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 2010  marzo 07 Domenica calendario

L´INCONTRO - MASSIMO POPOLIZIO

Dei suoi neanche cinquant´anni, più di una trentina li ha passati sulle scene. E, da quando lo ingaggiò Luca Ronconi, per Massimo Popolizio è sempre stato teatro e ancora teatro; da Shakespeare a Bernard Shaw, da Ibsen a Gadda, da Omero a Goldoni. Fatica e lavoro, premi e riconoscimenti. Schivo, determinato, professionale, passionale. «A quarantanove anni mi ritengo una specie di Wwf; sono fra quelli che hanno fatto quel teatro che ormai non si fa più e che invece vorrei continuare a fare».
Teatro, televisione, doppiaggio, radio. E cinema, con incursioni di tutto rispetto, da Le Affinità elettive dei fratelli Taviani, a Romanzo Criminale con Michele Placido, a Mio fratello è figlio unico, fino a Il Divo di Paolo Sorrentino, nei panni di un memorabile Vittorio Sbardella. «Mi piacerebbe molto lavorare con Paolo Virzì, magari mi chiamasse…».
Roccioso e insieme duttile, Massimo Popolizio ha uno sguardo che affonda e una voce profonda, versatile, incisiva. stato l´io narrante in Sostiene Pereira, dal libro di Tabucchi, Lord Voldemort nella saga dei film di Harry Potter, ha doppiato Tom Cruise in Eyes Wide Shut, e Daniel Auteuil in almeno quattro film. Fino a Kenneth Branagh in Hamlet, per cui nel 1999 ha ricevuto il Nastro d´argento. «Ho cominciato presto, da ragazzo. Sono nato a Genova per caso e sono cresciuto a Roma; papà era impiegato alla Mira Lanza e per me avrebbe voluto un futuro in banca, la garanzia del posto fisso. Io studiavo ragioneria, ho preso il diploma con sessanta e lode, ma sapevo che in banca non ci sarei andato mai. A sedici anni è normale non avere le idee chiare, io però di una cosa ero certo: volevo "imitare", imitare qualcuno che avesse un´altra vita…».
E sono anni importanti quelli per il ragazzo Popolizio che «per sopravvivere» lavora già nei teatrini, incontra Anna Maria Guarnieri, Umberto Orsini, Corrado Pani. «Gabriele Lavia mi fece anche un provino... E tutti mi dicevano "fai l´Accademia, fai l´Accademia", mi consigliavano di non disperdermi, di seguire una scuola per formarmi e io capii che, se volevo fare veramente teatro, l´Accademia d´arte drammatica sarebbe stato il punto di partenza giusto».
«A diciassette anni ero già fuori di casa, studiavo e lavoravo, eravamo quattro figli... Ho fatto di tutto, il fattorino di profumeria, il venditore di pentole. Ma ero vivo, contento. E quegli anni Settanta, da tutti considerati tristi e cupi, per me furono allegri, esuberanti. Essere giovani era una sfida: qualsiasi cosa te la dovevi guadagnare, conquistare. Si conviveva con amici, fidanzate... In quel periodo sono passato per tutti i teatrini romani: il Belli, l´Agorà, il Pirandello. Facevamo gli spettacoli la mattina, per le scuole. Era un modo per guadagnare, ma anche per conoscere, incontrare persone. Era il nostro modo di vivere già un´altra vita».
Luca Ronconi arrivò al terzo anno di Accademia. «Mi scelse durante un saggio e mi portò in tournée, nove mesi in giro per l´Italia. Lo spettacolo era Santa Giovanna di George Bernard Shaw. E, a parte Adriana Asti che interpretava Giovanna, eravamo tutti studenti, una ventina di scapestrati al minimo di paga… Io viaggiavo con Luca Zingaretti, mio compagno di corso; lui aveva una Mercedes anni Cinquanta, un po´ da boss mafioso. E, ovunque andassimo, ci fermavano e ci chiedevano i documenti. La tournée ci valse il terzo anno, mi diplomai nel 1984».
Sorride e spende poche parole per raccontare il suo privato. Abita a Roma, è sposato con Gaia Aprea, anche lei attrice di teatro, ha una casa in campagna, vicino Todi. Colleziona conchiglie (ne ha cinquemila) e legge di tutto con, in cima alla lista, i romanzi di Georges Simenon.
Quando riprende a parlare del suo essere attore, gli si riaccende l´eloquio. Il teatro resta il suo centro, gli garantisce energia e interesse, e tiene lontana la depressione. «L´attore è un mestiere fisico, come il ballerino. Ambedue mutano con il tempo, ma l´attore cambia anche la voce, un grande mezzo di seduzione. Non a caso ogni anno faccio qualcosa in radio. Trovo il racconto orale con voci e personaggi diversi molto interessante, molto gratificante. Ho letto tanti testi, tra cui Il deserto dei Tartari, Barry Lindon… Impegnarmi su vari fronti è un po´ una via di fuga, per non ripetermi, per rigenerarmi, per ritrovare il divertimento e la voglia di fare».
«La voce non è solo un dono naturale, è il frutto di ciò che hai fatto. Si dice che ogni personaggio abbia una voce sua e che l´attore di teatro debba arrivare ad adattarsi. vero ed è diverso dal doppiaggio, dove devi seguire il respiro dell´attore. Penso a Kenneth Branagh in Hamlet, parlava con una velocità tale che dovevo far andare i versi di Shakespeare a mille. O a Tim Roth in Lie to Me della Fox che sto doppiando adesso; Roth ha tremila cambi, e io devo stargli dietro».
Guarda indietro volentieri Popolizio. Del suo sodalizio con Ronconi sottolinea la durata (più di vent´anni) e l´importanza. «Con lui ho fatto almeno una trentina di spettacoli, dai greci ai contemporanei. E ne ho fatto tantissimi, anche senza di lui. A ventisei anni ero già a Siracusa, con Aiace e le tragedie greche. Allora, diversamente da quanto accade oggi, si recitava senza microfoni. Avevi di fronte sette, ottomila persone e ti dovevi far sentire… e allora giù iniezioni di cortisone ogni due giorni, per mantenere la voce. La mia è una voce costruita con lo sforzo».
«Dopo Ronconi ho recitato con molti registi, anche stranieri, come Árpád Schilling che è ungherese. E fra gli italiani con Mario Avogadro, Antonio Calende, Massimo Castri. E anche fare cose come l´Eneide, l´Iliade o l´Odissea all´Auditorium di Roma con Piero Maccarinelli e il bravissimo jazzista Uri Caine è stata una grandissima esperienza, ogni sera avevamo un pubblico di duemilacinquecento persone». E con Piero Maccarinelli, per il Ritter Dene Voss di Thomas Bernhard, nel 2008 arrivò anche il premio Olimpico.
Poi c´è stato il cinema. «Nato sempre dal teatro. Michele Placido, che veniva spesso a vedere gli spettacoli di Ronconi, una sera mi convocò al ristorante e mi chiese se fossi libero già il giorno dopo. Feci "Il Terribile" in Romanzo criminale, senza copione, grazie a Michele, un direttore di attori fantastico. Andò così anche con Sorrentino; capitò a teatro, a Milano, per vedere Anna Bonaiuto con la quale recitavamo in Inventato di sana pianta, gli affari del barone Laborde, dell´austriaco Hermann Broch, sempre con Ronconi, e mi disse di andarlo a trovare in produzione».
Vorrebbe fare più cinema, lo ammette, ma subito precisa scaramantico: «Il fatto è che sono sempre impegnato con il teatro, dove è tutto previsto, programmato. Il cinema, invece, parte all´ultimo momento e, per attori come me, non ci sono quasi mai parti da protagonista. E poi il teatro ti dà una continuità, la possibilità di interpretare diversi personaggi e di costruire qualcosa. Mentre il cinema resta attaccato a ciò che sei, alla faccia che sei. difficile che gli attori arrivino a costruire dei personaggi. Ci riesce Toni Servillo, che infatti viene del teatro».
«Eppure», insiste ondivago, «il cinema mi piacerebbe molto. gioioso, antidepressivo, e si fa di giorno. Il teatro, invece, ha sempre una connotazione un po´ scura, sei sempre al chiuso. Ed è più complicato, non soltanto dal punto di vista fisico, ma anche da quello intellettivo: ti capitano anche più di cento repliche e ti devi tenere in forma. In una parola il teatro è tosto».
E, a proposito di depressione, spiega: «Inevitabile, oggi un attore di teatro non è più quello di venticinque anni fa. All´estero ha una dignità, in Italia invece è ancora qualcuno tipo "genio e sregolatezza", uno stravagante, un artista che tira tardi. Il teatro richiede metodo e disciplina, ma resta una professione non riconosciuta a livello politico. Il che è gravissimo e fa sì che si crei una sorta di pantano nel quale, se parli di cultura, sei solo un poveraccio. Prendiamo la televisione: in passato ho fatto qualcosa tipo La Stagione dei delitti, ma, in generale, se non c´è un personaggio adatto a te, in cui sei calzato dentro, è meglio lasciar perdere. Intendiamoci io non snobbo la tv e la farei volentieri. Ci sono fiction molto buone e ci sarebbero anche dei personaggi da poter interpretare».
L´agenda teatrale di Popolizio lascia pochi spazi e lui declina con soddisfazione impegni, scadenze, progetti. «Ancora qualche replica del Cyrano de Bergerac e poi, dal 20 marzo, riprendo a doppiare la nuova serie di Lie to Me, mancano quattro puntate alla fine. Subito dopo ho in programma una serie di letture in giro per l´Italia, un teatro a costo zero per cui si fa di necessità virtù, e che però può essere molto stimolante. Intanto, conclusa la tournée con il Cyrano, torno in scena con Copenaghen, testo storico di Michael Frayn, uno spettacolo che ha dieci anni, che ha già avuto un successo straordinario e che parla di scienza e di fisica. Recito con Giuliana Lojodice e Umberto Orsini, saremo a Roma all´Eliseo in aprile e poi in maggio a Trieste».
In luglio (il 24 e 25), appuntamento al Cretto di Burri a Gibellina, con Manuela Mandracchia e Valentina Sperli per uno spettacolo evento, con installazione artistica di Giancarlo Neri per la regia di Piero Maccarinelli. Infine, ancora una maratona teatrale: dal primo settembre prossimo fino al 20 marzo del 2011, Popolizio sarà Il misantropo di Molière con Massimo Castri. S´inizia a Roma al teatro Argentina, segue tournée.