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 2010  marzo 07 Domenica calendario

VA IN PENSIONE IL TRENO DI ROCCO E I SUOI FRATELLI

Per esaltarne forza e velocità l’appellativo di «Freccia del Sud» venne dato anche al mitico Pietro Mennea, anche se non era certo un bel complimento. Quel treno che da «Girgenti porta al Continente» impiegava infatti un tempo infinito e imprecisato per attraversare mezza Sicilia, lo Stretto e poi arrancare fino a Roma e Milano. Impiegava, appunto. Perché dal primo marzo è andato definitivamente in pensione portandosi dietro vagoni di ricordi, storie, speranze lunghi oltre mezzo secolo.
 stato per definizione il «treno degli emigranti» quelli con la valigia di cartone e le ceste di arance. Ma anche di generazione di siciliani iniziati all’ebbrezza del viaggio sui vagoni di seconda e terza classe con i finestrini aperti per respirare l’ultimo alito di zagara, frastornati al pensiero di Milano e della «nebbia che si taglia col coltello». Un treno che ha ispirato scrittori e registi perché è stato il vero cordone ombelicale tra la Sicilia e il mondo oltre lo Stretto. Nel «Mare color del vino» Sciascia discetta nel confronto tra diretto e direttissimo. «Sul diretto per Agrigento è possibile avere uno scompartimento tutto per sé... Superata Salerno potete mettervi a dormire, magari in canottiera, che nessuno verrà a cercar posto. Comodità che si sconta sugli orari per ciò i siciliani preferiscono il direttissimo che arriva ad Agrigento con un vantaggio di sette ore». Quasi un simbolo dell’opportunità da cogliere per operai, insegnanti, impiegati, mafiosi e futuri capitani d’industria.
La «Freccia del Sud» è stata la scommessa sulla speranza raccontata in «Rocco e i suoi fratelli» da Visconti ma anche il treno su cui salirono anche Vittorini per Milano e Brancati per Roma. E chissà se è anche lo stesso treno su cui fa salire il suo bell’Antonio che «ripartiva per Catania pedinato da un cane alto ma cascante, fra i colpi di valigia sul muso e pedate di chi andava affannosamente nel senso opposto». Ha fatto gonfiare gli occhi di lacrime ai tanti Giancarlo Giannini prima di trasformarli in Mimì Metallurgico e vi è saltato su anche un ragazzino nato al Borgo di Catania nel suo viaggio con madre e quattro fratelli prima di diventare il boss Angelo Epaminonda. «Peggio della neve mi impressionò il freddo e il buio della stazione di Milano dove finalmente scendemmo dopo oltre 24 ore». Ma è stato anche il treno di ritorni più gloriosi come nel ”54 per il Catania promosso in serie A raccontato da un giovanissimo Candido Cannavò. E come spesso in Italia ha incrociato anche le trame degli anni dell’eversione con l’attentato che nel 1970 lo fece deragliare a Gioia Tauro causando sei morti e 54 feriti. Tutto ciò era già in archivio ma dal primo marzo è sancito con la cancellazione di quelli che poi erano gli espressi 823 e 834. Una decisione che non va giù ai comitati dei pendolari siciliani e a molti politici locali che annunciano battaglia anche con interrogazioni parlamentari. A quanto pare infatti con i leggendari disagi la «Freccia del Sud» si porta via anche una sua singolare «comodità». Parole grosse per un treno che impiegava 24 ore da Agrigento a Milano. « vero – osservano i tanti che si stanno mobilitando – si risparmiano alcune ore di viaggio ma il costo del biglietto è triplicato e poi bisogna fare due cambi a Catania e a Roma. Come la mettiamo con le persone anziane o i disabili? Per non dire che se si sbaglia la coincidenza c’è il rischio di impiegare più della vecchia Freccia del Sud».
Alfio Sciacca