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 2010  marzo 06 Sabato calendario

QUEI GIOVANI INTELLETTUALI CHE PRESERO IL MOSCHETTO

Primavera del 1848. Studenti universitari di Pisa o di Siena, giovani popolani e borghesi di queste e di altre città toscane, si stanno arruolando volontari per affiancare i reparti regolari del Granducato che hanno l’ incarico di muovere verso i confini dello Stato, e forse di spingersi persino nella Pianura Padana all’ attacco dell’ esercito austriaco. Gli spostamenti delle colonne toscane sono scanditi da canti marziali: «All’ armi ne chiama / l’ italica terra: / Evviva la guerra! / Vittoria o morir!»; oppure: «Addio, mia bella, addio / L’ armata se ne va; / Se non partissi anch’ io / Sarebbe una viltà! / Tra quanti moriranno / Forse ancor io morrò; / Non ti pigliare affanno, / Da vile non cadrò». Col passare dei giorni qualcuno dimentica le esibizioni di coraggio dei primi momenti e torna indietro, magari dando ascolto alle lettere accorate di preoccupatissimi genitori. Ma c’ è chi non ha nessuna voglia di scherzare: c’ è chi vuole partecipare a tutti i costi a una guerra che sente come assolutamente necessaria per la propria integrità etico-politica, manifestando i suoi sentimenti patriottici con toni talora spavaldamente splatter («Addio! Ho giurato di non tornare a Prato se non portando una testa di tedesco infilzata nella mia baionetta»: così scrive un volontario alla madre). I coraggiosi che vanno avanti sono rincuorati dall’ entusiasmo della gente che abita nei paesi che attraversano mentre si muovono verso nord. Per Giuseppe Montanelli, giovane professore dell’ Ateneo pisano e volontario lui stesso, questi entusiasmi non sono una sorpresa. Da mesi ormai la Toscana è in subbuglio: nel 1847 è stato tutto un susseguirsi di manifestazioni pubbliche in lode di Pio IX o delle riforme annunciate o realizzate. Delle tante manifestazioni Giuseppe Montanelli ne ricorda una in particolare, tenuta a Pisa il 6 febbraio 1847: «Il cielo era a tempesta. Quel magnifico anfiteatro del Lung’ Arno, nel cui centro abitavo, era tutto ornato di bandiere. Domandavo se, come ora in festa, ci ritroveremmo insieme al pericolo. Chiedo alle madri e ai padri se manderanno al campo i figliuoli, e la turba rispondeva: sì. Chiedo ai preti se benediranno gli eserciti, se suoneranno a stormo le campane; e ancora quella santa promessa: sì, sì, giuriamo! allora ripresi io: vi saremo tutti. E le braccia alzate, le mani stese, le guancie rigate di lagrime, per tre volte tutti rispondeva la moltitudine con grido immenso e concorde che mi suona ancor dentro». Tutti forse no; ma molti sui campi di Lombardia alla fine ci arrivano per davvero, per combattere tenacemente contro gli austriaci il 29 maggio tra Curtatone e Montanara. E tra gli altri c’ è anche il ventenne Elbano Gasperi, che, miracolosamente illeso ma con i vestiti a brandelli per lo spostamento d’ aria causato dallo scoppio di un cassone di polvere, continua a correre come un invasato, seminudo com’ è, dall’ uno all’ altro dei due cannoni che gli sono stati affidati, senza smettere di sparare contro i nemici. Ora, può darsi che questo episodio sia stato anche assai enfatizzato nelle narrazioni del post-battaglia; ciò che è indubbio, invece, è che lo scontro con gli austriaci è durissimo e che diverse centinaia di toscani restano sul campo, feriti o colpiti a morte. Evento minore di un Risorgimento senza vera partecipazione, questo toscano? Nient’ affatto. Se solo, anche in forma panoramica, si alza lo sguardo all’ intera penisola, e si osserva quello che succede nel 1846-47, si può constatare che alle manifestazioni toscane si accompagnano simili manifestazioni che vengono organizzate nel Regno di Sardegna, nel Ducato di Lucca o nello Stato Pontificio. E se poi si guarda all’ incredibile sequenza di eventi che scandiscono il 1848-49, con le insurrezioni di Palermo, e poi con quelle di Milano e di Venezia, capaci di mettere in scacco fortissime guarnigioni militari austriache (dove, come ci ricorda Cattaneo per Milano, a morire sulle barricate non sono solo borghesi o intellettuali, ma soprattutto «operai», e dove l’ audace Cristina di Belgiojoso guida a sue spese 180 volontari reclutati a Napoli); se si guarda alle insurrezioni nei Ducati padani; alla strenua resistenza di Brescia all’ aggressione austriaca; alla costituzione di un governo virtualmente repubblicano in Toscana; alla proclamazione a Roma di una Repubblica, alla cui difesa partecipano volontari che arrivano da varie parti della penisola; e se si sfoglia la quantità di giornali, fogli volanti, appelli, proclami che circolano incessantemente in questi due anni: ebbene si deve concludere che molte e molte migliaia di persone, uomini e donne, hanno partecipato attivamente, in una forma o nell’ altra, ad azioni politiche ispirate da un’ idea nata da poco, ma capace di toccare in profondità il cuore e la mente di molti, ovvero l’ idea nazional-patriottica. In realtà, se dall’ osservatorio del 1846-49 guardiamo sia indietro che avanti, non possiamo che trarre altre conferme. Si stima che gli affiliati alle sette carbonare, e poi alla Giovine Italia, siano stati diverse migliaia. I volontari che nel 1859 partono da varie parti d’ Italia per andarsi ad arruolare a Torino nel 1859 sono sicuramente almeno 16.000 (e forse addirittura 24.000), mentre a inizio 1859 gli effettivi dell’ esercito piemontese sono poco più di 50.000. E 20.000 sono i volontari che da maggio a ottobre 1860, partendo dall’ Italia centro-settentrionale, si uniscono a Garibaldi nell’ impresa meridionale. E a costoro, che sono l’ avanguardia combattente del movimento, si devono poi affiancare i molti altri uomini e donne che non avendo l’ età o il coraggio per mettere a repentaglio la propria vita, nondimeno incoraggiano i combattenti, li guardano con simpatia, oppure leggono o ascoltano o ammirano con passione i best seller letterari, musicali, iconografici di ispirazione patriottica (prodotti da autori del calibro di Foscolo, Manzoni, d’ Azeglio, Guerrazzi, Verdi, Hayez ...). poco, tutto ciò? irrilevante? Poco in una terra di diffuso analfabetismo, dove lo stato delle comunicazioni non facilita il movimento né delle persone né delle idee? Dove, fino al 1846, tutte le polizie degli Stati esistenti fanno a gara per reprimere il diffondersi dell’ idea nazionale? Francamente penso che si debba rispondere che no, non è né poco, né irrilevante. Penso che il movimento risorgimentale - pur diviso al suo interno da gravi e profondi dissensi sulla natura istituzionale del futuro Stato italiano - sia stato un movimento politico compatto nel condividere l’ idea dell’ esistenza della nazione italiana; e un movimento politico-culturale di grandi dimensioni, senza il quale l’ efficace operazione diplomatica compiuta da Cavour nel 1858-59 non avrebbe dato altro frutto che una pura e semplice espansione territoriale del Regno di Sardegna verso la Pianura Padana, secondo un antico disegno della diplomazia sabauda. Senza la cultura patriottica, senza cinquant’ anni di lotta politica, senza la formazione di una vasta opinione pubblica di orientamento nazionale, quella operazione non avrebbe avuto il senso che ha avuto: di essere cioè una tappa, insieme a molte altre, nel processo di costruzione di uno Stato nuovo per la nazione-Italia.
Alberto Maria Banti