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 2010  marzo 07 Domenica calendario

DONNE IN LISTA E PUBBLICITA’. L’IRAQ E’ GIA’ DIVERSO

La battaglia per le elezioni irachene di oggi è cominciata quando circa 800 mila uomini dell’esercito, della polizia e degli organismi della sicurezza hanno partecipato, giovedì scorso, a un turno elettorale anticipato, tutto per loro. Con l’apertura di 450 seggi, in un giorno solo a Baghdad sono stati uccisi più di 100 civili, soldati e poliziotti. Secondo fonti vicine al governo, le preferenze degli elettori tendono verso l’attuale primo ministro Al-Maliki. Le proiezioni del Centro demoscopico Itijahat affermano che la sua Alleanza per lo Stato di diritto toglierà voti sia alla coalizione Iraqiya dell’ex premier Ayad Allawi che all’Alleanza nazionale irachena che fa capo alla famiglia Al-Hakim.
Resistere alla paura
Tra i candidati un quarto sono donne, e le loro foto riempiono le strade delle città. La professoressa di liceo Khulood Al-Shimmari guida la campagna di uno dei candidati a Baghdad: «Gente istruita come me non voterà mai per i perdenti, per i settari. Io voto per le donne, perché hanno bisogno dei nostri voti, per poter finalmente lavorare, per poter abolire leggi contro l’uguaglianza, offensive e irrispettose». Padre Zaki Polis Sha’ya della chiesa del Sacro Cuore nel centro di Baghdad, teme l’approssimarsi delle elezioni, e teme ancora di più per i suoi correligionari, vittime di stragi sistematiche a Mosul, con 250 famiglie costrette a emigrare verso le zone curde solo nell’ultimo mese. «Ma noi cristiani», dice, «non vogliamo avere la scorta del governo. Noi siamo iracheni, parte di un popolo che ha subito una catastrofe, e accetteremo le scorte solo il giorno che tutti avranno una guardia del corpo».
Slogan e volantini dal cielo
Nelle ultime 72 ore dagli elicotteri venivano lanciati volantini che chiedevano di non votare per gli ex baathisti, oppure di impedire l’entrata nel parlamento di Allawi, «nemico della patria». Tra i candidati, oltre ai politici, ci sono anche noti giornalisti, attori e sportivi. Molte donne si presentano senza velo, in abiti moderni, che sfoggiano su grandi manifesti colorati che per la prima volta hanno invaso le strade. La pubblicità elettorale è un fenomeno nuovo, riempie tv e radio locali, giornali, gli sms sui telefonini. Dovunque sono sparse cartoline dei candidati, e si è aperta una nuova battaglia, contro i manifesti del concorrente: i poster con Al-Maliki nel quartiere sciita Sha’ab dei fedeli di Moqtada Al-Sadr, sono stati strappati.
C’è anche la corsa a comprare il voto. I poveri si fanno pagare somme per loro importanti in cambio della promessa di scegliere un certo candidato. Un altro metodo è quello di distribuire regali a vedove e orfani. Lo sceicco Munther Al-Haj Ibrahim, imam in una moschea nel periferico quartiere Zayouna, racconta: «Alcuni candidati praticano metodi strani, un misto di secolarismo e religione nella propaganda. Tutti vedono che il governo usa tutte le sue risorse per sostenere una sola lista. Ma stavolta nessuno ripeterà l’errore delle scorse elezioni, tutti andranno a votare nonostante le minacce dei terroristi di far esplodere i seggi per terrorizzare la gente».
L’impiegato del municipio della capitale, Abdul Razzaq Salman, dice: «La spesa per la campagna elettorale viene stimata in due miliardi di dollari, tutti arrivati dall’estero. Specialmente da Paesi vicini che non vogliono il bene dell’Iraq. Non abbiamo mai assistito a una campagna così ben preparata. Ci sono feste di carnevale, con automobili che sparano dagli altoparlanti messaggi elettorali e musica, mentre giovani ragazzi ballano intorno e chiedono di votare per il loro candidato».
In Iraq hanno diritto di voto circa 19 milioni di persone. Una cifra calcolata in base alle tessere del razionamento, introdotto dal 1996. Secondo questo calcolo, la popolazione totale è di 32 milioni e 300 mila, e ogni 100 mila eleggono un parlamentare, come vuole la Costituzione. A correre per il parlamento saranno 6550 candidati, espressi da 163 partiti, movimenti o cittadini indipendenti. 511 candidati sono stati respinti dalle liste per essere appartenuti in passato al Baath, bandito in Iraq nel 2003 dal primo governatore americano civile dell’Iraq, Paul Bremer.
La ritirata degli islamici
Per quanto riguarda i religiosi, l’ayatollah Ali Al-Sistani non ha voluto interferire nelle elezioni, rifiutandosi di ricevere il premier Al-Maliki come altri politici. Ma nonostante questi segnali, molti iracheni hanno paura delle elezioni, e di quello che avverrà dopo, incluso il promesso ritiro delle truppe americane. Molti hanno preso le loro precauzioni, per esempio investendo il loro denaro in beni durevoli, anche perché gira voce su una riforma monetaria del dinar. Secondo l’avvocato Nabil Sa’adoon Al-Aamely, dalle elezioni emergerà una nuova mappa del potere, che darà un ruolo alle cinque coalizioni principali: i due partiti curdi (il partito democratico curdo guidato da Barzani, e l’Unione patriottica del Kurdistan di Talabani), all’Iraqiya di Allawi, al partito Da’awa di Al-Maliki e al Consiglio supremo degli sciiti (rappresentato dall’Alleanza nazionale di Ammar Al-Hakim). Un cambiamento che potrebbe mettere a rischio la sicurezza del Paese, anche perché il problema principale è se gli sconfitti accetteranno il risultato. Da questo dipenderà la formazione del governo, che potrebbe venire ritardata di mesi se gli sconfitti decideranno di rifiutare alleanze post-elettorali e sceglieranno di prolungare le controversie.La carica delle candidate
Sorridenti e in abiti occidentali, o col volto incorniciato dal velo islamico, le quasi duemila candidate alle elezioni parlamentari (contro 4.200 colleghi maschi), hanno tappezzato ogni città o villaggio del Paese con i loro slogan. In base alla costituzione, il 25% dei seggi del Parlamento è riservato alle donne. Nel parlamento uscente erano 82, ma nel prossimo saranno di più poichè una legge ha portato il numero dei seggi dell’assemblea da 275 a 325.