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 2010  marzo 06 Sabato calendario

I MILLE SECONDO MARTONE

Il Risorgimento come non si era mai visto prima. Lontano mille miglia dagli stereotipi assorbiti sui banchi di scuola, riletto con gli occhi dello scrittore che ha saputo dipingere, attraverso le gesta criminali della banda della Magliana, l’affresco di una società malata di corruzione. «Quando si pensa a quel periodo storico - dice Giancarlo De Cataldo - viene subito in mente una sfilata di autorevoli barbe». E invece l’Italia non è nata così, non è il frutto di pensieri e azioni di un pugno di antichi signori ingessati: «M’interessava raccontare del Risorgimento tutto quello che non ci hanno mai raccontato quando eravamo studenti. Nessuno ci ha fatto capire che quella è stata una stagione epica, romantica, e anche terribilmente crudele». Un’epoca di grandi slanci e vibranti eroismi, tanto diversa da quella dei nostri ultimi decenni, sospesi tra disfatte politiche e morali. Scusi signor De Cataldo, ma lei che cosa c’entra con il Risorgimento? «Uno scrittore non deve avere confini, deve essere libero di cambiare scenari. Vagabondare mi è sempre piaciuto e così mi sono imbattuto in quel periodo». C’è anche stato, però, un incontro cruciale, un contagio, come dice lo scrittore: «Il virus me lo ha passato Mario Martone, è stato lui a trasmettermi l’attrazione per quella fase storica, abbiamo lavorato insieme alla sceneggiatura del suo film Noi credevamo, e io, dopo, sono andato avanti. Adesso sto rivedendo il mio nuovo romanzo che parla appunto di quegli anni».
Il libro, quindi, avrà molto in comune con la pellicola: «Il film è del regista, e lo affermo con grande orgoglio. L’ho visto in versione integrale e posso dire che è meraviglioso». Qualcuno prevede che Noi credevamo farà arrabbiare i piemontesi, e comunque, dall’autore di Morte di un matematico napoletano e dell’Amore molesto, non ci si aspetta certo una versione acritica dei fatti: «Non mi piace parlare delle cose che non sono ancora fatte e concluse. E poi sono superstizioso, sicuramente ci saranno, nel racconto, novità sorprendenti». Alla base del suo romanzo, spiega De Cataldo, c’è un colpo di fulmine: «Mi sono innamorato di Mazzini». Motivo? «L’ho visto fuori dalle solite rappresentazioni, è un personaggio che, a mio parere, contiene tutto quello che gli italiani hanno sempre rimosso di se stessi». Forse anche quello che hanno perso. E comunque riparlarne è importante. Come è sempre importante, prosegue De Cataldo, «portare la cultura fuori dal ghetto, affrontarne i temi fuori dagli spazi deputati».
E’ per questo che, da martedì al Teatro India di Roma, il magistrato-scrittore debutta come attore, voce narrante nei Fatti di Fontamara, un progetto di Michele Placido, basato sul romanzo di Ignazio Silone: «Sono seduto al lato del palcoscenico, leggo brani attraverso cui Placido porta nello spettacolo la voce dello scrittore». Una nuova sfida: «Si, e devo dire che sono emozionatissimo, ho paura come un ragazzino agli esami. Ma a Placido non riesco mai a dire di no, sarà per via della ”pugliesità” che ci unisce». Poi, naturalmente, c’è l’importanza di Fontamara, cronaca di una rivolta di ultimi, abitanti di un paese in cui «la vita degli uomini sembrava racchiusa in un cerchio immobile: prima veniva la semina, poi l’insolfatura, poi la mietitura, poi la vendemmia. E poi? Poi da capo. La semina, la sarchiatura, la potatura...». Anche qui, come è accaduto per quel Risorgimento da liceo, la prima lettura era scontata: «Ricordavo Fontamara come un’epopea nazional-popolare, ispirata ad alti valori democratici, un testo che si doveva leggere per forza. E invece il percorso del protagonista, Berardo Viola, che diventa leader dei cafoni, è il viaggio di un eroe classico, contiene elementi di modernità che fanno del romanzo un testo ancora adesso vivo e bruciante. Quella di Fontamara è un’avventura etica e politica del tutto attuale».
Sulla scena, con De Cataldo, un gruppo di «ragazzi che quasi quasi fanno la mia età». Ma la particolarità non è questa. Piuttosto è curiosa la carriera di un magistrato, nato a Taranto 54 anni fa, che, dall’uscita di Romanzo criminale, nel 2002, fino ad oggi, è diventato prima star della letteratura, poi autore di seguitissime serie tv (a Roma in questi giorni si gira il secondo ciclo del Romanzo criminale di Sky»), e adesso interprete teatrale: «Mi affascinano gli esperimenti, non ho paura di sporcarmi le mani con il cinema e la tv. E poi non sono solo, tutti noi del noir italiano, penso a Lucarelli, Carofiglio, Camilleri, abbiamo rotto gli schemi tradizionali, le barriere tra i vari settori. Nonostante questo, restiamo sempre un passo indietro rispetto ai ragazzi che vivono sul web».