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 2010  febbraio 11 Giovedì calendario

I MURAZZI E IL TUFFO NEL PO. TORINO RICORDA IL SOLDATI EROE

Non starà male, una lapide nel luogo dello sballo, delle sbronze, della musica sino all’alba. Una lapide per ricordare che proprio lì, ai Murazzi, ora diventati l’epicentro delle notti torinesi, il 17 marzo 1922 un ragazzo di sedici anni si tuffò nel Po gelato per salvare un suo coetaneo.
Non starà male anche perché il salvatore era destinato a un avvenire importante: si chiamava Mario Soldati, sarebbe divenuto uno scrittore e un regista molto amato, oltre che storico collaboratore di questo giornale. Il salvato era Lello Richelmy, nipote dell’arcivescovo di Torino, fratello del poeta Tino Richelmy.
Sarà opportuna anche perché il punto in cui il giovane Soldati salvò una vita è lo stesso in cui, molti anni dopo, la follia di alcuni suoi concittadini ne avrebbe spenta un’altra. Il 18 luglio 1997 Abdellah Doumi, un marocchino di 26 anni, cadde nell’acqua del Po durante una rissa. Ma le decine di giovani che erano sulla riva non si tuffarono per salvarlo. Lo bersagliarono con bottiglie, oggetti, cassette di legno. Quando vide che stava risalendo, qualcuno gli gettò addosso pure un’aspirapolvere, raccolta in un magazzino abbandonato. Un linciaggio. Abdellah Doumi annegò.
La lapide non starà male anche perché è legata a una storia da ricordare. Per il suo gesto, che fu raccontato dalla Domenica del Corriere del 2 aprile 1922, Mario Soldati fu insignito di una medaglia d’argento al valor civile. Il diploma, firmato da Paolino Taddei, ministro degli Interni del governo Facta, è datato 28 ottobre 1922: il giorno della marcia su Roma. Quell’atto fu in pratica l’ultimo dell’Italia liberale; ancora poco tempo, e il diploma sarebbe stato firmato dal nuovo presidente del Consiglio, che aveva trattenuto ad interim anche gli Interni, Benito Mussolini.
Abdellah Doumi non era un santo, ma un piccolo spacciatore, uno dei tanti che alimentano le notti dei Murazzi. Le circostanze della sua morte furono atroci al punto che la città ne rimase ferita. Eppure i magistrati torinesi faticarono parecchio a ricostruire i fatti. Tra false dichiarazioni e reticenze, riuscirono a individuare quattro responsabili: Andrea De
Martis, Piero Iavarone, Fabio Montrucchio e Diego Trevisan furono condannati in primo grado a 22 anni per omicidio volontario.
Mario Soldati fu sempre legatissimo a quel ricordo di adolescenza. Nella sua vita avrebbe avuto molte altre onorificenze, premi letterari, lauree honoris causa, e pure la Gran Croce al merito della Repubblica italiana e la Legion d’Onore francese. Ma l’unico riconoscimento esposto nella casa di Tellaro, dove riceveva gli amici, era la medaglia avuta per quel salvataggio nel Po. Sulla scrivania accanto teneva la statuina di un carabiniere che, spiegava, gli ricordava «il senso del dovere». Quando compì ottant’anni, nel 1986, l’allora responsabile della terza pagina Giulio Nascimbeni ritrovò
la notizia della Domenica del Corriere, e ripubblicò la foto di Soldati sedicenne, vestito alla marinara, intento a sfogliare un libro. Soldati telefonò commosso per ringraziare: «Il 17 è sempre stato il mio numero fortunato – disse ”. Sono nato il 17 novembre 1906, mi sono laureato il 17 novembre 1927, ho salvato il mio amico il 17 marzo 1922». Le tre date di una vita.
In appello, il processo fu rivisto. Non tutti i giovani, fu osservato, volevano davvero la morte del marocchino. Quella notte l’acqua del Po era alta, e pure di questo andava tenuto conto. Non si seppe mai chi aveva tirato l’aspirapolvere. A De Martis fu inflitta la pena più grave, 14 anni, perché fu udito gridare: «Andate a prendere qualcosa nel magazzino». Iavarone, Montrucchio e Trevisan ebbero nove anni. Tutti uscirono subito dal carcere. La comunità marocchina protestò. L’avvocato difensore, Giampaolo Zancan, candidato di sinistra a sindaco, commentò: «Fu un gesto inconsulto, non un episodio di razzismo».
La lapide è stata proposta da Pierfranco Quaglieni, direttore di quel Centro Pannunzio che Soldati presiedette per vent’anni. Il sindaco Chiamparino si è dichiarato subito d’accordo. Ora la conferenza dei capigruppo in consiglio comunale ha detto sì. Resta da approvare il testo della lapide. E non sarebbe male che, accanto al salvataggio di Lello Richelmy, fosse ricordata pure la morte di Abdellah Doumi. Perché anche Torino, città fondativa – il Risorgimento, la grande industria, le virtù civili ”, ha il suo lato oscuro, frivolo, criminale. E perché, non soltanto qui, l’eroismo è condannato a convivere con il nichilismo.
Aldo Cazzullo