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 2010  marzo 07 Domenica calendario

SIATE LOGICI, NON ANDATE AL CINEMA

Bello il cinema 3D, non c’è che dire. Fantastici, perfetti, esilaranti i personaggi messi in scena da Tim Burton nel suo seguito alla storia di Alice. Bianconiglio, Stregatto, Lepre marzolina, Brucaliffo, Dodo e tutta l’allegra,folle compagnia che anima l’ultra-burtoniano Mondo di Sotto, Underworld, che poi era il nome che lo stesso Carroll aveva adottato, invece di Wonderworld, nella prima stesura del racconto. Quel che non può fare la parola scritta ”farci vedere,quasi toccare,personaggi in movimento pieni di smorfie, tic ed espressioni efficacissime ”è reso splendidamente dalla nuova tecnologia. Ma è anche vero che, a sua volta, il linguaggio visivo, bi o tridimensionale che sia, ci può far perdere lo spessore e la precisione del-la parola scritta. Anche quando è tutta giocata, come nel caso di Alice, su arguti nonsense, paradossi, situazioni assurde, scioglilingua. Anzi, soprattutto quando è così. Lo stesso Lewis Carroll non disdegnava alcun mezzo espressivo che gli servisse a intrattenere le sue piccole e i suoi piccoli amici. A ben vedere, Alice è solo il prodotto più fortunato di una ben più vasta vocazione,quella dell’educatore-intrattenitore, ispirata al principio secondo cui divertendosi si impara di più. Soprattutto se il gioco ci coinvolge in maniera diretta, investendo il nostro mondo e il nostro io (proprio come avviene ad Alice) e ci spinge inevitabilmente ad abbandonare ogni appiglio esterno per pensare solo con la nostra testa. I biografi più intelligenti di Lewis Carroll, invece di attardarsi sulla trita, pruriginosa questione della sua presunta pedofilia, hanno fatto riemergere l’immensa produzione di passatempi che lo ha impegnato per tutta la vita. Lui stesso, fin da bambino, amava inventare e inscenare giochi di prestigio, oltre che produrre ingegnose soluzioni teatrali per le sue trovate più o meno artistiche. Nel 1973, in un volume intitolato La magia di Lewis Carroll, John Fisher mostrò quanto un medesimo spirito magico e giocoso si applicasse sia alla scrittura letteraria sia all’attività di professore di logica e matematica, assai meno nota della prima, ma con la quale ha notevoli punti di contatto. Il volume è stato da poco riproposto da Costa& Nolan con il titolo che lo stesso Carroll aveva immaginato per raccogliere i suoi enigmi e giochi matematici, Il libro dei rompicapi di Alice (pagg. 304, 17,00): «Una raccolta di giochi e rompicapi di mia invenzione, con le illustrazioni fantastiche di Miss E. G. Thomson. Questo volume potrebbe anche contenere la mia Memoria technica per le date, eccetera, la mia scrittura in cifra, il sistema per la registrazione della corrispondenza, ecc. ecc.». Nel 1885 Carroll aveva pubblicatoA
Tangled Tale , (tradotto da Archinto in Un
racconto aggrovigliato , con una splendida introduzione di Stefano Bartezzaghi), «una storia con nodi», dove i nodi sono i problemi e i rompicapo che Carroll propose mensilmente, tra il 1880 e il 1885, nella rubrica di un mensile per ragazzi. Anche qui il tono è vicino a quello di Alice. In
Wonderworld, quando il Topo dice «I had not», Alice capisce «A knot»: «Un nodo!, lascia che ti aiuti a scioglierlo!». Quella rubrica, antesignana di quelle tenute da Gardner e da Hoftstadter su «Scientific American », era anche la palestra di un dialogo esilarante con i lettori, anzi con il «Club dei solutori» (i Knot-Untiers, gli snodatori). I quali non solo dovevano trovare la soluzione: dovevano anche spiegare, in maniera minuziosa e corretta, come ci erano arrivati, e venivano spesso redarguiti con soave pedanteria.
Nel 1898, l’anno in cui morì, Carroll stava lavorando al secondo volume della sua
Logica simbolica – un gioiello, anche tipografico, in cui esponeva un’originale visione della logica a metà tra l’approccio aristotelico e quello che di lì a poco avrebbe inaugurato Bertrand Russell ”e un decennio prima, nel 1886, aveva stampato in forma privata un libro non a caso intitolato Il gioco della logica. Qui la logica formale deduttiva veniva proposta addirittura al pubblico della scuola materna. «Oltre a costituire un’inesauribile fonte di divertimento ( poiché infinito è il numero delle proposizioni cui si può applicare), procurerà ai giocatori anche un poco di istruzione», scriveva Carroll. In realtà, come gioco per bambini, era troppo difficile. Si rivelò invece utile per studenti più maturi, come quelli del Christ Church College di Oxford dove il reverendo Dodgson insegnava, cui più espressamente la Logica simbolica era rivolta. Sia la prima parte (uscita nel 1896) sia il manoscritto ritrovato negli anni 60 del ’900 dall’allievo di Karl Popper Wil-liam Bartley III, sono animati da personaggi che Alice avrebbe ben potuto incontrare nel suo fantastico viaggio: l’amico comprensivo, il logico delle braciole di maiale, il bugiardo,il giocatore d’azzardo,gli zenoniani Achille e la tartaruga, i tre barbieri, il coccodrillo e il bambino, la ragazzina contenta di non amare gli asparagi perché, in caso contrario, avrebbe dovuto mangiarli («e io non li sopporto proprio!»).
Lewis Carroll, anzi Charls Dodgson, si appassionò anche alle procedure decisionali, concentrandosi sui paradossi del voto che da Condorcet portano dritti al teorema di impossibilità di Arrow. Anche su questo tema, che in realtà prendeva molto sul serio, amava scherzare. Progettò per esempio un sistema elettorale di perfetta amoralità, basato sulla regola per cui un candidato può cedere a un altro i voti ottenuti. In un libretto di satira politica uscito nel 1865, Dynamics of a Particle ( Dinamica di un partitello), osserva Fisher, anticipò di diciannove anni Flatlandia di Edwin Abbott, «creature bidimensionali, provviste di un unico occhio, contorni lucenti e un’altezza infinitesimale» che ricordano assai da vicino i personaggi-carte da gioco del Paese delle meraviglie: «Rettangolari e piatti, con mani e piedi agli angoli», del tutto incapaci di immaginare l’interno tridimensionale del vaso di fiori dove Alice riesce a nascondere perfettamente i giardinieri, così come noi da parte nostra siamo incapaci di pensare in modo quadridimensionale. Chissà che cosa non si sarebbe potuto inventare Carroll se avesse potuto disporre del cinema a tre dimensioni! Nel film di Burton, che punta decisamente sul fantasy , questo genere di divertimenti è quasi del tutto assente. Non manca del tutto, ma lo si trova solo in alcuni dialoghi e non nell’apparato visivo. Il più bello riguarda non tanto la questione un po’ trita della distinzione tra realtà e sogno, ma i seri dubbi sollevati dal Ghiro sulla reale identità della protagonista ormai diciannovenne: «Non è l’Alice giusta, ne sono sicuro». Notevole la risposta della ragazza:«Come faccio a essere l’Alice sbagliata, se sono io che sto sognando? ». Geniale nel suo rievocare il cogito
cartesiano facendolo però scricchiolare dall’interno. O non è vero che, in fondo, potremmo essere certi di noi stessi anche se tutti stessimo soltanto sognando? O se,come l’allegra combriccola di Underworld, fossimo tutti matti.