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 2010  febbraio 12 Venerdì calendario

LA PROTERVIA DELL’IRAN PREOCCUPA IL MONDO


LA COMUNIT internazionale è giustamente preoccupata della protervia con cui il governo iraniano prosegue i suoi programmi di arricchimento dell’uranio, usa la forza contro i suoi cittadini e minaccia di distruggere Israele. Le sanzioni in atto hanno dato pochi risultati. Nessuno, con l’eccezione dello Stato ebraico, pensa di usare la forza. Si punta a sanzioni più efficaci, che colpiscano il governo di Teheran e non il popolo. Ma la situazione è complessa.
Nel valutare la situazione di un paese come l’Iran - con una cultura etico-politica ed istituzioni tanto differenti dalle nostre – occorre essere realisti, senza lasciarsi trascinare troppo dall’indignazione per le brutalità perpetrate dal governo. Contrariamente a quanto taluni sostengono, il trentunesimo anniversario della rivoluzione khomeinista è stato un successo per Ahmedinajad. Il suo discorso celebrativo è stato applaudito da centinaia di migliaia di persone. Alle controdimostrazioni dell’opposizione ha partecipato solo qualche centinaia di iraniani. Lo riconoscono gli stessi siti degli oppositori al regime.
Tuttavia, questo di per sé non dimostra la popolarità del regime. Una ben orchestrata campagna di intimidazione e la mobilitazione dei propri fautori e della ”maggioranza silenziosa” potrebbero aver prodotto tali risultati. Invece, la prova inequivocabile della forza di Ahmadinejad è data dalla partecipazione alle manifestazioni ufficiali del potente Ayatollah Rasfanjani, capo spirituale dell’opposizione. La sua dissociazione da quest’ultima fa seguito a quella di un altro dei suoi maggiori esponenti, Alì Larijani, presidente del Parlamento e uomo di fiducia della Guida Suprema, l’Ayatollah Khamenei.
In Occidente l’attesa era grande. Ci si aspettava una mobilitazione massiccia dei fautori di Mousavi, Karrubi e Khatami, frettolosamente etichettati ”moderati” o, almeno, pragmatici, gente con cui si sarebbe potuto negoziare l’abbandono del nucleare. Nulla è più duro a morire della speranza, anche quando è un evidente autoinganno. Molti si sono dimenticati che proprio l’opposizione aveva definito Ahmadinejad ”traditore dell’Iran”, quando i suoi plenipotenziari all’Aiea avevano accettato di trasferire in Russia ed in Francia una tonnellata e mezza di uranio arricchito al 3-5%.
 il popolo iraniano, non Ahmadinejad, che vuole la ”bomba”. L’Iran potrebbe rinunciarvi solo se fosse in gioco la sua sopravvivenza oppure se ricevesse benefici che ”salvassero la faccia” al regime.
Le cose per il regime iraniano non devono però andare molto bene. Diversamente, non si spiegherebbero la brutalità contro i pochi dimostranti né le ripetute provocazioni di Teheran. E’ sempre aspra la divisione della sua classe dirigente in due fazioni contrapposte: i Mullah e le Guardie della Rivoluzione Islamica, di cui Ahmadinejad è il leader indiscusso. Il regime è fragile ed incerto. Se è debole, nessun governo può accettare compromessi. Verrebbe attaccato dai radicali. Le pressioni diplomatiche ed economiche - ed anche le minacce militari - lo rafforzano sempre. Gli israeliani - che verosimilmente dispongono di ottime fonti informative - non la pensano così. Ritengono che sanzioni ben congegnate potrebbero sfruttare la fragilità del governo, inducendolo a rinunciare alla ”bomba”. Forse un compromesso potrebbe essere facilitato scambiando il nucleare con quello che più interessa l’Iran: l’influenza nel Golfo ed in Iraq. Un’egemonia non è fattibile. Gli USA non lo consentirebbero mai.
In sostanza, il problema è in primo luogo di lotta interna per il potere e per la ricchezza. L’appello al patriottismo e la finzione che l’avversario sia un traditore sono strumenti efficaci. Lo è anche l’aggressività contro i ”nemici” della patria. Ma Ahmadinejad ha commesso un errore. Ha esagerato. Le dimostrazioni ”avanguardistiche” contro le Ambasciate europee hanno indotto il Cremlino ad attenuare la sua rigida opposizione alle sanzioni. La brutalità della Polizia e delle Guardie rivoluzionarie costringe poi Obama ad essere più duro e non solo nelle sanzioni. Gli USA stanno infatti facendo affluire nella regione sistemi antimissili ed unità navali ed anfibie. E’ una mossa che potrebbe preludere ad un bombardamento degli impianti nucleari di Teheran. Washington non può lasciare che le installazioni petrolifere del Golfo ed il traffico per lo Stretto di Hormuz vengano distrutte da una rappresaglia iraniana.
Per le sanzioni, l’incognita resta la Cina. Di fronte alle azioni ”isteriche” del governo di Teheran, Pechino ha dichiarato di essere disposta a riprendere i negoziati. E’ un po’ poco. Il ”tira e molla” potrebbe continuare, dando tempo all’Iran di costruirsi la ”bomba”. La principale carta degli USA per convincere Pechino è la possibilità di un attacco israeliano. La Cina ha più da perdere degli USA. Dipende maggiormente dal petrolio del Golfo. E i cinesi sanno fare bene i conti. C’è quindi la possibilità che le sanzioni vengano approvate dall’ONU e non si crei una crisi internazionale fra le maggiori potenze. Essa sarebbe inevitabile in caso non solo di bombardamento, ma embarghi unilaterali dell’Occidente, soprattutto se accompagnati da un blocco navale dell’Iran.