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 2010  marzo 08 Lunedì calendario

MONTI, CHIRURGO COL VIZIO «NERO» DEL GOLPE 1970


Ricorre quest’anno il quarantennale del fatidico 1970, anno cruciale della nostra democrazia, e snodo drammatico del disegno eversivo messo in atto da alcune galassie della destra extraparlamentare o sommersa, eternamente in attesa di ordini nell’esercito, nei partiti, nei servizi segreti e nei gangli vitali dell’apparato burocratico, affinché si potesse per sempre scongiurare la possibilità di un’invasione sovietica, o un’eccessiva vicinanza tra forze cattoliche e conservatrici e forze di sinistra.
Il 1970 inizia con la rivolta di Reggio Calabria, e termina, nella notte tra il 7 e l’8 dicembre, con il tentativo di colpo di Stato conosciuto come golpe Borghese. Nessuno ha mai comprovato il legame tra i due movimenti, ma è evidente che la rivolta di Reggio, capeggiata da Ciccio Franco e dal M.S.I., e seguita attentamente da esponenti della giunta militare dei colonnelli greci, aveva come obiettivo un ordine nuovo in Italia, così com’è evidente che il golpe Borghese, che tentò di attuare, sei anni dopo, le direttive del piano Solo, aveva come obiettivo quello di sospendere la democrazia parlamentare nel nostro Paese, e di creare una giunta militare di destra, proprio come quella greca dei colonnelli, che durò dal 1967 al 1974.
L’uomo che mi sta davanti in un antico caffè di Ostia è un brillante ottantenne dalla storia avventurosa. Si chiama Adriano Monti, ed è figlio di un sottosegretario della Repubblica di Salò (il cui nome però non è mai citato nella Storia della Repubblica di Salò di Frederick William Deakin), responsabile presso il ministero delle Corporazioni. Di mestiere Adriano Monti fa il chirurgo, ma il suo nome resterà nella storia per un altro motivo, perché Monti è stato, in quel fatidico 1970, l’ambasciatore presso alcuni Stati esteri del piano golpista ideato e programmato dal principe Junio Valerio Borghese, leggendario comandante della X Mas.
Adriano Monti si arruolò a Bergamo, quindicenne, con le SS, e per questo motivo non fu mai ucciso dai partigiani (i partigiani avevano l’ordine di non torturare né uccidere i tedeschi). Poi, nel dopoguerra, si ritrovò ad essere avvicinato, da fervente fascista e occidentalista, nella rete segreta Gehlen, servizio segreto tedesco dal 1934 fino al 1945, specializzato nell’intelligence nei Paesi dell’Est (servizio segreto passato in toto, nel dopoguerra, sia pure in posizione parallela, nelle mani della CIA), e proprio per conto di Gehlen ha svolto missioni in Inghilterra, Francia, Svezia e in Medio Oriente, dove è venuto a conoscenza di un attentato (sventato grazie al Mossad) a Henry Kissinger e a Re Hussein (retroscena raccontato nel romanzo-verità Obiettivo Petra, in uscita proprio in questi giorni).
Nella primavera del 1970 Adriano Monti viene avvicinato da un amico giudice che gli chiede di sondare presso gli ambienti americani la loro reazione sull’eventualità di un golpe in Italia sul modello di quello greco. Adriano Monti vola in Spagna e incontra Otto Skorzeny, leggendario soldato austriaco delle SS che era diventato famoso per aver liberato Mussolini nel 1943 dalla prigionia sul Gran Sasso. Skorzeny, che non a caso vive nella Spagna fascista di Francisco Franco, gli dice di aspettare qualche giorno. E, dopo qualche giorno, arriva il responso: gli americani non hanno nulla in contrario, a condizione che gli Usa rimangano fuori dal piano e che a capo del nuovo «Governo di salute pubblica» venga messo Giulio Andreotti. Dopo qualche settimana Adriano Monti riesce ad avere un incontro riservato anche con l’assistente personale del Presidente Richard Nixon, Mr. Klein, al quale pone la stessa domanda rivolta a Otto Skozeny. E, dopo qualche giorno di attesa, il responso è lo stesso: nulla in contrario, a condizione che a presiedere la giunta militare sia un uomo di fiducia degli Usa, ovvero Giulio Andreotti.
In una puntata di La storia siamo noi Adriano Monti ha raccontato tutta la verità sul suo coinvolgimento nel golpe Borghese; pure, nella stessa puntata è stato intervistato Giulio Andreotti, che ha smentito ogni addebito e, come spesso accade quando lo si chiama in causa sulla parte oscura della nostra storia, è caduto dalle nuvole. Ma Adriano Monti mette le mani avanti, e ribadisce di riferire solo quel che gli è stato detto – il nome di Andreotti l’hanno fatto Skorzeny e Klein, non Monti, il cui ruolo era soltanto quello di sondare a livello internazionale le reazioni sulla possibilità di un golpe militare in Italia. Su questa storia ha anche scritto un bel libro, Il golpe borghese, uscito nel 2006 per la casa editrice bolognese Lo Scarabeo.
Pochi lo sanno, ma l’uomo anziano che mi sta davanti in un caffè di Ostia, in una grigia mattina invernale, sarebbe dovuto essere il ministro degli Esteri del «governo di salute pubblica» voluto dalle destre e dagli americani. Mi sottolinea che tutto quel che ha fatto lo ha fatto per difendere la patria dalla possibilità di un’invasione sovietica, che non ha mai guadagnato per sé aderendo alla rete Gehlen, e che tutto quel che ha fatto lo ha fatto spinto soltanto dalla fedeltà ai principi fascisti e occidentalisti.
Ma perché il golpe Borghese fallì? Cosa accadde davvero la notte tra il 7 e l’8 dicembre del 1970? Adriano Monti non lo sa con certezza, ma ricostruisce per l’ennesima volta la sua posizione, che gli ha anche procurato sei mesi di carcere a Regina Coeli nel 1974. Dunque, anzitutto Monti ci tiene a precisare che il suo ruolo fu relativamente marginale, nel senso che lui non fece altro che sondare le reazioni internazionali all’eventualità di un golpe, e che incontrò Junio Valerio Borghese soltanto una volta, nell’estate del 1970, in una villa sulla Flaminia vecchia, e che in quell’occasione si parlò di tutto tranne che del golpe («Era un uomo basso di statura, ma era un comandante vero, ti metteva soggezione, avevi paura anche a parlare, per il timore di dire sciocchezze»).
Il 7 dicembre l’imprenditore Orlandini chiede a Monti di spostarsi a Roma perché la notte sarebbe scattata l’operazione Tora! Tora!. Monti termina di visitare i pazienti in un ambulatorio di Rieti e in tarda serata scende a Roma, a casa di amici, dove attende una telefonata. Scocca la mezzanotte, ma tutto tace, il telefono non squilla.
Eppure era tutto pronto. I carabinieri, le guardie forestali, settori della polizia, i paracadutisti di Livorno, i lagunieri di Venezia, i bersaglieri, i vigili urbani di Roma, settori dell’esercito, tutti erano pronti a occupare il ministero degli Interni, a far firmare il decreto di scioglimento delle Camere al Presidente socialdemocratico Giuseppe Saragat, a occupare la sede Rai di via Teulada, dove sarebbe stato letto un primo comunicato alla nazione, e ad arrestare tutti i principali esponenti della sinistra eversiva. Invece l’ordine Tora! Tora! non arrivò mai, e tutto il piano golpista si sciolse come neve al sole.
Monti sostiene che a mezzanotte sarebbe dovuto arrivare un generale da Torino, ma che questi si rese irrintracciabile all’ultimo momento. Per ordine di chi? Chiedo a Monti cosa sarebbe accaduto se il golpe fosse davvero avvenuto. Il medico reatino non si sottrae alla domanda, e mi risponde che ci sarebbe stato un «governo di salute pubblica» per quindici mesi (senza Parlamento, che sarebbe stato sciolto), e che questo governo avrebbe accompagnato il Paese a elezioni democratiche con la sola esclusione dei partiti di sinistra. Controbatto che si sarebbe andati dritti alla guerra civile. Ma Monti solleva le mani e si nasconde interamente nelle confuse incognite della storia.
La notte del 7 dicembre del 1970 il medico Adriano Monti, in un appartamento del quartiere Prati, attende trepidante una telefonata da Orlandini. E la telefonata arriva alle quattro del mattino. Orlandini però gli dice seccamente che «non se ne fa più nulla, è tutto sospeso». E quando all’alba Adriano Monti rientra a casa, la moglie è convinta che suo marito abbia un’amante, non si spiega altrimenti un così clamoroso ritardo, ma Monti non può dire neanche alla moglie il vero motivo del suo ritardo, e si arrampica disperatamente sugli specchi. Terrà in cuor suo il segreto di essere stato un agente segreto dei servizi segreti internazionali fino al giorno dell’arresto, nel 1974. A quel punto ci fu per Monti la prova più dura della sua vita: la disapprovazione della sua famiglia, che nulla sapeva delle sue attività segrete.
Eppure a Monti si dovrebbe, a quarant’anni dal fallito golpe Borghese, quel rispetto che sempre si deve alle persone che hanno pagato in prima persona, privatamente, gli schiacciamenti e i travolgimenti della Storia; e, per quanto si possa essere nel torto, se si è sbagliato pensando di fare del bene alla propria nazione, ecco, tutto questo merita almeno rispetto. Lo stesso rispetto che pretese Luciano Violante, nel suo famoso e cruciale discorso del 1996, finanche per i crudeli repubblichini di Salò.
Andrea Di Consoli, Il Riformista 8/3/2010