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 2010  marzo 06 Sabato calendario

BAGDAD AL VOTO TRA IL SANGUE E CORTEI IN FESTA

brusco, a volte brutale, il passaggio dalla festa al dramma, dall´allegria alla paura, nel migliore dei casi da un prudente ottimismo a un contenuto pessimismo. un ottovolante di umori. Si seppelliscono i morti degli attentati di ieri (una ventina, la contabilità è incerta), qui a Bagdad, a Mossul e a Diyala, e nelle stesse ore rumorosi, trionfalistici cortei, con bande musicali e bandiere spiegate, preannunciano vittorie in elezioni non ancora avvenute. Ma puoi anche percorrere chilometri di viali deserti, popolati da migliaia di ritratti di candidati sorridenti, che nascondono porte e finestre sbarrate. Inciampi soltanto in posti di blocco, in autoblindo dell´esercito, in pattuglie della polizia in evidente stato d´allerta, ma senza la grinta di un tempo, quando imperversava la guerra civile. La diffidenza non sconfina mai nell´aggressività. Le canne dei mitra restano a una distanza rispettosa. E quasi mai puntate su di te. Non è come nel passato, quando sentivi la minaccia sulla pelle. Ti scopri in una specie di limbo: in bilico tra il disinvolto arbitrio della dittatura e l´impacciato rispetto della democrazia incompiuta. Questo è l´Iraq che ritrovi sette anni dopo l´invasione americana e alla vigilia di elezioni legislative che domani disegneranno il paese post-americano. La vecchia dittatura appartiene alla storia, ma l´uscita dalla sanguinosa epoca di transizione appare incerta. Insomma la promessa democrazia stenta a delinearsi con precisione. Non la vedi tanto chiara. Eppure molto è cambiato, anche rispetto al mio ultimo viaggio che risale all´estate scorsa. L´Iraq non è più quello di allora. Resta però nebbioso quello imminente, non tanto per la naturale incertezza del voto, quanto per l´uso che ne sarà fatto.
Vado nel quartiere di Adhamiya nell´ora in cui si conclude la preghiera del venerdì nella grande moschea sunnita di Abu Hanife. Alcuni anni fa, quando i sunniti alimentavano l´insurrezione armata, era come avvicinarsi a una caldaia bollente. Un giorno avevo un appuntamento con uno dei notabili, ma mi consigliò di andarmene al più presto perché non poteva garantire la mia sicurezza. Adesso, incrociando i fedeli all´uscita dal santuario, scopro sorrisi, urto spalle non irrigidite da ostilità o diffidenza, trovo gente disposta a scambiare qualche parola.
Chiedo a un quarantenne attempato, col tradizionale copricapo sunnita, se sia contento che gli americani non siano più per le strade di Bagdad, e che sia prevista la loro partenza dal Paese entro la fine del 2011 (dall´agosto prossimo rimaranno in cinquantamila, per lo più nella veste di consiglieri). Mi guarda stupito: «Gli americani?». come se li avesse dimenticati. Non è così. evidente. Ma non finge del tutto. I sunniti hanno abbandonato da tempo l´insurrezione armata. Gli americani li hanno recuperati e gli sciiti, detentori del potere in quanto maggioranza, pur esercitando con arroganza le loro prerogative, sono riusciti a coinvolgere molti di loro perlomeno a livello politico. Non per questo i sunniti sono stati domati, appaiono soltanto rassegnati a rispettare le regole del gioco.
Ne è la prova il riassorbimento delle milizie, che operavano in difesa della loro comunità e aggredivano gli sciiti. Esse si sono dissolte o sono entrate in letargo. I sunniti hanno smesso di rimpiangere l´epoca di Saddam, quando comandavano nel Paese per un non scritto diritto secolare. Quel che devono digerire è il potere degli sciiti, con i quali devono collaborare, pur conservando a livello popolare il loro rancore. l´indispensabile premessa per arrivare a qualcosa che assomigli il più possibile alla democrazia. Il mio laconico interlocutore esprime con il suo candido stupore questa posizione. Il passato non è dimenticato, è messo da parte. E gli americani sono per lui diventati fantasmi.
Sadr City è l´altra, prepotente, impetuosa, imprevedibile faccia di Bagdad: quella popolare sciita, che nell´aprile del 2003, quando gli americani entrarono nella capitale liberata dal regime di Saddam, si riversò nei quartieri dei ministeri, delle banche, dei musei, degli ospedali, saccheggiando tutto quel che era possibile, come un´ondata di cavallette, sotto gli sguardi indifferenti del super esercito occidentale. Anche a Sadr City è finita la preghiera del venerdì, ma l´uscita dalle moschee avviene in modo trionfalistico. Sfila l´Alleanza irachena unita di Ammar Hakim, un tempo uomo di Moqtada al Sadr, l´irrequieto religioso animatore di una milizia sciita antiamericana. Ci sono donne col chador nero come la pece e giovani che sventolano bandiere nazionali e cantano inni patriottici. I partiti religiosi estremisti fanno chiasso ma hanno perduto, sembra, l´appoggio popolare, che ormai va alle grandi formazioni moderate.
Il quasi ottantenne grand´ayatollah Ali al-Sistani, la più prestigiosa autorità spirituale sciita, si è ben guardato (al contrario di quel che fece nel 2005, in occasione delle prime legislative) dal sostenere un partito religioso. Egli non è d´accordo con i confratelli di Teheran, i quali rompendo la tradizione sciita hanno assunto con la rivoluzione khomeinista il potere diretto. Né vuole che dei politici si richiamino a lui e strumentalizzino la sua influenza. grazie a Sistani se la guerra civile tra sciiti e sunniti si è mantenuta su un piano etnico, evitando di diventare un aperto scontro religioso, nonostante le numerose fiammate di questa natura. Cinque anni fa al-Sistani appoggiò la coalizione sciita, che poteva frantumarsi impedendo l´affermazione della maggioranza sciita da secoli sottoposta ai sunniti. Adesso che questa affermazione è un fatto più che compiuto, il grand´ayatollah e i suoi confratelli della «marjaiya» (l´elite religiosa sciita) invitano gli iracheni a votare, ma ci tengono a mantenere la loro neutralità. Non tutta la massa dei fedeli ubbidisce ai saggi insegnamenti di Sistani. Un gruppo di fanatici (l´Assaib Ahl al-Haq), guidato da ex seguaci di Moqtada al Sadr, ha annunciato che bombarderà con dei missili la Zona Verde, il quartiere "bunkerizzato", dove si trovano ministeri e ambasciate.
L´Iraq è proprio cambiato. Nel ristorante non siamo più di quattro clienti. Eppure è festa. Chiedo al proprietario del Grill Restaurant se gli affari vadano tanto male. Lui mi propone una birra. Alcol? Un tempo era raro. In quanto agli affari, spiega che la gente è prudente. Ha paura. Degli attentati? No, a quelli ci abbiamo fatto l´abitudine e adesso sono pochi. Pochi? Ci sono stati 33 morti mercoledì a Baquba, con un triplo attentato suicida, ieri una ventina tra Bagdad e Mossul, e si parla soltanto dei più gravi.
Il proprietario non si scompone. Sì, sì, ma sono diminuiti. E chi li compie adesso che i sunniti sono quasi rientrati nei ranghi? La risposta è pronta: quelli di Al Qaeda, tutti stranieri. Abu Omar Baghdadi, il loro capo, dato puntualmente, per sbaglio, morto ammazzato, è uno straniero? Il proprietario del Grill Restaurant allarga le braccia. Non lo sa. Ma sa quello di cui la gente ha paura. Ha paura di domani. Del voto di domani, della democrazia? Sarà difficile che dopo si mettano d´accordo, se non vince uno forte sarà un disastro.
Sulla carta, per molti, i favoriti sono Nuri Kamal al-Maliki, il primo ministro in carica, Iyad Allawi, anche lui un ex primo ministro, e Hakim, lo sciita integrale. Al-Maliki ha portato il Paese alle elezioni. Ha fatto un lavoro serio, ma non si pensa che avrà una maggioranza per farcela da solo con la sua Alleanza per lo Stato di diritto, in cui, lui, uno sciita, ha coinvolto non pochi sunniti. Un´altra bella impresa. Iyad Allawi, che fu primo ministro dopo l´invasione americana, è un medico con un coraggio privato e pubblico eccezionale. Ruppe col partito Baath di Saddam Hussein perché gli fu imposto, si racconta, di abbandonare l´amica ebrea. Poi è diventato uno dei principali oppositori del regime. Il suo partito, il Movimento nazionale iracheno, è laico. Lui è sciita ma molti dei suoi sono sunniti.
Un´alleanza al-Maliki - Allawi sarebbe sulla carta un´ottima soluzione. Tra i loro avversari ci sono troppi personaggi di pessima reputazione ma di grande abilità. C´è ad esempio quell´Ahmed Chalabi che fornì agli americani i falsi testimoni delle famose e inesistenti armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Si disse poi che Chalabi era al servizio dell´Iran e che per questo fece scatenare la guerra. Teheran voleva eliminare Saddam Hussein, con il quale aveva fatto una guerra costata un milione di morti. E gli americani esaudirono inconsapevoli la volontà degli ayatollah iraniani. Gli iraniani sono tra i fantasmi che angosciano l´Iraq elettorale. Non sono pochi a pensare che essi occuperanno il vuoto lasciato dagli americani. Hanno infatti tanti amici sciiti.