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 2010  febbraio 12 Venerdì calendario

LA TIGRE IRLANDESE NON GRAFFIA PI STROZZATA DALL’EMERGENZA LAVORO - DUBLINO

La tigre che si svegliò maiale comincia a domandarsi se la sua metamorfosi fu un evento naturale, inevitabile come un fulmine o un terremoto, oppure ebbe un colpevole: le banche, in questo caso. Dubbio destinato a diventare più tormentoso se quello strano animale, l’Irlanda, non riuscisse a sollevarsi dalla sua condizione paradossale. Fino a ieri il secondo reddito pro-capite dell’Unione europea, oggi il secondo deficit più alto dopo la Grecia. La prima economia dell’Unione ad entrare in recessione (2008), e l’ultima che ne uscirà (2011, forse). Era "la tigre celtica" quando calamitava capitali americani con agevolazioni fiscali spudorate, cresceva con percentuali asiatiche e lasciava che gli irlandesi si indebitassero con prestiti irragionevoli. Era uno dei "PIGS" ("porcelli", ma anche acronimo di Portogallo, Grecia, Spagna, i Paesi che sforano oltre l’accettabile i parametri europei sul rapporto deficit/Pil) quando il Tesoro cominciò a svenarsi, per salvare banche e pagare i sussidi ad un numero crescente di disoccupati. Oggiè il maiale con le ali, tra i quattro PIGS il prediletto dalla Commissione europea. Si è impegnata a tagliare la spesa pubblica per una quota da primato, il 15-20% entro il 2014, e ha cominciato con largo anticipo sui compagni di sventura. La comunità degli affari apprezza.

«L’amara medicina sembra funzionare, l’Irlanda esce dalla recessione», garantisce l’ Economist (30 gennaio). Dalle stalle alle stelle.

Purtroppo il decollo dell’Irlanda con le ali risulta all’ Economist ma non alle statistiche.

In gennaio la disoccupazione è diminuita di una frazione di punto, dal 12,6 al 12,5%, ma l’economia è in piena deflazione.

Intorno al centro puoi misurare l’ecatombe delle imprese dalle finestre buie di tanti uffici, dalle serrande abbassate di tanti negozi. Nelle strade, lo spettacolo di una ricchezza evaporata: raro vedere un’utilitaria, ma ancor più rara una targa successiva al 2008, l’anno in cui all’improvviso l’Irlanda si afflosciò con la rapidità di un palloncino bucato.

E tuttavia la tigre che si svegliò maiale ha motivi per non arrendersi alla sua metamorfosi. Il più solido lo contiene un parallelepipedo di marmo e di alluminio, Gordon House. E’ la sede di Google in Europa, potremmo dire il suo quartier generale ora che il gruppo ha annunciato un attacco frontale ai rivali di Facebook con tecnologie web in parte affinate a Dublino. Quando le imprese americane come Google sbarcarono in massa in Irlanda e ne fecero il loro cavallo di Troia dentro le mura dell’Unione europea, le attraeva soprattutto una politica fiscale molto comprensiva (e un prelievo del 10%, oggi il 12, contro il 35 degli Stati Uniti). Ma presto gli stranieri scoprirono un secondo vantaggio strategico: una forza-lavoro non solo anglofona, ma giovane e tra le più istruite dell’Occidente. Allora misero radici. Questo oggi autorizza le speranze irlandesi. Chi ha investito in Irlanda, soprattutto gli statunitensi (circa la metà delle imprese estere), non si accoderà a quei capitali, famelici di sgravi fiscali e manodopera a basso costo, che stanno traslocando in massa dall’Europa atlantica all’Europa orientale e sudorientale. Presto l’economia irlandese tornerà a ruggire.

Non più ruggiti di tigre: ma neppure grugniti.

Però l’economista che ci consegna questa prognosi fausta, l’italiano Valerio Potì, docente alla City university di Dublino, la condiziona alla persistenza di uno scenario internazionale - tassi bassi, dollaro debole - che potrebbe mutare. Un ulteriore indebolimento dell’economia renderebbe ancor più lenta e dolorosa l’uscita dalla recessione. E sfarinerebbe definitivamente protezioni sociali che hanno pochi eguali nel mondo. La gran parte dei 370mila disoccupati riceve in sussidi l’equivalente del 60% del salario minimo. La somma del sussidio per ogni figlio (150 euro al mese) e del sussidio di disoccupazione (220 euroa settimana per 18 mesi, rinnovabile) equivale al salario di milioni di italiani. Considerando che in centro ristoranti come Pasta Fresca offrono il "pranzo da crisi finanziaria" (credit crunch lunch, un primo più una bibita) al prezzo di 10 euro, si capisce perché i licenziati non finiscano automaticamente sotto la soglia della povertà, lì dove oggi sarebbe un 40% della popolazione senza i trasferimenti sociali, calcola l’European AntiPoverty network.

Ma la disponibilità dei contribuenti a finanziare lo stato sociale presto potrebbe diminuire. Segnali premonitori: scarse proteste quando molti extracomunitari senza lavoro sono stati sbrigativamente deportati nei Paesi di origine;e ora il sindaco di Limerick propone, però inascoltato, la deportazione anche per i cittadini comunitari che gravano sulle casse del suo municipio.

Questa non è tanto la tendenza pavloviana delle società impoverite, dare addosso agli stranieri. Quanto piuttosto l’annuncio di un’Europa cui oggi mancano le risorse, la disponibilità psicologica e soprattutto le idee per maneggiare un problema che da tempo pensava di aver quasi risolto: una massiccia disoccupazione. L’Irlanda ha l’impressione di tornare indietro di vent’anni, quando il 18% popolazione non aveva lavoro. «Ci occorse un decennio per rimediare», ricorda David Murphy, capo del settore economia della tv di Stato. Messaggero di un passato che non passa e fardello sulla schiena di due milioni di occupati impoveriti dalla crisi, il disoccupato irrita, perfino insospettisce: ci sono imprese che non assumono un disoccupato per principio. Sarà il capro espiatorio della crisi? Da alcuni mesi l’ira dei contribuenti sta prendendo anche un’altra direzione, diremmo opposta. Da quando gli irlandesi hanno realizzato di aver finanziato salvataggi di banche per un importo complessivo pari ad un anno di gettito fiscale, hanno cominciato a farsi alcune domande. D’un tratto si sono resi conto che la crisi irlandese non era un sottoprodotto della bolla dei subprimes americani. «Quella l’ha solo peggiorata», dice Murphy. «Ma la crisi sarebbe scoppiata comunque, perché è autogenerata». Prestando soldi a interessi minimi e senza reali garanzie, negli anni del boom le banche hanno ingozzato gli irlandesi di mutui e di debiti come oche da fois gras. Quando è scoppiata la crisi e il prezzo delle case è precipitato, migliaia di debitori si sono scoperti insolventi. Il governoè corso in aiuto delle banche, dove qualcuno, profittando del trambusto, avrebbe involato un certo tesoretto. Ma questa furto con destrezza è l’aspetto meno rilevante. La commissione d’inchiesta nominata senza entusiasmo dal governo potrebbe invece allargare il dibattito appena cominciato in Olanda e in Gran Bretagna, riassumibile con la domanda: possono banche e banchieri farla franca anche stavolta? No, risponde la deputata laburista Joan Burton, proponente di quella commissione.

La incontro in parlamento durante il dibattito sul bilancio, in aula ha appena accusato il governo di aver inventato una "bad bank" solo per aiutare «i suoi amici nelle banche e nelle costruzioni». Ex operatrice finanziaria, moglie di un matematico, ha realizzato in privato, ride, quel matrimonio tra matematica e finanza che ha introdotto nel mercato dei capitali l’illusione fatale: l’eliminazione del rischio. Come si corre i ripari? «Un tempo negli Usa si vendeva solo il gelato alla vaniglia. Io credo nel vanillabanking», cioè in un sistema bancario che torni verso la semplicità delle origini. A questo scopo servono procedure standard, codici universali, garanzie che il management finanziario sia equilibrato e competente. E molta, molta trasparenza. Provi il lettore a immaginare che rivoluzione accadrebbe in Italia se tutto questo diventasse il credo di talune banche.