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 2010  febbraio 12 Venerdì calendario

L’UOMO? FA QUELLO CHE MANGIA

Se avete sempre creduto che il solo protagonista della Rivoluzione industriale sia stato il carbone, che permetteva il movimento delle macchine a vapore, preparatevi a cambiare idea. Zucchero e patate hanno contribuito all’avvio dell’era moderna almeno quanto il combustibile fossile, poiché hanno permesso una dieta sufficientemente calorica e al tempo stesso economica per nutrire gli operai. Parola di Tom Standage, firma dell’Economist nonché autore di un volume uscito la scorsa primavera negli Stati Uniti ( An Edible History of Humanity) e nelle prossime settimane in libreria in Italia per le edizioni Codice.
Standage non è nuovo ad analisi della storia e della società basate sullo studio dell’alimentazione: suo è infatti anche un fortunato volume uscito qualche anno fa,
Una storia del mondo in sei bicchieri.
Ma il lavoro che affronta questa volta è diverso: lui stesso ammette che non intende spiegare la storia dell’umanità attraverso il cibo, ma solo dimostrare l’importanza che questo - e soprattutto i sistemi per la sua produzione - ha avuto nello sviluppo della civiltà.
Si parte ovviamente con la più grande delle trasformazioni, ovvero l’introduzione dell’agricoltura, che ha consentito il passaggio dalla civiltà nomade dei cacciatori-raccoglitori, a quella stanziale degli agricoltori. Un passaggio che, dice provocatoriamente Standage, oggi non sarebbe possibile. Nel breve periodo, infatti, questa novità fu tutt’altro che vantaggiosa per l’umanità:non solo il lavoro dei contadini era molto più duro di quello dei cacciatori-raccoglitori, ma richiedeva inoltre più tempo e garantiva meno varietà di alimenti, tanto che- inizialmente - la durata media della vita nelle popolazioni stanziali era più bassa rispetto a quella dei loro antenati nomadi. E poi, volete mettere, la vita raminga e vagabonda dei cacciatori era certo più divertente e interessante di quella delle popolazioni stanziali.
Eppure è stata proprio l’introduzione dell’agricoltura a mettere in moto il progresso scientifico e tecnologico che ha permesso lo sviluppo dell’umanità e che continua tutt’oggi.Standage non sostiene che questo sia necessariamente un bene, ma è un dato di fatto che ha permesso la nascita e la crescita delle prime grandi società, a partire da quelle egiziana e assiro-babilonese. Per contro, nota l’autore, ha dato il via anche a una serie d’ineguaglianze e a una stratificazione sociale prima impensabili e tutt’oggi esistenti.
Ma il cibo ha giocato un ruolo cruciale anche nello sviluppo delle relazioni tra popolazioni lontane e diverse, spingendo a intrecciare scambi commerciali, religiosi e culturali. Fu la necessità, da parte degli europei, di assicurarsi il controllo del commercio delle spezie che spinse gli spagnoli ad attraversare l’Oceano, i portoghesi a circumnavigare l’Africa e ad aprire la strada alla conquista dell’Asia e dell’Oceania, causando anche conflitti, guerre e distruzioni d’intere popolazioni. Oggi la questione cibo si gioca soprattutto sul fronte delle tecnologie: osserva Standage che negli ultimi anni il dibattito sull’alimentazione ha visto contrapposti in modo netto i sostenitori degli Ogm e i difensori di un’alimentazione più naturale e di coltivazioni locali.
La verità, sostiene Standage, sta come sempre nel mezzo: la priorità dei governi è attualmente garantire quantità sufficienti di cibo in tutte le parti della Terra, proprio nel momento in cui stiamo per raggiungere il picco demografico dell’umanità (atteso per il 2075, con 9,2 miliardi di persone) e in cui i cambiamenti climatici hanno ripercussioni sempre più gravi sull’agricoltura, specie nei paesi poveri. Per farlo, sarà necessario introdurre e intensificare in alcuni paesi l’uso di coltivazioni geneticamente modificate, e in altri luoghi preferire invece sistemi biologici. Anche se, ricorda Standage, pure le carote o il grano sono frutto della mano dell’uomo e non un dono spontaneo della natura.