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 2010  marzo 13 Sabato calendario

INTRIGHI, TANGENTI, AMANTI: CARLO DOSSI SENZA CENSURE

Ritornano le Note azzurre, il gran libro di Carlo Dossi. Hanno avuto una vita tormentata, sono state stampate, censurate, nascoste in un granaio per quasi dieci anni, pubblicate nel 1964, infiorate di pudichi asterischi al posto dei nomi di persone che avrebbero potuto risentirsi per i fatti poco nobili raccontati, oltre che per i crudi giudizi espressi su di loro, con 12 note, le più imbarazzanti, cancellate del tutto. Adesso Adelphi ripubblica le 5.794 Note azzurre come le scrisse lo scrittore, dal 1870 al 1907, senza asterischi, comprese quelle 12 note dello scandalo. passato un secolo dalla morte di Alberto Carlo Pisani Dossi - il suo nome per esteso - avvenuta il 16 novembre 1910. Per motivi letterari, storici e politici questo è uno dei centenari più importanti dell’ anno: sono previsti convegni nazionali e internazionali, mostre, la digitalizzazione dell’ archivio privato e dell’ archivio pubblico del Dossi che fu anche diplomatico e uomo politico oltre che archeologo. La casa editrice Adelphi rende giustizia al Dossi. Pubblica, così come sono, quel migliaio di copie distese a lungo nel granaio di Corbetta, vicino a Magenta, nel milanese, una grande casa-fattoria dello scrittore. Pubblica anche una plaquette di Niccolò Reverdini, il bisnipote, che ricostruisce la faticata vicenda editoriale delle Note azzurre. E oltre a quelle copie che non furono neppure rilegate, dalla copertina color carta da zucchero, stampa il libro anche in edizione economica. «Uno zibaldone scritto con l’ occhio a un eventuale pubblico», annotò Dante Isella, che delle Note azzurre fu la paziente levatrice. In 16 grandi quaderni Carlo Dossi scrisse per decenni con un nervosa calligrafia vere e proprie storie, una miniera, abbozzi di racconti, la politica del neonato Stato unitario, aneddoti, bizzarrie, etimologie, il linguaggio, le lingue, i dialetti, i grandi personaggi, Vittorio Emanuele II in pose poco regali, Garibaldi, Manzoni, Cattaneo, i ministeri romani, gli intrighi della capitale, le camere da letto, i pettegolezzi del tempo, i personaggi, l’ amatissimo Giuseppe Rovani, gli scrittori e gli artisti della Scapigliatura che nel 1862 prese il nome da un romanzo di Cletto Arrighi, movimento antiborghese e antiromantico di cui Dossi fece parte con Tranquillo Cremona, Luigi Conconi, Luigi Perelli, Arrigo Boito. Lo scrittore conosce le lingue, legge negli originali gli amati Cervantes, Swift, Sterne, Baudelaire, ma anche gli autori greci e latini, Giovenale, soprattutto, e il Seneca delle Epistole. Nel suo zibaldone salta di palo in frasca, i grandi dell’ epoca visti da vicino, ma anche la lavandaia, la fruttivendola dell’ angolo osservate con smisurata attenzione. Dal fatto minuto arriva al cielo dell’ essere e racconta. Un’ osteria è un palcoscenico impagabile per uno curioso e spiritoso come lui e così una strada, un ballatoio di comari. Ma conosce i segreti della politica interna e internazionale, adopera la statistica, la psicologia. Quel che scrive è di prima mano, una preziosa fonte di informazioni sui vagiti del nuovo Stato unitario. Ha infatti una posizione privilegiata, il Dossi, diplomatico al ministero degli Esteri, ciambellano del cifrario, a lungo capo di gabinetto di Francesco Crispi e poi all’ estero nelle ambasciate e nei consolati dove prestò servizio, console generale a Bogotà, quasi esiliato, vittima dello spoil system d’ epoca, poi ambasciatore ad Atene e di nuovo in Italia dove ebbe incarichi di responsabilità. lui che nel 1887 e nel l889 scrive la bozza del discorso della Corona letto in Parlamento da Umberto I, riorganizza il ministero degli Esteri dove si fa molti nemici, dà il nome alla nuova Colonia Eritrea, conosce le segrete cose, le rivalità, le simpatie, le antipatie, le malversazioni, i caratteri degli uomini, delle fazioni e delle frazioni di governo e di opposizione e ne scrive senza autocensure. Conservatore disincantato, eccelle nei giudizi pungenti, non si fa intimorire dagli spiriti compromissori e servili, dai maneggi e dagli intrighi, e infatti la sua carriera politico-amministrativa è piena di intoppi. Anche con Crispi i rapporti finiscono con l’ incrinarsi. Lo scetticismo, la spietata sincerità, l’ humour nero, la fragilità psicologica, la nevrastenia galoppante, il carattere poco morbido, la bizzarria, il gusto della contraddizione contribuiscono a farne uno spirito libero privo di modelli. «Pensieri di un libertino dell’ Ottocento», scrive Isella nell’ introduzione alle Note azzurre del granaio e di oggi, «è il titolo sotto cui si potrebbero idealmente riunire queste note di costume: immagine della società italiana» (...) «Pensieri, giudizi, spesso anche solo aneddoti, che ci danno insieme l’ immagine più scoperta di un’ intelligenza singolarissima, condannata dalla sua stessa qualità a un sofferto, nostalgico isolamento». «Son settimino, e nato da una madre in fuga, senza levatrice, fra gli ultimi echi delle cannonate infauste della battaglia di Novara (1849)» scrive il Dossi nella nota n. 2.368 delle Note azzurre. Il suo paese natale è Zenevredo (ossia Ginepreto, odoroso e ispido, il suo carattere), tra i colli dell’ Oltrepò pavese, figlio di un ingegnere-architetto, di aristocratica famiglia, come quella della madre. Il nonno Carlo fu condannato a morte nei processi carbonari del 1821, esule in Svizzera per un ventennio e la Confederazione, con moto liberale, concede la cittadinanza a tutti i discendenti, vita natural durante. Cresce a Milano, abita in via Monte Napoleone dove il padre ha aperto lo studio. letterariamente precoce: nel 1861 scrive un Don Chisciotte della Mancia; nel 1864 scrive La cacciata del re, tragedia in due atti per marionette. Nel 1866 si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’ università di Pavia, dove si laurea con una tesi in Diritto romano. Nel 1869 scrive L’ altrieri, una memoria d’ infanzia, stroncato dalla «Perseveranza», il quotidiano conservatore. Nel ’ 70 pubblica La vita di Alberto Pisani, il romanzo dell’ adolescente (tirature limitate, a spese dell’ autore). In quegli anni la sua vena letteraria è prodiga: Ona famiglia de Cilapponi (1873); La desinenza in A (1878); Goccie d’ inchiostro (1880). Nel frattempo è morto il padre e per la famiglia sono anni difficili. Vince il concorso per un posto di volontario (senza stipendio) nella carriera diplomatica. il primo in graduatoria. Amori esce nel 1887. Nel 1892 sposa Carlotta Borsani, donna intelligente e religiosa che per tutta la vita, e dopo, ha cura del Dossi che le è profondamente legato. Gran lavoratore, nelle pratiche d’ ufficio non si risparmia. una specie di portavoce di Crispi, svolge un’ intensa attività diplomatica per stabilire buoni rapporti con il negus Menelik, sovraintende ai possedimenti italiani del Mar Rosso. Mutano i governi, i presidenti del Consiglio, i ministri. Il Dossi, nonostante le sue riconosciute qualità, nel 1901 viene collocato a riposo d’ autorità. Il 21 agosto legge la notizia sul «Corriere della Sera». Anche l’ Italietta non andava tanto per il sottile. Il Dossi ha poco più di cinquant’ anni. Rifiuta l’ alta onorificenza di sua maestà il re che avrebbe dovuto sanare la piaga inflitta a quell’ eccezionale servitore dello Stato. Si occupa allora del Dosso Pisani, la grande villa che costruisce sul lago di Como, di fronte a Brunate. Il progetto originale è di Luigi Conconi. un vero monumento, il Dosso. Pietra grigia e marmi bianchi, la facciata alta 36 metri. Tra il Liberty e l’ Eclettismo ricorda, più che il tempio della Scapigliatura, i modi di Otto Wagner e dello Jugendstil. Le strutture a diversi livelli, l’ asimmetria della costruzione, i pinnacoli, le statue, offrono coi loro giochi irregolari, di volumi, di luci, di ombre, di ricami scultorei, sensazioni di gusto romantico-decadente. Sulle colonne del Portico degli amici il Dossi volle le famose epigrafi celebrative, Rovani, Crispi, Lombroso, Lucini, De Amicis. C’ è anche il Carducci - «per lui l’ Italia riebbe la lingua di Dante» - poco amato però nelle Note azzurre. L’ ispirazione letteraria langue, la vena si è rinsecchita. Le Note azzurre, invece, non vengono mai trascurate. Le scrive su minuscoli foglietti, su cartigli trovati lì per lì, poi le trascrive con una minutissima calligrafia sui grandi quaderni - sedici - dalla vita inquieta come il loro autore. cosciente della sua aridità creativa. Affida proprio alle Note azzurre il suo destino di scrittore? Dopo la morte, un secolo fa, comincia la via crucis dello zibaldone. Nel 1912 Carlotta, la moglie del Dossi, ne pubblica - editore Treves - un’ antologia. Piace a Benedetto Croce, ne scriverà sulla «Critica»: parla di «linguaggio interno», di «forma insueta». Nei decenni escono qua e là altre opere, ma è di Dante Isella il merito dell’ esistenza delle Note azzurre. Gliene ha parlato Gianfranco Contini, di cui è stato allievo a Friburgo negli anni della Seconda guerra mondiale, e ne è rimasto affascinato. Si laurea a Firenze nel 1947 con Attilio Momigliano e Bruno Migliorini con una tesi sulla lingua e sullo stile del Dossi. Può vedere i grandi quaderni delle Note azzurre nella biblioteca del Dosso. Franco Pisani Dossi, il figlio dello scrittore, gli concede di trascriverle. Un’ impresa ardua decifrare quella calligrafia minutissima. Tutti i giorni Isella, che abita a Varese, dov’ è nato e dove il padre è proprietario di una ditta di spedizioni e trasporti, sale in bicicletta al Dosso. Più di 40 chilometri, andata e ritorno, una fatica non da poco perché Isella lavora nella ditta che ha ancora dei carri tirati dai cavalli e sta preparando la libera docenza. Don Franco - come lo chiama Isella - non molla i quaderni e Isella, dal 1952 al 1954, va su e giù nonostante garantiscano per lui Gianfranco Contini e Carlo Linati. Franco Pisani Dossi vuol pubblicare lo zibaldone, suo desiderio è che se ne occupi il Croce. Il filosofo si defila. Isella resta l’ unico candidato. Don Franco si rivolge agli editori Guanda e Longanesi che rifiutano di pubblicare il libro, i costi sono troppo alti. Salta fuori - l’ idea deve essere di Isella - la Ricciardi, la casa editrice di Raffaele Mattioli, il coltissimo banchiere. Affare fatto, don Franco si addossa tutte le spese. Qui c’ è un altro mistero. Mattioli non è un mecenate. Segue la nascita e il crescere di ogni libro con acribica passione. Con le Note azzurre, invece, è distratto da altre cure. In corso d’ opera, viene a sapere di quel libro, una bomba incandescente. Legge e rilegge le Note, ne parla con Isella. Alla ricerca di rimedi si preoccupa di quel che un simile libro può provocare. un uomo libero e coraggioso. Nel 1937 ha messo in salvo i Quaderni del carcere di Antonio Gramsci che gli sono stati consegnati da Tatiana Schucht dopo la morte del cognato nella clinica Quisisana di Roma. (Un’ altra contraddizione nazionale: il più potente banchiere d’ Italia anche durante il fascismo, che custodisce i preziosi scritti del capo comunista). Ma adesso è in grave imbarazzo. La banca per lui è il sommo bene da tutelare e la banca può precipitare in una pericolosa bufera. Parla con Giacomo Delitala, gelido signore sardo, professore di Diritto penale alla Statale di Milano, illustre avvocato. anche un gran censore, vuol togliere, tagliare. Tutto quel che riguarda le cattedre, il clero, l’ autorità, le famiglie influenti, i parenti dei politici, i racconti boccacceschi. un tira e molla impossibile. Per Mattioli è una decisione sofferta, il libro, già stampato, è soltanto da rilegare. Don Franco dice «lasciamo perdere». Mattioli decide di dividere le spese a metà. Passano un po’ di anni. Le Note azzurre, nel 1964, vengono pubblicate da Adelphi, curate da Isella che aggiorna la prefazione dell’ edizione bocciata nel 1956. Restano fuori - il consulente è Alessandro Galante Garrone - dodici note: una contessa di Udine che vende la figlia tredicenne a Vittorio Emanuele II e ne ha gran giovamento, carrozza e cavalli; le licenziose poesie giovanili del Manzoni e le «accuse di pederastia»; di nuovo Vittorio Emanuele II avido di donne che nella notte grida all’ aiutante di campo: «Una fumna, una fumna!»; cattiverie su Ferdinando Martini, amanti e corna di Stato; storie di ministri e di corruzione; vigliaccherie di uomini famosi; la non esemplare moglie di Crispi; gli affari di un ministro degli Esteri e le miserie dei burocrati carrieristi. Ora sono stati tolti tutti i veli e i sigilli. La Scapigliatura ha vinto la partita.
Corrado Stajano