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 2010  febbraio 12 Venerdì calendario

LA BENZINA TALLONE D’ACHILLE DI TEHERAN

«Hit Teheran where it hurts ». Colpire Teheran dove fa male. Da mesi nei palazzi americani la voce circola insistente. Tre round di sanzioni approvate dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu si sono rivelate, se non del tutto inefficaci, incapaci di rallentare il cammino della repubblica islamica verso la costruzione di un ordigno atomico. La strategia del bastone e della carota non ha funzionato. L’Iran è stato più abile, ha guadagnato tempo. L’obiettivo è vicino.
Che fare ora? Bloccare i conti esteri delle banche iraniane, congelare gli asset finanziari, avviare un embargo sulla vendita di armi. Queste sono alcune delle misure che saranno discusse all’Onu.Non basteranno, sostengono diversi analisti. Occorre colpire Teheran dove fa male. Ecco, forse la benzina. Imporre un embargo sulle forniture all’Iran potrebbe anche rivelarsi un argomento convincente. D’altronde la benzina è definita il tallone d’Achille dell’Iran. Il paese vanta le terze riserve mondiali di petrolio, è il quinto esportatore, eppure importa il 40% dei suoi consumi. Suona come un paradosso, ma nel mondo solo gli Usa acquistano più benzina.
Colpire l’import di prodotti raffinati equivale a infliggere un danno rilevante all’economia. In Iran, dove i mezzi pubblici funzionano male, la benzina non si tocca. Grazie ai sussidi governativi costa meno di dieci centesimi di euro al litro. «Una cifra ridicola che ha provocato inefficienza nei consumi e sprechi. Molta della benzina prodotta era venduta di contrabbando nei paesi vicini. Ridurre i sussidi è inevitabile»,spiega al Sole 24 Ore l’analista energetico Manouchehr Takin.
Il dossier è molto delicato. Quando, nel 2007, il regime decise di ridurre la quantità di carburante sussidiato per persona, portandola a 100 litri al mese (in dicembre l’ha ridotta a 80) molti iraniani si riversarono in piazza; 12 stazioni di servizio furono date alle fiamme. Ecco perché la benzina è considerata dal Congresso Usa un’opzione efficace. Il 15 dicembre la Camera bassa ha approvato l’Iranian refined product sanctions act. Il 1?febbraioanche il Senato havarato una normativa simile. Ora devono armonizzare le due leggi.
Servirà davvero a piegare la volontà degli ayatollah? Teheran assicura di no, eppure continua ad aumentare l’import di benzina. Le riserve strategiche sono cresciute del 30% a 2,4 miliardi di litri, è un quantitativo che equivale a 70 giorni senza importazioni, sostiene Teheran. Il costo dell’operazione sta però divenendo insostenibile. Lo sa bene il ministro iraniano dell’energia Masoud Mirkazemi. Il suo eccessivo zelo nel rastrellare benzina ha creato un certo malumore: 118 onorevoli del Majlis hanno presentato una mozione per l’impeachment.L’11 gennaio ilparlamentare Ahmad Tavakoli ha esposto il suo resoconto: la legge sul budget 2007 aveva posto un tetto all’import di benzina e diesel di 3,8 miliardi di dollari. Lui ne ha spesi 5,8. Nel 2008 il tetto era 3 miliardi. Alla fine il conto è stato di 6,6 miliardi. E il trend continua. «Anche in febbraio le importazioni di benzina dovrebbero crescere del 20% rispetto a gennaio, che aveva segnato un netto aumento sul 2009», ha spiegato un trader.
Teheran ha compreso il pericolo. E ha reagito seguendo due strade: ridurrà ancora i sussidi e continuerà ad aumentare le scorte. Ha inoltre provveduto a diversificare i suoi fornitori, puntando su quelli che meno simpatizzano con Washington. Alla fine dello scorso anno il Venezuela ha iniziato a rifornire 20mila barili di benzina al giorno. L’obiettivo è vendere 800milioni di dollari di carburante all’anno. «La loro economia è in cattive condizioni, e comunque non riusciranno a colmare il vuoto lasciato dai fornitori occidentali », ribatte Mark Dubowitz, direttore di Foundation for Defence of Democracy, un think tank americano che spinge per le sanzioni. L’anno scorso sono entrate anche in campo due compagnie cinesi, la Cnpc e la Zhenua, ma le quantità consegnate a Teheran non sono finora così rilevanti.
Chi vende, allora, benzina all’Iran? «Alla fine del 2009 erano la francese Total, la malese Petronas, una sussidiaria della russa Lukoil, la cinese Zhenua, la kuwaitiana Indipendent Petroleum Group (Ipg), Shell (che secondo l’Energy intelligence Group ha spedito due cargo in settembre), Vitol e Trafigura (con sede in Svizzera) », continua Dubowitz. Anche il Dipartimento Usa dell’energia le include quasi tutte nella lista delle società che vendono benzina a Teheran. L’indiana Reliance, che all’inizio del 2009 forniva all’Iran il 25% del suo import, ha detto di aver sospeso le spedizioni da maggio.
Ma pochi giorni fa l’ambasciatore iraniano in India, Syed Nabizadeh, ha precisato che l’Iran sta tuttora importando benzina dalla Reliance. «Reliance – continua Dubowitz- ha sospeso l’import in ottobre, ma continua a spedire benzina alla kuwaitiana Ipg, ora un grande fornitore di Teheran».
Resta comunque altamente improbabile che l’Onu vari sanzioni energetiche contro Teheran. «Ma anche se si trattasse di sanzioni uni-laterali, per farle rispettare le navi militari americane dovrebbero bloccare le petroliere nelle acque dello stretto di Hormuz. L’Iran lo prenderebbe come una dichiarazione di guerra», spiega Leo Drollas, capo economista del Cges di Londra. «Fino a che Teheran pagherà, ci sarà sempre qualcuno pronto a fare affari», ironizza Takin. «Sarà sempre più difficile con le restrizioni sui premi assicurativi. E messe davanti a un bivio, le società coinvolte preferiranno rinunciare al business iraniano piuttosto che perdere quello americano. Le sanzioni sulla benzina non sono il silver bullet, la pallottola d’argento – conclude Dobowitz - ma la scheggia di una granata. Ma a volte anche una scheggia può provocare gravi danni».