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 2010  marzo 06 Sabato calendario

LA POLITICA DEI DIVIDENDI CHE ANIMA EXOR E FIAT

Se un´impresa genera più liquidità di quanta sia in grado di investire, è giusto che la distribuisca agli azionisti, sotto forma di dividendi o acquisto di azioni proprie. Lo stesso vale se ha una leva finanziaria troppo bassa. Questa è la regola. Ma non per Fiat. Non poche perplessità ha destato la decisione di Exor (holding quotata degli Agnelli) di avallare il pagamento di un dividendo da parte di Fiat, nonostante un 2009 chiuso con le vendite di autocarri e macchinari in caduta del 27%, e l´auto tenuta a galla dagli incentivi statali. L´ottimismo al Lingotto (e Detroit) non manca mai. Ma la politica dei dividendi sembra dettata solo dall´esigenza di far cassa dell´azionista di controllo. Dal 2007 a oggi, infatti, Fiat ha distribuito 1,7 miliardi, tra dividendi e buyback, nonostante i 2,2 miliardi di liquidità assorbita da gestione operativa (capitale circolante escluso) e investimenti nei tre anni.
D´altronde, Exor, come Ifi e Ifil in precedenza, non è mai stata "friendly" con gli investitori. Il gruppo mantiene un sistema barocco di azioni a diritti di voto multiplo (6 diverse tra Exor e Fiat) per rendere il controllo più agevole. Che il mercato non apprezza: le Fiat risparmio trattano con uno sconto del 34% rispetto alle ordinarie; che sale al 44% per le privilegio di Exor. I brutti ricordi non si dimenticano. Difficile che lo faccia chi ha investito nelle privilegio, rimasto scottato dalla fusione tra Ifi e Ifil (ha dato vita a Exor nel 2009), fatta in modo da massimizzare gli interessi degli Agnelli.
Ma il controllo, si sa, vale molto. Lo testimonia lo sconto delle risparmio: dall´arrivo di Marchionne, lo sconto si è ridotto fino a quasi azzerarsi nell´estate 2005. Quando però è stato chiaro che gli Agnelli, col famoso swap al tempo del convertendo, avevano nuovamente blindato il controllo, lo sconto si è riaperto, fino a tornare, oggi, ai livelli di inizio 2004. Tutto deve cambiare perché nulla cambi.
La storia delle holding targate Agnelli è costellata da un´eccessiva noncuranza per gli investitori. Come quando Ifi ha conferito a Ifil la sua partecipazione in Fiat, poco prima che questa lanciasse un grosso aumento di capitale nel 2003, così da scaricarne l´onere sulle minoranze. O quando Ifil ha ritirato dalla Borsa Rinascente, pagando le azioni quasi la metà del valore alla quale ha rivenduto l´azienda, a pezzi, poco dopo. E come non ricordare il collocamento di Juventus?
Nel suo sito Exor dichiara 6 miliardi di attività in portafoglio, definendosi "una delle principali società d´investimento europee": un specie di Warren Buffet savoiardo. Ma il mercato valuta le attività di Exor appena 3,6 miliardi, applicando uno sconto del 40%. E non da oggi: sono decenni che le holding Agnelli regolarmente valgono molto meno delle attività in cui investono. Evidentemente, non c´è grande fiducia nelle loro capacità di investimento. Exor è ancora troppo concentrata in Fiat (ai valori di mercato, 84% del suo attivo) per essere una "società di investimento" credibile: o si fa l´investitore o si fa la holding di controllo. Ciononostante, dalla sua costituzione, il titolo Exor ha fatto 17% peggio di Fiat. Segno che il resto degli investimenti non entusiasma. Come dar torto al mercato? Ha comprato Alpitour nel 2000, al picco secolare delle valutazioni azionarie; la prima società americana di servizi immobiliari nel 2007, al picco della bolla; Vision, un fondo hedge, nel 2008, alla vigilia della crisi finanziaria.
Non sorprende dunque che sia tornato in auge il tormentone dello spin off dell´auto: un´operazione meramente finanziaria, che non cambia di un centesimo fatturato e margini dell´auto, ma che potrebbe dare lo sprint al titolo (lo spezzatino piace); con la prospettiva del conferimento di Chrysler ad aggiungere un po´ di pepe. Uno spin off che beneficerebbe in primis Exor. Ne ha di strada da fare prima di pensare a emulare Warren Buffet. Ma ha tutto il tempo per provarci. Basta chiamarsi Agnelli.