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 2010  marzo 07 Domenica calendario

STORIA D’ITALIA IN 150 DATE

2 luglio 1871
Finalment ij suma
Vittorio Emanuele II fa il suo ingresso trionfale a Roma. Di tutti i volti che compongono il corteo, il meno entusiasta è di gran lunga il suo. Si sente in colpa verso il Papa, che dopo la breccia di Porta Pia ha scomunicato tutto lo scomunicabile e si atteggia a prigioniero politico fra le mura del Vaticano. Inoltre il sangue «barbaro» dei Savoia rende il Re totalmente refrattario al fascino dell’Urbe. Ai maestri del cerimoniale che gli propongono di salire in Campidoglio con l’elmo di Scipio risponde che «l’elmo di Scipio è buono solo per cuocerci la pastasciutta». I poeti di corte hanno il loro daffare nell’infondere epicità al trasloco: arriveranno a trasformare il «Finalment ij suma» («Finalmente ci siamo»), che Vittorio borbotta in piemontese all’amico La Marmora mentre la carrozza varca per la prima volta il portone del Quirinale, nell’aulico «Ci siamo e ci resteremo» che un sovrano tanto allergico alla retorica non sarebbe mai stato in grado di pronunciare senza mettersi a ridere.
Il governo Lanza ha invano fatto precedere il trasferimento a Roma dalla legge delle Guarentigie, che concede alla Chiesa una serie di prerogative e un discreto appannaggio. Pio IX respinge in blocco «quei futili privilegi e immunità che volgarmente sono detti guarentigie», rifiuta i «trenta denari» dell’appannaggio e proclama che «nessuna conciliazione sarà mai possibile fra Cristo e Belial, luce e tenebre, verità e menzogna». Non importa che la sinistra anticlericale abbia criticato la legge: per il Papa «fra destra e sinistra esiste la stessa differenza che passa fra colera e terremoto». E nel dirlo mostra quasi di preferire il terremoto. Quel che è peggio, proibisce ai cattolici di prendere parte alla vita politica, additando loro l’Italia come un nemico da abbattere: la mancanza di senso dello Stato, che è il male endemico del nostro Paese, ha radici lontane.
Mentre il Re prende possesso controvoglia delle stanze del Quirinale (ma appena può scappa dalla Rosina, che per non dare troppo scandalo ha sistemato in un villino fuori mano sulla Nomentana), negli appartamenti vaticani Pio IX continua a fare la vittima, dipingendo se stesso come «un povero senzatetto in cerca di un piccolo angolo di terra». Pur di riavere il potere temporale, non esita a rivolgersi al luterano Bismarck. A sorpresa, il cancelliere prussiano gli propone di trasferire la sede del papato a Berlino. Si tratterebbe dell’unico modo per ripristinare l’unità religiosa in Germania, spiega agli amici esterrefatti. «Infatti è mia ferma convinzione che il giorno in cui i cattolici tedeschi conoscessero il Papa da vicino, si convertirebbero in massa al protestantesimo».