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 2010  febbraio 12 Venerdì calendario

POLAROID

Quel brivido eccitante del diventare istantaneamente immagine, quella magia del veder affiorare il ritratto della fidanzata nel quadratino lattiginoso di plastica sotto la luce del sole, quell’effetto speciale che per Jean Baudrillard era addirittura «l’estasi della nostra epoca», tutto questo fra pochi mesi andrà prosaicamente battuto all’asta, come i cucchiaini d’argento di una famiglia decaduta. Uno dei più grandi patrimoni visuali del Novecento, unico perché fatto di pezzi unici, la Collezione Polaroid, finirà in buona parte disperso nelle tasche dei migliori offerenti di Sotheby’s, il 21 e 22 giugno prossimi. Sbancata due volte in dieci anni, sconquassata da infelici tentativi di resurrezione, la multinazionale regina della fotografia istantanea è stata obbligata dal tribunale fallimentare a far cassa in qualche modo per pagare i creditori.

Non c’era altro da fare che mettere mano al caveau dei tesori,e disfarsi, sperando di ricavarne da 7 a 10 milioni di dollari, di milleduecento (non tutte, per fortuna, ma certo le migliori) Polaroid d’autoDa Adams a Warhol da Franck a Close Sono soltanto alcuni dei maestri degli scatti re, e di che autori: Adams, Warhol, Rauschenberg, Franck, Hockney, Mapplethorpe, Close. «Non c’è nulla di eguale al mondo, venderle è un crimine» s’è indignato col New York Times proprio Chuck Close.

Inutilmente. Così tira il vento nella rivoluzione digitale: svuotare le cantine diventa l’ultima risorsa patrimoniale di imprese nate, cresciute ma purtroppo rimaste nell’era della carta. Almeno Magnum, la leggendaria agenzia fotografica di Capae Cartier-Bresson,è riuscita pochi mesi faa trovare un mecenate, Michael Dell dei computer Dell, che dopo aver comprato tutto l’incomparabile archivio l’ha affidato alle cure accademiche dell’università di Austin, Texas. Per le Polaroid d’artista, invece,è fallita la trattativa con l’università di Harvard, ed ora chi offre di più? la morale triste di una bella favola, il cui c’era una volta è datato 1937 e firmato da uno di quei geniali scienziati-imprenditori di cui è particolarmente ricca la storia della fotografia: Edwin H. Land, morto nel ’91, inventore delle lenti polarizzate grazie alle quali, tra l’altro, oggi vediamo Avatar in 3d.

Il suo motto: «Si può fare». Perché aspettare lo sviluppo e la stampa per guardare le foto delle vacanze? Perché non subito? Si poteva fare, e la Model 95, del 1948, fu la prima di una prolifica famiglia di macchinette spigolose e buffe, che sputavano fuori con una pernacchietta quella linguaccia di carta che però, miracolo, diventava in due minuti una foto, proprio la foto del paesaggio che era ancora lì davantia noi, sortilegio che realizzava tecnologicamente il mito classico del doppio. Bene, per farla breve, a metà dei Sessanta c’era una Polaroid in una casa americana su duee l’impresa di Boston aumentava i profitti con percentuali a due cifre ogni anno. Grazie anche al talento di Land per il marketing d’alto bordo: ogni nuovo modello veniva spedito in dono, assiemea una scorta di pellicole,a un grande autore della fotografia tradizionale, col solo impegno di riceverne in cambio qualche esperimento firmato. Alcuni, come Minor White, rimasero freddi. Altri, come Ansel Adams (sue ben 400 delle foto in vendita, alcune partiranno da 400 mila dollari), se ne entusiasmarono. E "l’altra fotografia" da curiosità diventò moda e poi arte. Oggetto tattile e complesso, sandwich chimico misterioso, gli artisti scoprirono che si lasciava manipolare oltre le intenzioni dei suoi inventori: punzecchiandone la superficie durante lo sviluppo automatico si scatenavano colori psichedelici (ne fu un mago l’italiano Nino Migliori); pelando via la pellicola protettiva, la gelatina molle poteva essere trasferita su carta e paciugata con un pennello. Veri quadri d’autore, rigonfi d’aura: a dispetto delle teorie di Benjamin le Polaroid varcavano all’indietro lo spartiacque della riproducibilità tecnica, copie uniche come i primi dagherrotipi.

La Polaroid fu vittima del suo successo.

Intravide per prima la svolta digitale ma non la imboccò, convinta che la magia della carta sarebbe durata. Nessuno intuì che quella magia non stava nell’oggetto fisico, ma nella gratificazione istantanea del rivedersi, meglio soddisfatta dai display delle nuove macchinette. L’effetto novità si trasferì sui nuovi gadget. Molti artisti già innamorati della Polaroid, per esempio Hockney, oggi si divertono con i fotofonini.

La Fuji produce ancora una macchina a sviluppo istantaneo, non si sa per quanto. Un’azienda olandese lancia l’ Impossible Project di rivitalizzare la produzione, ma il movimento Save Polaroidè un dignitoso club di nostalgici come quelli che si trastullano con calotipi e ferrotipi. inutile piangere sui media defunti.

Spiace solo che l’ultima mostra dell’arte della foto cotta-e-mangiata sia un corridoio di Sotheby’s.