti di centro e di sinistra. Sconfitte anche le associazioni delle imprese, che si erano schierate contro il divieto e che temono ora ripercussioni negative nei rapporti economici tra Svizzera e paesi islamici. L’ export verso i Paesi islamici ha costituito nel 2008 il 7% del totale, un eventuale boicottaggio potrebbe causare danni rilevanti, soprottutto ai settori dell’orologeria, farmacia, banche e turismo.
A parziale consolazione per il Governo, il no (al 68%) al divieto di export di armi, che era stato proposto da formazioni pacifiste e di sinistra. Ma la scena ora nella Confederazione è occupata dall’inatteso e clamoroso no ai minareti.
Lino Terlizzi (Il Sole 24 Ore 29/11/2009)


La Libia ha sospeso la concessione di visti turistici a tutti i cittadini provenienti da Paesi dell’ area Schengen. La misura restrittiva, annunciata da una circolare del primo ministro Al Bagdadi Ali Al Mahmoudi, s’inserisce nel quadro delle difficili relazioni libico-svizzere, [...] La circolare, inviata ieri mattina all’ Ufficio dell’ Immigrazione libico, non spiega le motivazioni del provvedimento ma fonti diplomatiche hanno trovato un’ immediata connessione con la crisi in corso. Il documento sarebbe diretta conseguenza della pubblicazione a Berna di una «lista nera» di 188 personalità libiche, inclusi il Colonnello e molti membri della sua famiglia, alle quali è stato vietato l’ ingresso nel Paese elvetico. Per il quotidiano online Oea, vicino alla Fondazione Gheddafi, la lista comprende anche membri del Congresso generale del Popolo (Parlamento), del governo e «responsabili economici e dirigenti militari e dei servizi di sicurezza». La Svizzera è entrata nell’area Schengen il 12 dicembre 2008.
(Corriere della Sera 15/2/2010)


VISTI SOSPESI, LA LIBIA RICATTA L’EUROPA (in Frammenti) - «Questione di reciprocità» sostengono i libici. O di ritorsione. Come lo si voglia chiamare è un fatto – inusuale e diplomaticamente grave – che ieri la Grande Jamahiriya abbia bloccato l’ingresso a tutti o quasi i cittadini dei 25 Paesi dell’area Schengen. Nessun visto concesso a chi lo richiede, invalidità de facto per quelli già emessi. All’aeroporto di Tripoli, in un caos totale, già domenica sera molti europei, turisti e uomini d’affari, sono stati fermati. Tra loro 40 italiani: per alcuni la situazione si è sbloccata, sei sono stati rimpatriati. «Stiamo dando assistenza e cercando di risolvere tutti i casi singolarmente» ha dichiarato il console generale Francesca Tardioli dallo scalo nella capitale. Stessa situazione per i cittadini di altri Paesi tra cui Malta, Portogallo e Austria. Nessun problema per i britannici, non aderenti al patto di Schengen che consente di entrare in uno Stato membro ( quasi tutta l’Ue più Islanda, Norvegia e Svizzera) e spostarsi poi negli altri senza visti ulteriori.
Motivo della plateale iniziativa – certo imposta come tutto nel Paese da Muammar Gheddafi, anche se non ufficializzata – la guerra diplomatica in corso con la Svizzera dal luglio 2008 per una brutta storia di violenze commesse a Ginevra dal figlio playboy del Colonnello, Hannibal, e dalla moglie contro due domestici. Fermata per due giorni, la coppia eccellente era stata rilasciata, la denuncia ritirata (previo risarcimento), ma subito la Libia aveva arrestato due imprenditori svizzeri, tuttora «prigionieri» nella loro ambasciata a Tripoli nonostante uno sia stato scagionato (l’altro condannato a quattro mesi). Nel frattempo, la Libia ha richiamato diplomatici da Berna, sospeso i visti agli svizzeri, ritirato fondi dalle banche elvetiche, ridotto i voli e le forniture di greggio. Il referendum antiminareti ha poi ulteriormente aggravato i rapporti.
Tanto che sabato scorso il quotidiano del figlio-delfino di Gheddafi, Saif Al Islam, aveva rivelato che Berna aveva stilato una «lista nera» di 188 libici da bandire dalla federazione. «Tra loro – scriveva Oea (antico nome di Tripoli) – la famiglia del Leader, i membri del governo e i capi dell’intelligence». Nessuna conferma, né smentita, da Berna. Ma le «sanzioni» libiche erano nell’aria da tempo. «La Libia restringerà i criteri per la concessione ai Paesi Schengen dei visti d’entrata – scrivevano il 20 gennaio i media locali – dato che molti libici si vedono rifiutare visti Schengen su pressione di Berna».
« La Svizzera prende in ostaggio tutti i Paesi Schengen’ ha dichiarato ieri il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini – deve risolvere i suoi problemi ma non a spese di tutti». E ancora: la «lista nera» che comprende «addirittura il leader Gheddafi e il mio collega ministro degli Esteri» è misura inedita e applicata di solito a criminali, la Libia comunque «ripensi» alla sua decisione. L’Italia sta verificando assieme ai partner europei la «correttezza» della decisione elvetica e comunque solleverà la questione lunedì prossimo a Bruxelles, alla riunione dei ministri degli Esteri dei Ventisette, dove Frattini si aspetta una «decisione collegiale» da parte dell’Europa. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di «emettere un visto che vale per tutto il territorio Schengen salvo che per la Svizzera» ha suggerito il ministro. La Farnesina ha sconsigliato agli italiani di mettersi in viaggio per la Libia, anche se poi Frattini ha precisato che gli italiani in partenza «devono attendere qualche giorno» che si risolva la situazione, mentre i connazionali «che sono bloccati a Tripoli torneranno in Italia senza problemi».
Diversa la reazione della Commissione europea e di altre capitali Ue. «Deploriamo la decisione unilaterale e sproporzionata della Libia» ha detto la commissaria agli Affari interni Cecilia Malmström annunciando «entro la settimana» una riunione dei Paesi Schengen «per studiare appropriate reazioni».
Cecilia Zecchinelli (Corriere della Sera 16/2/2010)


L’ITALIA E IL COLONNELLO - «IL SOLITO GHEDDAFI» (Caracciolo, in Frammenti). Viene facile attribuire al temperamento eccentrico del leader libico la sua ultima sfida agli europei, ennesima puntata di una telenovela tragicomica. Una telenovela iniziata nel luglio 2008 con la detenzione a Ginevra del rampollo più giovane di Gheddafi, Hannibal, accusato di aver percosso due domestici in una delle svariate suites dell’Hotel Président Wilson dov’era ospite con la moglie incinta di nove mesi. Subito dopo, la sorella di Hannibal, Aisha, convocò una conferenza stampa nella lobby del cinque stelle per avvertire: «Occhio per occhio, dente per dente». E così fu.
A cominciare dall’arresto per rappresaglia di due cittadini svizzeri, oggetto di ripetuti processi-farsa a Tripoli e tuttora rifugiati nell’ambasciata della Confederazione. Da allora, il braccio di ferro elvetico-libico non ha avuto pause, fra minacce e ritorsioni reciproche. Per mettere fine a una disputa in origine piuttosto futile ma che ormai toccava interessi corposi del suo paese, a partire dalle importazioni di petrolio libico, nell’agosto 2009 l’allora presidente elvetico Hans-Rudolf Merz si umiliò, scusandosi formalmente con Gheddafi. Inutilmente.
Nella sete di risarcimento per il trattamento subìto dal figlio - il quale peraltro nel dicembre scorso ha confermato la sua fama malmenando la moglie in un albergo di Londra - lo scorso anno Gheddafi aveva tentato di sottoporre all’Assemblea Generale dell’Onu un progetto di spartizione della Svizzera. Lo smembramento avrebbe dovuto obbedire a criteri linguistici: i cantoni francofoni alla Francia, quelli germanofoni alla Germania e il Ticino a noi. Sul destino dei cantoni misti e dei reto-romanci - quarto gruppo linguistico della Confederazione Elvetica - Gheddafi non riteneva di entrare. Naturalmente l’idea fu respinta in quanto irricevibile, giacché la Carta dell’Onu esclude che uno Stato membro possa abolirne un altro. Anche se, secondo la «Guida della rivoluzione», la Svizzera è «una mafia mondiale, non uno Stato».
Negli ultimi giorni i duellanti hanno esteso il campo della tenzone, fino a farne un caso europeo. Prima le autorità elvetiche hanno stabilito che 188 alti esponenti libici, Gheddafi compreso, non hanno più accesso al territorio nazionale. Subito dopo, Tripoli ha risposto chiudendo le frontiere ai cittadini europei, britannici esclusi.
Il provvedimento riguarda in particolare i paesi dell’area Schengen, cui appartiene anche la Svizzera. Una lettura folcloristica di questa crisi non ne coglierebbe la gravità e il senso profondo. Gheddafi non è affatto pazzo, anche se sembra voglia convincerci di esserlo. Dal 1969 è il leader di una rivoluzione che, dopo lunghi anni di sanzioni americane e Onu, è stata riammessa dall’Occidente nel novero delle sovranità rispettabili. Rispetto che deriva soprattutto dal potenziale energetico della Libia, dalla sua collocazione strategica e dal suo contributo alla lotta contro il qaidismo e l’estremismo islamico. Per noi italiani, a questi motivi se ne aggiunge un altro: vorremmo che Tripoli bloccasse sulle sue coste i disperati che dal cuore del continente africano premono verso il Canale di Sicilia. E siamo disposti a chiudere entrambi gli occhi sui metodi impiegati dalla polizia libica per frenare questo flusso - quando non lo alimenta. Su questa base poggia il recente trattato italo-libico di amicizia, partenariato e cooperazione con cui Berlusconi si illudeva di chiudere il contenzioso aperto dalla nostra occupazione coloniale della Libia. «Meno immigrati clandestinie più petrolio», garantiva il premier. Senza contare gli investimenti di fondi sovrani libici in industrie e banche italiane.
Dei trattati a Gheddafi importa poco. Certamente non li considera un vincolo politico. Ad americani, britannici, italiani ed altri occidentali pare sfuggire che la Libia non è uno Stato come un altro, ma un regime rivoluzionario alimentato da una ideologia egualitaria di impronta beduina e da una geopolitica che sia nella versione panaraba che in quella panafricana verte sul più rigoroso antisionismo e sulla retorica antimperialista. Contrariamente a quanto spesso si sostiene o si spera in Occidente, il regime appare stabile e relativamente popolare. Grazie anche alle rendite energetiche e ai servizi sociali gratuiti, garantiti a tutti malgrado negli ultimi trent’anni la popolazione sia raddoppiata, superando i 6 milioni. Certo la Libia non è un paese povero: il pil pro capite era di 16.115 dollari nel 2008.
Sulla Jamahiriyah regna la «Guida della rivoluzione», il cui potere informale ma cogente si radica nei vincoli tribali e familiari come nelle strutture di intelligence e di repressione che hanno finora smentito le previsioni di chi considerava inevitabile il crollo del regime.
Si può piegare la Libia con severe sanzioni internazionali? Ammesso che qualcuno in Europa ne sia tentato, l’esperienza induce allo scetticismo. Dopo una lunga prova di forza, non è stato infatti Gheddafi a cedere all’America, ma l’Occidente a scommettere sulla possibilità di domare le velleità del leader libico per accedere alle risorse del suo paese. Se sia stata una scommessa vincente, o un autogol, lo stabilirà fra l’altro l’evoluzione della disputa in corso. Per ironia della storia, un test rivelatore per le velleità di politica estera dell’Unione Europea prende le mosse dall’extracomunitaria Svizzera. Baronessa Ashton, se ci sei, batti un colpo (si fa per dire).
Lucio Caracciolo (Repubblica 16/2/2010)


I DUE SVIZZERI A TRIPOLI - Anche se il risultato viene presentato come un passo verso la soluzione del contenzioso tra Libia e Svizzera nato dall’arresto di Hannibal Gheddafi, il figlio del Colonnello bloccato a Ginevra dal 15 al 17 luglio 2008, non sono state ore tranquille quelle che ieri hanno preceduto l’ uscita dall’ ambasciata svizzera a Tripoli di due cittadini elvetici nei guai da 19 mesi. Rachid Hamdani e Max Goeldi si erano rifugiati nella sede diplomatica dopo essere stati costretti a restare nella Giamahiria da quando, il 19 luglio 2008, furono accusati di aver violato leggi su immigrazione e attività commerciali. Da ieri i due sono in posti diversi. Il primo, che era stato assolto ed ha anche cittadinanza tunisina, ha varcato la porta per essere accompagnato al confine tra Libia e Tunisia. Il secondo, condannato a quattro mesi di reclusione, è uscito per raggiungere un commissariato. Successiva tappa prevista, il carcere di Ain Zara. Per scontare la pena, sperando che un ricorso la renda più breve. Era stata circondata dalla polizia libica a partire da domenica, l’ ambasciata elvetica. Una delle tante fasi di tensione dal giorno del 2008 in cui Hannibal venne fermato a Berna per aver picchiato due persone di servizio. Da una settimana presidenza spagnola dell’ Unione europea e Germania mediano tra la Svizzera, che ha iscritto Gheddafi padre più altri 185 libici in un elenco di indesiderati, e la Libia, la cui reazione a questo è consistita nel sospendere i visti per i cittadini dell’ area Schengen. Il governo italiano, in contatto con le parti, riserva in sede europea le sue difese soprattutto al Paese di Gheddafi. Domenica sera, a Tripoli il ministro degli Esteri libico Musa Kusa ha convocato alcuni ambasciatori dell’ Ue per chiedere di premere sulla Svizzera affinché entro mezzogiorno di ieri Goeldi si consegnasse alle guardie e Hamdani partisse. «Se l’ ambasciata non rispetta l’ ultimatum, saranno adottate misure», ha detto Kusa secondo l’ agenzia libica Jana. Silvio Berlusconi, nella stessa serata, ha telefonato al Colonnello. La conversazione, secondo il ministro degli Esteri Franco Frattini, «ha evitato l’ esasperazione, a fronte del fatto che l’ ambasciata era stata circondata dalla polizia e che alcuni ambasciatori vi si erano recati». Secondo Frattini «non c’ è stato alcun atto intimidatorio violento». Nel ricordare che aveva chiesto a Berna di evitare liste nere, il titolare della Farnesina ha aggiunto che «la Svizzera è l’ ultima arrivata tra i Paesi che aderiscono al Trattato di Schengen e deve seguire le regole». Stando al ministro austriaco Muchael Spindelegger sarebbe stata soltanto la presenza di altri ambasciatori europei, accorsi nell’ ambasciata svizzera, a evitare che la polizia assalisse gli uffici come avrebbe minacciato di fare.
Maurizio Caprara (Corriere della Sera 23/2/2010)


GUERRA SANTA CONTRO LA SVIZZERA, colpevole di voler vietare la costruzione dei minareti: il colonnello Gheddafi alza ancora i toni dello scontro contro la Confederazione elvetica, «infedele e apostata, che distrugge le case di Allah», chiamando addirittura alla jihad. Dopo l’incidente dei giorni scorsi, con l’"assedio" della polizia all’ ambasciata svizzera di Tripoli, il leader libico ha colto l’ occasione di una cerimonia per il Mouloud, la commemorazione della nascita di Maometto, a Bengasi, e non ha resistito alla tentazione di porsi come avanguardia islamica con accenti fondamentalisti. «Ogni musulmano nel mondo che abbia a che fare con la Svizzera è un infedele», ha detto Gheddafi, «è contro l’ islam, contro il profeta Maometto, contro il Corano». Per il leader libico, quella jhad «non è terrorismo». Ha trovato un uditorio ben disposto: migliaia di persone hanno applaudito ai suoi proclami, eccitate dall’ idea di lottare contro «chi distrugge moscheee minareti».
In realtà l’ "oltraggio all’ islam" è in un divieto: il 29 novembre scorso, 57 elettori svizzeri su cento avevano sbarrato la casella del "sì" alla proposta, avanzata dalla destra populista, di fermare la costruzione per nuovi minareti, oltre ai quattro già esistenti sul territorio della Confederazione. La nuova linea oltranzista del colonnello è arrivata fino alle minacce: «Se la Svizzera fosse stato un Paese confinante, le avremmo dichiarato guerra», ha detto Gheddafi, paragonando poi le restrizioni svizzere alle famigerate vignette blasfeme, «che raffigurano in modo orrendo le immagini del Profeta». Visto però che muovere le forze armate della Jamahirya attraverso il Mediterraneo non è facile, Gheddafi ha scelto di colpire nel portafoglio: «Boicottate la Svizzera, i suoi prodotti, gli aerei, le navi, le ambasciate», ha incitato. L’antipatia del colonnello per la Svizzera non è nuova: risale già all’ estate del 2008, quando suo figlio Hannibal era stato fermato a Ginevra dopo una denuncia di maltrattamenti da parte dei domestici. Ma stavolta la prima vittima della guerra santa rischia di essere, prima ancora dei prodotti elvetici, il ministro italiano dell’ Interno Roberto Maroni, che appena poche ore prima dell’ uscita di Gheddafi aveva raccomandato ai partner di non irritare gli amici di Tripoli. Maroni stava cercando di alleggerire la tensione con l’ Europa, innescata dalla decisione libica di vietare l’ ingresso sul suo territorio a cittadini di paesi dell’ area Schengen, proprio in rappresaglia contro la politica anti-islamica di Berna.
A Bruxelles il ministro cercava di spiegare ai colleghi europei le perplessità italiane sulla "lista nera" compilata proprio dalla Svizzera per l’area di Schengen, un elenco che contiene i nomi di 189 cittadini e dirigenti libici, compreso quello di Gheddafi. Il motivo della preoccupazione di Maroni è palese: se passasse l’ utilizzo degli accordi per risolvere questioni bilaterali, argomentava il ministro, «sarebbe la fine di Schengen». «Non credo sia giusto che uno strumento di cooperazione internazionale sia utilizzato per forzare su questioni bilaterali», aveva detto Maroni ai partner, aggiungendo in modo più esplicito: «Non possiamo permettere che tensioni portino al deterioramento dell’ ottimo rapporto che l’ Italia ha con la Libia». L’articolo 96 del Trattato, ricordava il ministro, «dice che la lista nera deve contenere nomi che mettano seriamente ed effettivamente a rischio la sicurezza nazionale».
Ma il titolare del Viminale vede anche un problema tutto italiano: se i rapporti con Tripoli si complicano, in pericolo c’ è l’ Accordo di amicizia e partenariato dell’ agosto 2008 che accanto a quella del leader libico porta la firma di Silvio Berlusconi. Insomma, ammette Maroni, il timore è che Tripoli «allenti i controlli alle frontiere». Secondo l’ intesa di due anni fa, duramente contestata da Amnesty International, la Libia si impegna a frenare la partenza dei migranti verso l’ Italia, anchea costo di una repressione molto dura. «Anche alla luce di questa vicenda» dice il portavoce di Amnesty Riccardo Noury, «ci auguriamo che il governo riconsideri l’ accordo con un paese che viola abitualmente i diritti umani».
Giampaolo Cadalanu (Repubblica 26/2/2010)


«La Libia ha deciso di imporre un embargo totale su tutti gli scambi economici e commerciali con la Svizzera» ha annunciato ieri il portavoce del governo libico, Mohammad Baayou, pochi giorni dopo la proclamazione della Guerra santa contro Berna da parte del colonnello Muammar Gheddafi. Tripoli ha inoltre deciso ieri di «adottare alternative per i medicinali e le attrezzature mediche e industriali importate finora dalla Svizzera».
(Corriere della Sera, 4/3/2010)