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 2010  febbraio 12 Venerdì calendario

L’EURO SI SVALUTER. NON GIOITE

La crisi Greca dice chiaramente che la crisi globale sta entrando in una nuova fase e che l’Europa potrebbe subirne conseguenze più serie di quanto fin qui previsto. L’economia globale sta passando dalla fase di uscita dalla recessione e della ripresa (che è ancora assai incerta e comunque debole) alla fase di gestione della montagna di debito che, anche a seguito della crisi, molti Paesi hanno accumulato. Le ”exit strategies” dalle politiche di sostegno sono solo il primo passo di un processo di consolidamento che durerà alcuni anni. La reazione dei mercati nei confronti dei Paesi ad alto debito come la Grecia segnala il loro giudizio sulla capacità dei governi di far fronte a questa sfida, sia in termini di credibilità della politiche di aggiustamento che i Paesi, (Grecia ma non solo) hanno annuciato, sia in termini della solidità dei sistemi economici, che dovranno fronteggiare la duplice pressione della recessione e delle misure di aggiustamento. Le conseguenze in termini di minore crescita e minore occupazione non potranno non avere ripercussioni sul piano sociale e del consenso politico.
Se collochiamo il caso Grecia nel contesto europeo nuove fonti di preoccupazione vengono alla superficie. Non vi è dubbio che la responsabilità delle misure necessarie per affrontare la crisi spetta sopratutto al governo greco (e a altri governi che si dovessero trovare nella medesima situazione) ma è inutile negare che esiste anche una responsabilità europea. E ciò per più di una ragione. In primo luogo una crescente instabilità del debito greco potrebbe avere effetti di contagio, sia verso il debito sovrano di altri Paesi dell’area euro, sia verso sistemi finanziari di altri Paesi europei che potrebbero essere esposti, direttamente o indirettamente, nei confronti della Grecia. In secondo luogo le vicende greche si stanno ripercuotendo sull’euro in quanto i mercati mettono in dubbio la tenuta complessiva della moneta unica di fronte a questa nuova sfida. In terzo luogo un indebolimento permanente delle economie del Sud Europa (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna, Pigs come sono gentilmente chiamati dalla stampa anglosassone) comporterebbe un ulteriore effetto depressivo alla domanda aggregata dell’area euro. Gli squilibri dei pagamenti all’interno dell’unione monetaria infatti mostrano che, a fronte di un consistente surplus di partite correnti della Germania, i Pigs presentano complessivamente un deficit (che in gran parte compensa il surplus tedesco). In altri termini questi Paesi hanno svolto a livello europeo il ruolo che gli Stati Uniti hanno svolto a livello globale nel mondo pre-crisi, quello di ”motore della crescita della domanda” (mentre la Germania svolge il ruolo della Cina). E, come nel caso della Cina, solo la Germania, o soprattutto essa, avrebbe la capacità di sostenere la domanda europea senza compromettere la sua sostenibilità fiscale.
Ma a fronte di un oggettivo interesse europeo a risolvere la crisi greca (e forse quella spagnola e portoghese) qual è la risposta comunitaria? Il vertice europeo ha annunciato un programma di sostegno ispirato alla «ambiguità costruttiva». Ha esortato la Grecia a implementare un severo programma di aggiustamento, ma senza sbilanciarsi in termini di sostegno finanziario. Ha anche annunciato che l’implementazione del programma sarà monitorata dalla Commissione europea anche in collaborazione con il Fondo monetario internazionale. Forse questo basterà a placare le ansie sulle conseguenze della crisi sul futuro dell’unione monetaria. Ma da questo punto di vista il problema è un altro. Ha a che fare con la solidità istituzionale, prima ancora che finanziaria della moneta unica. I dibattiti sull’opportunità di un intervento del Fmi a sostegno della Grecia sono lì a dimostrarlo. Un intervento diretto del Fmi sarebbe quello tecnicamente più efficace, ma metterebbe a nudo quello che è sotto gli occhi di tutti: il meccanismo istituzionale dell’unione monetaria è ancora largamente incompleto. Due sono i terreni su cui bisogna lavorare. La costruzione di una sistema di sorveglianza degli squilibri interni all’Unione in grado di prevenire l’emergere di dinamiche di debito insostenibile. La revisione e il rafforzamento del Patto di stabilità. Il fatto che molti Paesi (a cominciare dalla Germania) abbiano deciso di modificare i propri meccanismi di disciplina fiscale segnala anche un’insufficiente fiducia nei meccanismi a livello comunitario. Ci aspettano anni di debito crescente per tutti i Paesi avanzati, fuori e dentro l’area euro, e la crescita bassa non ci aiuterà. illusoria la consolazione che, nel frattempo l’euro si stia svalutando e che ciò possa dare un poco di sollievo alle esportazioni europee.
Pier Carlo Padoan, Il Riformista 12/2/2010