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 2010  febbraio 12 Venerdì calendario

CARRIERISMO E POTERE QUELLE PIAGHE ANCORA APERTE OLTRETEVERE - «LE CINQUE

piaghe della Santa Chiesa» denunciate con scandalo nel 1848 dal libro di Antonio Rosmini, che allora fu messo all’indice, sono ancora oggi nella Chiesa «punti caldi», come garantì il cardinale Carlo Maria Martini.

Beatificato nel novembre 2007 dopo la promulgazione del decreto autorizzato da Papa Benedetto XVI sul miracolo della guarigione di suor Ludovica Noè, il beato fantasma di Rosmini sembra aleggiare un secolo e mezzo dopo nei Sacri Palazzi e le sue piaghe appaiono dolenti e infette nella Chiesa romana dove, parole del Pontefice, «ci si morde e ci si divora» tra «carrierismo e ricerca del potere». Il fascio di luce che il caso Boffo ha acceso tra le ombre che si allungano tra il Portone di Bronzo, il Palazzo Medievale, sede della Segreteria di Stato, e il Palazzo di Sisto V, residenza papale, fa risuonare quegli scarsi 44 ettari dello Stato Vaticano delle stesse parole di cui la «Questione rosminiana» si nutrì fin da 150 anni fa: la casta del clero, la «disunione» tra i vescovi, nutrita di «ambizione, servilismo verso il governo, occupazioni politiche estranee al ministero», le nomine, i privilegi.

Bisogna addentrarsi nella terza e nella quarta piaga, per tentare di decrittare quanto, al di là del caso Boffo, agita la Chiesa di Benedetto XVI, il quale nell’omelia d’inizio pontificato annunciò che si sarebbe lasciato portare «da Lui», cosicchè «sia Egli stesso a guidare la Chiesa». Ma il mite Papa antiguerriero e anticondottiero non aveva forse fatto i conti con ciò che ad ogni nuovo pontificato comportano la redistribuzione dei poteri spirituali e anche terreni, il cambio dei pur santi uomini, le ambizioni esplicite e nascoste.

Papa Karol Woityla, tutt’altro che solipsista, aveva sempre ospiti alla messa mattutina. A mezzogiorno aveva intorno al desco il segretario don Stanislao, il direttore della Sala stampa Joaquin Navarro Valls e spesso altri invitati. Il suo successore, protetto dal segretario personale Georg Genswein, di cui si dice stia crescendo il potere non sempre in armonia con la Segreteria di Stato, frequenta poco, preferisce il ruolo di omeleta e scrittore.

Credeva di poter delegare il potere del governo spirituale direttamente a «Lui» e la grande intendenza politicae fattualea Tarcisio Bertone, superbo organizzatore salesiano, che ebbe già al suo fianco quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Per questo il 21 gennaio scorso, con una lettera tutt’altro che convenzionale scritta in tedesco, aperta da un «Caro» e con un riferimento a «San» Eusebio, non «Sant’Eusebio», icona bertoniana quasi al pari di don Bosco, confermò il Segretario di Stato da lui voluto nell’incarico, nonostante il raggiunto limite di età dei 75 anni. Ad altri cardinali pesi massimi della Curia non spetta lo stesso destino e stanno per essere pensionati. Tocca a Giovan Battista Re, prefetto della Congregazione per i Vescovi dal 2000 e presidente della Commissione Pontificia per l’America Latina, residente nei Giardini del Vaticano. Chi sceglierà il Papa per sostituirlo? Tocca la pensione a Claudio Hummes, prefetto del Clero, brasiliano di origine tedesca, francescano conservatore; a Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità della Famiglia, amico e collega d’insegnamento universitario del Papa; a Franc Rodé, prefetto degli Istituti di Vita Consacrata, lazzarista, e a Raffaele Farina, salesiano di Ariano Irpino, responsabile dell’Archivio Segreto del Vaticano. Ma soprattutto, a fine anno termina il quinquennio di Ivan Dias, cardinale indiano titolare dell’Evangelizzazione dei Popoli subentrato al cardinale Crescenzo Sepe spedito a Napoli, residente nel palazzo di Propaganda Fide in cima al Gianicolo. Per la sua successione, o per altre importanti prefetture, sono in corsa il Nunzio apostolico Giuseppe Bertello e il cardinale George Pell, arcivescovo di Sidney, che chiese a Benedetto XVI di scusarsi per gli abusi sessuali dei sacerdoti. Se sarà lui, non sarà il miglior segnale per Tarcisio Bertone, reduce dai veleni del caso Boffo, perché è Pell che ha promosso un movimento nel Sacro Collegio per convincere il Papa a ridurre i poteri del Segretario di Stato. Certo, in Curia c’è la diga bertonian-salesiana presidiata, ad esempio, da Angelo Amato, cristologo, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, che prestò servizio con Ratzinger e poi con William Joseph Levada, ex Arcivescovo di San Francisco, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Anche lui figlio di don Bosco, Amato considera le cliniche abortiste «mattatoi»e l’aborto come «il terrorismo dei kamikaze».

Avrete notato che per alcuni principi della Chiesa abbiamo sottolineato il luogo di residenza nei magnifici palazzi vaticani.

Perchè da atei non illuminati dalla fede, quando ci hanno raccontato e provato che il cardinal Angelo Sodano impiegò sei mesi per lasciare l’appartamento destinato al suo successore Bertone, ci siamo convinti, peraltro con il Papa, che anche i sant’uomini amano qualche privilegio che la scalata della gerarchia comporta. Il già citato cardinal Levada, a parte ogni altro merito teologico, è forse il più invidiato dai suoi colleghi per l’appartamento che occupa in Via della Conciliazione, dalle cui vetrate sembra di poter toccare l’obelisco e la Cupola di San Pietro. Forse sistemato meglio di lui sta soltanto l’indiano Dias in cima al Gianicolo.

«Bassezze» terrene, direte, ma non proprio ininfluenti con cardinali di Curia che vanno e cardinali che vengono. In lista d’attesa c’è la nomina di nove nuovi cardinali non proprio disinteressati, non solo all’importanza del ruolo, ma anche alla qualità della residenza che verrà loro assegnata.

Certo, nessuno dubita che la partita sia più politica che residenziale per la prossima infornata, che vede partecipare tra gli altri monsignor Gianfranco Ravasi, l’Arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori e che toccherà anche New York, Londra e Bruxelles. Soprattutto perché è piuttosto chiaro che fu la politica a innescare nella rovente estate del 2009 il killeraggio di Boffo, seguito al racconto delle performance sessuali del premier, che produssero nei Sacri Palazzi due linee d’intervento divergenti. Vuoi comprensive in nome del cristiano perdono, vuoi meno disposte a lasciar correre il «libertinaggio gaio e irresponsabile, che non è un affare privato», come in luglio disse il segretario della Cei monsignor Crociata Nel culmine del post-ruinismo, con la politica interventista sulla società italiana durata per tre lustri sulla base di un grande «progetto culturale», fu quella benedetta o maledetta lettera che il cardinal Bertone scrisse al nuovo presidente della Conferenza Episcopale Angelo Bagnasco avocando a sé ogni rapporto con la politica, a segnare l’inizio del nuovo sanguinamento pubblico delle «piaghe» di rosminiana memoria. Fu Bertone stesso a volere Bagnasco alla Cei, preferendolo ad Angelo Scola, Patriarca di Venezia sponsorizzato da Ruini, forse credendo di poter contare sulla disciplina del Generale Ordinario Militare. Poi forse se ne pentì, quando il governo di 200 vescovi impose al capo dell’Episcopato di far sentire la sua voce alta e forte, persino andando dal Papa a denunciare che dalla Segreteria di Stato si ponevano intralci al suo lavoro. Ma attenti agli stereotipi. Bertone non è il camerlengo di angeli e demoni, Bagnasco non è il Che Guevara dei Sacri Palazzi e Ratzinger non è forse solo quel mite omeleta che ha delegato tutto il governo a un possibile «Dio italiano», come piaceva a Ruini, e al cardinale cultore di don Bosco e di «San» Eusebio. Per tutti urge cominciare a curare le «Cinque piaghe». (continua)