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 2010  marzo 06 Sabato calendario

METAFORE E VIOLENZE - A

maggio in Spagna, in seguito a un referendum che ha raccolto 185 mila firme fra cui quelle di noti intellettuali, si deciderà se abolire o meno la corrida in Catalogna, regione da cui è partita l’iniziativa. La tesi per il sì all’abolizione è la solita e può essere sintetizzata con le parole dello scienziato Jorge Wagebsberg ”Non è ammissibile uno spettacolo che si basa o richiede la sofferenza di un essere vivente”. Gli oppositori ribattono che la corrida è ”un bene tradizionale di interesse culturale”. Ma, a mio parere, non è questa la materia del contendere. Se si dovessero rispettare tutte le tradizioni, dice Wagensberg ”saremmo ancora al medioevo ”. E ha ragione. Solo che, con la tipica astrattezza illuminista, non tiene conto, in nome del dover essere, dell’uomo quale concretamente è e del fatto che la sua aggressività è anche un elemento vitale. Tutte le culture che hanno preceduto la nostra sapevano che l’aggressività non può essere eliminata totalmente dall’e s s e re umano. Quindi hanno creato una serie di istituti per lasciarle un qualche sfogo, ma in modo da canalizzarla, controllarla e tenerla sotto una soglia accettabile. Questo senso hanno la festa orgiastica, presente in quasi tutte le culture, e fra i neri dell’Africa centrale, che son quelli che più e meglio hanno metabolizzato la questione, la guerra ritualizzata, la guerra finta (chiamata ”rotana” fra i Bambara per distinguerla dalla ”diembi”, la guerra vera), la guerra in cui si tolgono le alette alle frecce in modo che il tiro sia inevitabilmente impreciso. Presso gli Ashanti, tribù guerriera, esisteva una settimana ”f re e ” in cui ognuno poteva dire al suo vicino e anche al re cosa pensava veramente di lui. Dopo questo sfogo salutare tutto tornava normale (in Giappone, mondo particolarmente represso all’interno della propria educazione formale, hanno ripreso questa usanza nelle loro aziende creando palestre dove il punching-ball porta l’immagine del Capo). Anche da noi il Carnevale, finché è esistito, aveva questa funzione liberatoria così come la conservano manifestazioni truculente tipo il Palio di Siena che fa inorridire gli animalisti (l’animalismo, nella mia ottica, è, per dirla pomposamente con Lenin, ”la malattia infantile dell’e c o l og i s m o ”). Del resto se gli animalisti avessero una qualche coerenza più che della Corrida o della Festa di Pamplona o del Palio di Siena si occuperebbero della situazione degli animali, in particolare mucche e polli, che finiscono sulle nostre mense: stabulati, uno accanto all’altro, anabolizzati, illuminati a giorno 24 ore su 24 perché crescano più velocemente, sviluppano malattie tipicamente umane fino all’altroieri sconosciute al mondo animale, diabete, problemi cardiocircolatori, infarto, depressione. Non è certo un caso se nell’antica Grecia il capro espiatorio si chiamasse ”pharmacos”, medicina. Pure il calcio, metafora della guerra, ha avuto questa funzione anche se adesso lo si vuole ridurre, sul campo e sugli spalti, ad uno sport per signorini educati a Oxford o a Cambridge. In campo, pena l’espulsione , non si può più bestemmiare anche se hai preso un pestone terribile da un tuo avversario (robb de matt diremmo noi che siamo di Milano) sugli spalti non si possono nemmeno esporre striscioni, chiaramente ironici ma che hanno creato gran scandalo tra le ”anime belle”, come quello esibito, mi pare, dai tifosi doriani, in una partita delle giovanili fra Samp e Genoa: ”Uccidiamoli da piccoli”. Continuiamo pure così, in questa astrazione illuminista, ma poi perlomeno non meravigliamoci se l’aggressività troppo a lungo repressa, esplode poi in forma mostruosa come nei delitti delle ”villette a schiera” per una banale lite di condominio.