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 2010  marzo 08 Lunedì calendario

I DELICATI FIORI SALVATI DALLO TSUNAMI

Nella mia lunghissima vita di lettore raramente ho provato il senso di scoramento che mi ha colpito sfogliando i quotidiani di giovedì scorso. Tutti riportavano, in genere in una pagina interna, la notizia che uno dei due "fidanzatini" di Novi Ligure, Omar, dopo aver scontato solo 9 anni di pena (una parte in semilibertà, coltivando fiori), era tornato in piena libertà, mentre la sua ispiratrice, Erika, lo avrebbe raggiunto fra due anni, grazie ad analoga indulgenza. Voglio chiarire che il mio disagio non nasce dalla efferatezza del crimine - ogni giorno siamo adusi a vedere cose anche peggiori - o dall´orrore di quelle 97 coltellate inflitte alla mamma e al fratellino, o dalla lunga premeditazione confessata e neppure dal tentativo, che nei primi giorni sembrò riuscito fra generale plauso e automatica indignazione, di addossare il delitto ai soliti due albanesi. No, tutto questo fa parte del vissuto normale di un cronista. Lo scoramento cui ho accennato nasce nel constatare come ormai un evento del genere sia considerato del tutto "normale" e scontato dai giornali di ogni tendenza, come provano anche i pochi commenti dedicati alla conclusione di una tragedia che solo pochissimi anni orsono sembrò scuotere nel profondo l´opinione pubblica. vero che negli ultimi tempi ci si è sempre più abituati al peggio, ma abbiamo sbagliato pensando che il riferimento riguardasse solo la politica e non un mutamento più devastante del comune sentire. L´ha indovinato probabilmente De Rita quando in una intervista alla Stampa ha parlato di «un Italia rassegnata e furba, senza senso del peccato… in una sorta di rassegnazione al peggio... dove l´indignazione non scatta per l´assenza di codici ai quali obbedire, non scatta perché non c´è più un vincolo collettivo, tutto può essere fatto se io stesso ritengo giusto che sia fatto».
E la controprova la si ritrova nell´atarassia pubblica di fronte a scarcerazioni che per la brevità della restrizione subita annullano persino il dibattito sulla giusta correlazione tra la pena e il delitto, sulla opportunità di rendere, comunque, la prima meno gravosa possibile e anche meno lunga, una volta scontato un tempo ragionevole di espiazione. Di fronte alle sentenze di messa in libertà di Omar e presto di Erika, di fronte ai commenti che l´hanno salutata, quanti giovani, per contro, saranno indotti a pensare che non valga nulla il concetto di colpa e neppure quello di pena. E così il valore stesso del perdono. E cosa dire dei commenti, non per caso bipartisan? Sul Giornale Alessandro Meluzzi, noto per la rubrica di psicologia che tiene su un rotocalco, "Vip sul lettino", ed anche perché dirige l´Onlus evengelica Agape, se la prende col «giustizialismo dalla faccia feroce, che vorrebbe l´ergastolo per Erika e Omar e la decapitazione immediata per il senatore Di Girolamo». Accostamento non casuale. Chi, però, mi ha impressionato oltre ogni dire è Luigi Cancrini, lo psicoanalista ufficiale de l´Unità che invita a considerare i due giovani assassini «per quello che sono, fiori delicati sopravvissuti ad uno tsunami». E spiega da uomo del mestiere: «L´omicidio che hanno commesso ha avuto comunque origine nel buio di una infelicità di lunga durata, di una sofferenza che non ha trovato parole per raccontarsi…. prima che la passione cieca di un momento li spingesse a un gesto che si svolge nell´atmosfera sospesa del sogno». Un sogno, peraltro, da cui solo le vittime non si sono risvegliate. Alla fine, naturalmente, Cancrini se la prende con "i moralisti" che non riconoscono il lavacro riabilitativo di Omar ed Erika, mentre «accettano e riconoscono la possibilità di uccidere… sotto l´ombrello di una bandiera per cui si combatte» (con accenno d´obbligo ad Israele). PS: Avrei potuto soffermarmi sul "perdonismo" giudiziario ma mi sembra che questo sia ormai l´epifenomeno culturale di una degenerazione etica assai più profonda che sta insidiando la nostra società e minaccia la formazione morale di tanta gioventù.