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 2010  febbraio 12 Venerdì calendario

LA NOSTALGIA DEL MARCO E L’INCUBO DEI TEDESCHI PER LA ”TRAGEDIA GRECA”


«Se il governo tedesco concederà aiuti economici alla Grecia, i tedeschi avranno la sensazione che i loro peggiori incubi si stiano avverando». L’analisi garbata che il capo economista della Deutsche Bank, Thomas Mayer, ha consegnato al New York Times viaggia da giorni sul web sotto forma di insulto. Alla cancelliera Angela Merkel, già in una fase di popolarità in picchiata, riunita ieri a Bruxelles nel vertice straordinario per affrontare la ”tragedia greca”, i blogger e i lettori dei quotidiani online hanno continuato a rimproverare anche ieri l’aiuto promesso ad Atene con considerazioni spesso irripetibili. Una delle più gentili suona così: «Andrò in pensione a 67 anni e manterrò un pensionato greco di 61, ex impiegato di uno Stato in bancarotta. Grazie Angela».
Ma nei commenti torna anche il rimprovero tipico che i tedeschi fanno ai loro governanti da vent’anni, da quando un famoso patto tra il cancelliere Helmut Kohl e il presidente francese François Mitterrand li privò del loro amato marco. Cioè del più importante simbolo della rinascita post-bellica e dell’unica grandeur concessa alla Germania dopo la tragedia del nazismo, quella economica. La nostalgia per il marco è dura a morire, soprattutto in questi giorni. Il salvataggio di un Paese poco rigoroso sui conti pubblici e che ha addirittura falsificato più volte le statistiche è un «cattivo precedente» come ha titolato un quotidiano finanziario.
Vent’anni fa, nei mesi immediatamente successivi all’inaspettato crollo del Muro di Berlino, l’abbandono del marco fu la prima questione sul tavolo delle trattative per la riunificazione. Kohl e Mitterrand si affrontarono in serrato braccio di ferro che culminò in un colloquio tra il cancelliere e il segretario di Stato americano James Baker. A dicembre del 1989 Kohl confessò al capo della diplomazia di Washington di aver rinunciato al marco in favore dell’euro. In cambio, allora, della vaga prospettiva di una futura confederazione tedesca. Uno scambio accettato da Kohl «contro gli interessi tedeschi» .
Un anno dopo la Germania era riunificata, anche in virtù di quell’intesa. La strada verso una moneta unica europea, invece, ancora lunga e tortuosa. Soprattutto, fortemente condizionata dalla rinuncia di Berlino alla moneta più solida d’Europa. Quel «contro gli interessi tedeschi» dell’inverno dell’89 condizionò molti passaggi del Trattato di Maastricht e molte decisioni che portarono all’adozione dell’euro. E si tradusse, politicamente, in un’enorme diffidenza nei confronti di chi, come l’Italia, trascorse gli anni Novanta a riequilibrare i conti pubblici alla deriva a colpi di gigantesche privatizzazioni, eurotasse e sacrifici. Finché nel 1998 Il Sole24 Ore fece lo scoop su una parola che spazzò via l’ostilità tedesca e cambiò il destino dell’Italia.
Era fine marzo e nei giorni febbrili in cui si decidevano i Paesi ”degni” di entrare nel primo gruppo che avrebbe adottato la moneta unica, la riluttanza del governatore della Banca centrale tedesca, Hans Tietmeyer, ad accettare l’ingresso dell’Italia si tradusse in un’espressione fatale: «Serious concerns». I governatori la infilarono nel ”Rapporto di convergenza” che decideva gli ammessi e gli esclusi. E quella «seria preoccupazione» sulle capacità dell’Italia di mantenere gli impegni per restare nell’euro, sembrò la pietra tombale sulle speranze italiane. Poche ore dopo la riunione la notizia, ancora riservata, rimbalzò a Roma e fece andare su tutte le furie Carlo Azeglio Ciampi, allora ministro del Tesoro. Dopo un giro di telefonate con i suoi ex colleghi banchieri centrali, la storia cambiò. «Serious» divenne «ongoing», l’ansia nei confronti dell’Italia da «seria» divenne «costante» e il traguardo fu raggiunto.
Ma la vigilanza di Berlino sull’euro è sempre rimasta strettissima. Ha ottenuto la sede della Banca centrale europea su suolo tedesco, a Francoforte. Ha imposto una clausola importantissima al Trattato di Maastricht - tornata di grande attualità in questi giorni - la ”no bailout”, la clausola che impedisce il sostegno dell’eurozona agli Stati in difficoltà. Ha ottenuto che il primo governatore della Bce fosse non un tedesco - sarebbe stato chiedere troppo - ma comunque un ”attiguo”, un nordico, l’olandese Wim Duisenberg. Ed è stata la guardiana più feroce dell’ortodossia rigorista e dell’autonomia della Bce dalle pressioni dei governi (spesso quello francese e quello italiano) per mantenere i tassi di interesse bassi.
Oltretutto i tedeschi hanno vissuto nei primi anni del Duemila lo stesso fenomeno molto sentito anche da noi, quello dell’inflazione percepita, un sensibile aumento dei prezzi dei prodotti a più ampio consumo. E al loro rancore per la rinuncia del marco s’è aggiunto un argomento in più. Che ha continuato ad aumentare anche l’ostilità nei confronti dei Paesi della ”fascia sud” dell’eurozona, tradizionalmente più ”allegri” sulle finanze pubbliche. Oggi la Germania è l’unico Paese, secondo gli esperti, che potrebbe tornare a una moneta propria, se l’euro affondasse. E i tedeschi faticano sempre di più a capire in cambio di cosa hanno rinunciato al marco.