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 2010  marzo 08 Lunedì calendario

LA «FABBRICA» DELLE MIMOSE NEL PALAZZO DEGLI IMMIGRATI

Gli ombrelli quando piove, se c’è il sole le rose, ieri e oggi le mimose. Qui i traffici degli immigrati seguono il tempo, le stagioni, le ricorrenze. E a questa ricorrenza, chi lo dirà con i fiorellini gialli sappia che, quasi di sicuro, arriveranno dal civico 10 di via Pietro Crespi. Il palazzo delle mimose, la fabbrica delle mimose. Dove le mimose, nei giorni scorsi comprate all’ortomercato, vengono pulite, confezionate, infiocchettate. tutta una frenesia, negli appartamenti dormitorio, le piantine distese e contate sulle brande dei letti a castello, i cingalesi e i bengalesi che manovrano nastrini e forbici, che spingono in un angolo gli scatoloni pieni di ombrelli, che ripongono le rose sotto i tavoli; ombrelli e rose torneranno utili da domani.
Via Crespi 10 più che un civico è un documento di cos’è Milano, è un documentario su chi sono e cosa saranno i milanesi. Dei 48 alloggi del palazzo, 10 appena sono occupati da italiani. Negli altri, asiatici e nordafricani. Tanti non pagano le spese condominiali: il buco di bilancio ha superato i 130 mila euro. Vogliono andarsene e sono costretti a svendere anche gli immigrati. Il sudamericano signor V. (accontentiamoci dell’iniziale, in questo posto bisogna farsi i fatti propri), vuol disfarsi dei suoi 60 metri quadrati, ma non ci riesce. già sceso a 1.500 euro al metro quadrato, e non basta. «Le vede quelle scale? C’è sempre un tunisino, spaccia droga. Lo vede il secchio accanto al portone? Serve per la spazzatura, gli ubriaconi, di notte, lo utilizzano come gabinetto» dice il signor V., che racconta di quando, mesi fa, con l’amministratore volle vederci chiaro in un monolocale. «Scoprimmo che dentro dormivano in dodici! Dodici marocchini».
Anche dalle parti del bilocale di Hasan, Nipon e gli altri, c’è un appartamento di marocchini. Nell’arco di sei minuti, li contiamo, escono in nove ed entrano in quattro. Quanti saranno? Ad Hasan, Nipon e gli altri non interessa domandarlo e men che meno saperlo. Sono bengalesi, regolari, giovani, tra i 20 e i 30 anni, che, spiegano, «in Bangladesh è la principale fascia d’età di chi emigra». Hasan, Nipon e gli altri sono circondati da mimose, divise in scatoloni, scatole, scatolette. Un’invasione. Nella vita fanno e vorrebbero fare altro. Ma le mimose, per l’economia individuale e comune’ insieme pagano l’affitto a un connazionale, casa comprata nel Duemila, i tempi dei mutui al cento per cento e senza richiesta di garanzie ”, dicevamo, le mimose toccano a tutti.
Oggi Nipon, disoccupato, la fabbrichetta, era in Veneto, ha chiuso, armato dei fiorellini si metterà in metrò e ai semafori nelle pause tra un’agenzia interinale e l’altra, visto che è in cerca di un impiego. Quanto ad Hasan, pizzaiolo e simpatico imbranato nel maneggiare l’iPhone regalatogli dal datore di lavoro («Un premio»), dice che prima di andar a fare margherite, nell’attesa, venderà un po’ di mimose. Per arrotondare lo stipendio.
Un mazzetto sarà venduto a uno, due, tre euro. Dipende da chi comprerà. «Qualcuno ci dà di più». Qualche altro cliente, in auto, deruba: prende i fiori e scappa. Loro non li inseguiranno. Non si lamenteranno. Son fatti così. Dice Nipon, che in Bangladesh faceva il contabile: « un periodo difficile. Non riusciamo, a fine mese, a mandare a casa più un euro. Non avanziamo nulla. Se c’è la crisi per voi, pensa per noi».
Via Crespi è a lato di viale Monza e non è lontana da via Padova. Viale Monza, ora ripulita dalla Questura con i ragazzi del commissariato Villa San Giovanni, era la strada degli spacciatori. Decine, centinaia. Via Padova è invece la strada delle cinquanta nazionalità, degli errori e delle dimenticanze istituzionali, del futuro. Ci sono palazzi in rovina e bambini sanguemisti, italiani presi prigionieri ed emozionanti storie d’integrazione, incroci di vite, amori e amicizie che nascono.
Di recente, in via Padova, c’è stato un omicidio, ci sono state polemiche e qualche politico ha speculato sopra. Ma per mesi, per dire, da via Crespi 10 hanno scritto in Comune, dicendo che basta, non ce la facciamo più, intervenite. Avevano risposto che, certo, tranquilli, la situazione ci è nota, e morta lì.
Nel cortile vengono accumulati i sacchi della spazzatura pieni di mimose malate, appassite. Vanno e vengono giovanotti con sacchetti della spesa dai quali spuntano rametti di mimose. Sono i galoppini-intermediari. Fino all’anno scorso, le mimose erano depositate nel grosso corridoio dell’atrio e da lì via via prelevate. Quest’anno, meglio agire sottotraccia. Girano agenti e carabinieri, dopo quell’omicidio ci sono continui controlli. Così i galoppini si trasferiscono qualche via più lontano, per la consegna ai venditori. A un piano c’è un appartamento che, si vede dalle finestre, all’interno è tutto giallo. Bussiamo alla porta, si affaccia un signore, cingalese, dietro di lui altri cingalesi, due, tre, quattro, che confezionano mazzetti di mimose con un ritmo, una cadenza, da catena di montaggio. «Non potete rimanere», urla il primo. «Sono clandestini», dice un vicino di ballatoio che assiste alla scena, «capisca, hanno paura». Nell’appartamento c’era una bimba, forse figlia d’un clandestino, guardava incuriosita la preparazione dell’8 marzo di Milano in questa colorata tana di trafficanti di mimose.
Andrea Galli