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 2010  marzo 07 Domenica calendario

STORIA D’ITALIA IN 150 DATE

22 Maggio 1873
Manzoni, chi era costui?
Muore Alessandro Manzoni, a ottantasette anni. Pochi giorni prima è andato a messa nella chiesa di San Fedele, vicinissima a casa sua, e uscendo è scivolato e ha battuto la testa su uno scalino. Un banale incidente, ma un suo amico racconta che un mese prima l’aveva visto molto indebolito e taciturno, incapace ormai di sistemare i ciocchi sul fuoco, operazione di cui era gelosissimo. La sua è stata una vita di straordinaria intensità, anche se per tutti noi la sua immagine resta quella di uno scrittore appartato, schivo, silenzioso, sommerso dai libri della sua immensa cultura. Di lui tutti ricordano le serate di «conversazione», la sua voce affabile, lieve, amica, i suoi discorsi che non cedono mai al minimo luogo comune. Eppure questo vecchio gentiluomo milanese così compito e sorridente è passato per tutte le fondamentali esperienze del suo tempo, i circoli illuministi, neoclassicisti, romantici, le polemiche sulla lingua, sulla tragedia, sul romanzo storico, le imprese di Napoleone, la repubblica cisalpina, l’occupazione austriaca, i primi moti risorgimentali. In gioventù è stato un ateo irridente, passando poi a una religiosità ferma ma non fanatica che ne fa un modello di cattolico liberale. Oltre a mettere al mondo un numero considerevole di figli, scrive moltissimo, lettere e saggi teorici, tragedie, poemi e poemetti, inni, traduzioni. Senza partecipare a congiure e società segrete crede appassionatamente nell’ideale dell’unità italiana. Sotto la guida, per lui l’unica possibile, dei Savoia e del Piemonte. Passa lunghi periodi nella sua villa di Brusuglio, ereditata dall’amante della madre Giulia Beccaria, e cura amorosamente le sue terre, si fa prendere dalla voga dei bachi da seta. Passeggia lungo il lago Maggiore col suo amico Rosmini, discute, progetta, torna accanitamente allo scrittoio. Un grande intellettuale, certo, di cui però oggi solo pochi eruditi studierebbero «Ei fu siccome immobile» e «sparsa le trecce morbide». Ma da questo instancabile sperimentatore, attraverso una gestazione interminabile, nasce infine il romanzo supremo della letteratura italiana, I promessi sposi. Opera raffinatissima, di «genere» e nello stesso tempo testo scolastico immediato, un classico. Letto e riletto, le sapienti spirali di quella prosa non cessano mai d’incantarci. Nel primo anniversario della morte viene eseguito per la prima volta il Requiem che Giuseppe Verdi ha composto per lui. Ma non c’è italiano, o almeno si spera, che non si chieda ancora sorridendo «Carneade? Chi era costui?».