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 2010  marzo 06 Sabato calendario

MCCHRYSTAL: «NEGOZIARE CON I NEMICI, PERCHE’ TUTTE LE GUERRE DEVONO AVERE FINE»

Stanley McChrystal mantiene il fisico prosciugato da maratoneta con le corse quotidiane tra le mura del quartier generale, forze internazionali a Kabul. Dalle cuffie, in questi giorni gli arrivano le parole di «What the dog saw and other adventures», la nuova raccolta di Malcolm Gladwell. «Illustra modi diversi di pensare, ti insegna a guardare le situazioni attraverso gli occhi degli altri. Ti dice: quando hai a che fare con un cane, fermati un attimo, considera come la vede lui. Ho una collezione eclettica di audiolibri per il mio jogging». Gli allenamenti sono spremuti fuori dalla giornata senza pause del generale americano che comanda gli eserciti di 44 nazioni, la coalizione Nato-Isaf, e che dal presidente Barack Obama ha ottenuto la fiducia e 30 mila uomini in più da impegnare in questa guerra. Sagomato nelle forze speciali, quarto figlio in una famiglia di cinque maschi e una femmina (tutti in divisa o che hanno sposato qualcuno in divisa), ha lo sguardo in allerta di chi non si distrae neppure quando dorme (poco, quattro ore a notte). Risponde alle domande, mentre sugli schermi piatti scorrono le informazioni dai settori operativi. la prima intervista a un giornale italiano e con lui siede Mark Sedwill, già ambasciatore britannico a Kabul e appena nominato rappresentante civile della Nato. Richard Holbrooke, inviato speciale della Casa Bianca, sostiene che gli americani resteranno in Afghanistan più a lungo che in Vietnam. Sono almeno altri quattro anni. «Questa decisione dipende totalmente dalla leadership politica. Noi, i militari, proveremo a creare le condizioni che ci sono state indicate dal Consiglio Nord Atlantico. Siamo in grado di accompagnare le forze afghane fino a quando il supporto di cui hanno bisogno diminuirà sempre di più. Non so quanto la Nato o la comunità internazionale resteranno qui». Dia una definizione di vittoria in Afghanistan. «Quando il popolo afghano avrà la libertà di scegliere, quando avrà l’ opportunità - a tutti i livelli, non solo poche persone - di plasmare il governo e la società che vuole. E non come li vogliamo noi». Dopo l’ annuncio del ritiro olandese, altre nazioni europee sembrano impazienti. Perché gli altri Paesi occidentali, tra loro l’ Italia, dovrebbero continuare il loro impegno? «Vedo varie ragioni. Il terrorismo transnazionale, come Al Qaeda, ha usato l’ Afghanistan prima del 2001 e da allora mantiene una presenza. Se questo Paese dovesse perdere un’ efficace capacità di governo, è molto probabile che ridiventerà una base di lancio per i terroristi. La stabilità di questa regione è importante per il mondo. Pakistan, Iran, Afghanistan... non sono più parte di terre molto lontane da noi, il pianeta è più piccolo. Ma soprattutto siamo qui per gli afghani, esiste un obbligo morale». Robert Gates, segretario alla Difesa americano, ha dichiarato: «La demilitarizzazione dell’ Europa si è trasformata da benedizione del Ventesimo secolo a ostacolo nella conquista di sicurezza e pace durature per il Ventunesimo». In gioco, in Afghanistan, c’ è anche il futuro della Nato? Interviene l’ ambasciatore Sedwill: «Sì. Qui dipendiamo dagli Stati Uniti, che forniscono due terzi delle truppe e al di là dei numeri ben oltre l’ 89 per cento della forza offensiva. Questo è dannoso per la Nato. Ammetto che in parte è naturale, perché l’ attacco è stato contro l’ America. Se la prossima volta toccasse a noi e gli interessi nazionali americani non venissero direttamente coinvolti, che cosa facciamo? Ci rivolgiamo a loro e diciamo: beh, uno di noi è stato attaccato, ma vorremmo che voi vi sobbarcaste la maggior parte del lavoro?». Generale McChrystal: «La capacità militare e la credibilità della Nato sono cruciali. E qui l’ Alleanza è sotto osservazione, bisogna tenerne conto». L’ ammiraglio Mike Mullen, capo di Stato maggiore americano, chiede ad Hamid Karzai, presidente afghano, «passi concreti» contro la corruzione. Generale, quali iniziative vorrebbe vedere? «Azioni credibili contro la corruzione sono fondamentali, dai livelli più alti del governo giù fino a quelli locali, accompagnate dalla volontà di processare e punire i colpevoli. Dobbiamo però capire che la comunità internazionale è stata coinvolta in questi meccanismi e che parte dei soldi affluiti, con buoni propositi, ha di fatto alimentato un sistema in cui la corruzione è diventata più facile. Lo sforzo dev’ essere credibile, perché la corruzione è sfruttata dai talebani nella loro propaganda». Lei ha ordinato di ridurre in modo drastico i frangenti in cui i bombardamenti sono permessi. Eppure nell’ offensiva a Marjah sono stati uccisi 28 civili, secondo la commissione afghana per i Diritti umani, e altri 27 sono morti nel raid contro un convoglio, il 22 febbraio, nella provincia di Uruzgan. «Abbiamo compiuto sforzi straordinari, dal comando fino al soldato più giovane, per limitare non solo l’ uso dei bombardamenti aerei ma di tutta la forza. In molti casi ci siamo riusciti, anche se rende il nostro lavoro più complesso e qualche volta più pericoloso. Non credo esista un livello accettabile di vittime civili che non sia zero. Allo stesso tempo, nella guerra moderna è un obiettivo molto difficile da raggiungere, quando il tuo nemico prova a creare le condizioni perché ci siano gli errori». Le azioni militari principali a Marjah sembrano finite. Qual è la prossima fase? «Questa offensiva è diversa dalle altre. Le operazioni delle truppe continueranno e si sovrapporranno a quelle civili. Adesso dobbiamo installare un governo e favorire lo sviluppo della zona». Il prossimo bersaglio è Kandahar, in primavera. Seguirà lo stesso modello? «Vogliamo rendere sicura Kandahar e applicheremo la stessa formula, anche se la situazione è molto più complessa e richiederà molto tempo». L’ Italia ha promesso altri mille soldati. Come intende utilizzarli? Saranno tutti dislocati nel Comando regionale Ovest, già sotto la responsabilità del nostro Paese, o in altre zone? «Per ora non abbiamo discusso il loro utilizzo fuori da quell’ area. Ma voglio precisare: se la situazione sul terreno cambia, spero che tutte le nazioni saranno abbastanza flessibili da essere spostate dove c’ è più bisogno». Che cosa può raccontare della Task Force 45 e del ruolo delle forze speciali italiane in quelle missioni? «Non voglio rivelare dettagli. Posso solo dire che ho potuto osservare il lavoro e la professionalità di quella squadra. Credo che gli italiani sarebbero orgogliosi dei loro soldati». I Paesi occidentali sono pronti ad accettare negoziati con insorti con «le mani sporche di sangue»? Si parla di trattative con Gulbuddin Hekmatyar, un signore della guerra responsabile di numerosi attacchi contro le forze della coalizione. «Dev’ essere prima di tutto una decisione afghana, con un coinvolgimento della comunità internazionale. Voglio enfatizzare questo punto: tutte le guerre devono avere una fine e se non capiamo che dobbiamo essere preparati a superare quello che è accaduto durante il conflitto, non siamo abbastanza flessibili. Noi soldati di questo siamo consapevoli, perché sappiamo: ogni guerra che va avanti fino alla cancellazione di uno dei contendenti è una guerra di folli». Davide Frattini