Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  marzo 06 Sabato calendario

MILANO RITROVA LA SUA ABBAZIA

A Milano si lavora molto ma forse si prega poco. Abbiamo perciò bisogno che suppliscano i monaci di Chiaravalle». Si legge così all’ingresso dell’abbazia cistercense che si erge come un miracolo di bellezza in quel che resta della campagna di Milano. Lo scriveva l’arcivescovo Ildefonso Schuster nel 1952 restituendo ai monaci la «casa» che era stata loro tolta da Napoleone.
Sarà per quel che dice Schuster che la Milano degli affari, appena dieci chilometri da questo posto antico da cui si vedono anche i monti, è sempre stata legata a questa chiesa di cui negli anni Settanta cominciò a interessarsi il banchiere Raffaele Mattioli, allora presidente della banca Commerciale, che poi volle essere sepolto qui. E sarà per questo che tanti anni dopo, Giovanni Bazoli, presidente di Intesa Sanpaolo, si è quasi commosso quando ha letto le «suppliche» della soprintendente Sandrina Bandera (allora funzionaria) che lo pregavano di non far cadere in rovina gli affreschi del tiburio.
«Quando sono venuto qui a vedere di persona, sono stato accolto da lei e dai suoi collaboratori con l’apprensione con cui si guarda al medico che può salvare una persona cara», ha raccontato ieri il banchiere a Chiaravalle, presentando i famosi affreschi finalmente restaurati e «restituiti». «Restituiti alla loro dignità e alla collettività», ha precisato Bazoli, così spiegando il senso del nome del Progetto che Intesa Sanpaolo ha dato al suo collaudato programma di restauri d’arte: «Restituzioni».
Gli affreschi di Chiaravalle hanno una storia a sé, impastata con le nebbie e l’umidità di queste zone, le stesse che stavano distruggendoli di muffe e che nel 1335 fecero scappare, per malattia, il maestro che li realizzò, quello Stefano Fiorentino allievo di Giotto abituato a ben altri climi.
La loro storia è diversa anche da altri tesori restaurati di artisti dai nomi altisonanti. Qui le sorprese si sono avute soprattutto in corso d’opera. Quel che si è restaurato non è solo un ciclo di affreschi ma la testimonianza di un «giottismo» diverso da quello toscano e più vicino al gotico internazionale.
«La scuola giottesca spesso viene limitata ai fiorentini Maso Di Banco, Taddeo Gaddi, Bernardo Daddi , con caratteristiche di astrazione e capacità prospettica», spiega la soprintendente Bandera. «C’è però anche una frangia di allievi più gotica e moderna, che fa capo a Stefano Fiorentino, Puccio Capanna, Giottino, che il Vasari stesso definisce ”pittura dolcissima e molto unita”».
In realtà i cicli di affreschi di Chiaravalle sono due. Uno più antico, nella parte più alta del tiburio, attribuito a un anonimo lombardo identificato come Primo Maestro; e un altro più in basso, attribuito a Stefano Fiorentino e a suoi allievi.
Del ciclo più antico fanno parte il cielo stellato della volta della cupola, evangelisti dottori e santi dipinti «col gusto gotico lombardo dell’attenzione ai vestiti e ai ricchi copricapi» spiega la soprintendente. Il secondo è dedicato a storie della Vergine Maria, ma al periodo «post Resurrectionem» basato sulla «Legenda aurea» di Iacopo da Varagine e sui vangeli apocrifi.
«Si tratta di un’iconografia rara, inconsueta in Italia», continua Sandrina Bandera, «è tipica del Nord Europa, ma ben si lega alla spiritualità di san Bernardo e dei cistercensi, che vedono nella vita della Madonna il modello perfetto di un itinerario spirituale che va dalla morte alla glorificazione».
Sulle quattro pareti infatti sono rappresentati l’annunciazione della morte di Maria, la morte e il corteo che porta il suo corpo, la deposizione e, infine, nella parete Est, quella che si vede entrando, la sua glorificazione e incoronazione da parte di Gesù.
 questa la parete che si riserva il maestro Stefano Fiorentino («quella che dà gloria a un pittore», chiosa la soprintendente) quella che porta a termine completamente. Prima di scappare dalle nebbie. Poi subentrano gli allievi.
Come fa notare Giorgio Bonsanti, ordinario di Restauro all’università di Firenze, «opere così difficilmente avrebbero suscitato l’interesse di altri mecenati». Nel senso che qui maestro e allievi non hanno nomi altisonanti se non per gli addetti ai lavori. Ma la scoperta di questo «giottismo» lombardo dimostra, conclude Bonsanti, «come non sia vero che si debba solo ”conoscere per conservare”; ma anche ”conservare per conoscere”». L’Abbazia di Chiaravalle è un complesso monastico cistercense, che sorge a Milano, a Rogoredo. Costruita nel XII secolo, costituisce oggi uno dei primi esempi di gotico italiano. Per ultimare la chiesa furono necessari settant’anni di lavori. L’abbazia fu fondata nel 1135 dal raffinato teologo Bernardo di Chiaravalle. Celebre la sua disputa (che avrebbe dovuto essere pubblica) con Pietro Abelardo e le sue prediche a favore della Seconda Crociata.