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 2010  marzo 06 Sabato calendario

E MONTANELLI RACCONTO’ IL PROZIO MONTANELLI

«Io non sono il suo erede diretto; ma ne porto il nome e sono nato non solo nello stesso paese e nella stessa casa, ma perfino nella stessa stanza in cui egli morì». Comincia così un elzeviro di terza pagina scritto da Indro Montanelli sul Corriere del 17 giugno 1962 e dedicato al centenario della morte di Giuseppe Montanelli (nella foto), uno di quegli intellettuali-letterati-combattenti di cui è ricco il Risorgimento. Nato a Fucecchio nel 1813, a 27 anni era professore di diritto civile all’ Università di Pisa. E come tale partecipò agli scontri di Curtatone e Montanara. Dopo la fine sfortunata del conflitto del 1848-49, Giuseppe scappò in Francia, per rientrare poi nel ’ 59, quando partecipò alla Seconda guerra di Indipendenza nei «Cacciatori degli Appennini». Ma il soggiorno parigino gli diede la fama di «infranciosato», cioè troppo legato agli interessi francesi e napoleonici nella Penisola e quindi potenzialmente un traditore. Probabilmente non era vero. Ma, scrive Indro, era un uomo che non poteva piacere in un periodo, quello dei plebisciti per l’ adesione al nuovo Regno, che imponeva scelte forti e decise: «Era colto, sfumato, e afflitto da casi di coscienza che gli ispiravano dei "distinguo" sottili fino all’ ambiguità». Si astenne dal votare l’ annessione della Toscana all’ Italia, si ritirò a Fucecchio ma il linciaggio morale non finì: gli si interdisse l’ ingresso in Parlamento e l’ Università di Pisa non gli restituì la cattedra. Una specie di esilio in Patria, che avvelenò la fine della sua esistenza. «Visse i due ultimi anni nella grande casa dove anche io ho visto la luce. Sfortunato fino in fondo, premorì a tutti i suoi avversari: errore imperdonabile in un Paese come questo dove, per aver ragione, bisogna anzitutto sopravvivere». Paolo Rastelli