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 2010  febbraio 11 Giovedì calendario

AIUTO, CI STANNO PRIVATIZZANDO LE PAROLE

Un amico mi telefona per chiedermi un aiuto. Vuole trovare un nome per una sua intrapresa e quindi registrarlo come dominio nel web. Purtroppo tutti i nomi che ha escogitato sono già presi. Cerchiamo insieme una serie di nomi di battesimo. Tutti occupati. Anche le località sono già registrate. Comincio a formulare una serie di nomi di romanzi italiani. Mi vengono in mente una ventina di titoli. Ma non vanno bene. Gli unici che sarebbero validi sono già occupati. Allora prendo dallo scaffale Le città invisibili di Calvino e comincio a sciorinare all’amico i nomi possibili. Fatti salvi quelli propri di donna - che sono diversi - e i nomi cacofonici o di difficile pronuncia, gli altri nomi dati dallo scrittore alle sue città immaginarie, fluttuanti nella fantasia, sono già stati registrati. Passiamo alle cifre, quelle dell’anno in cui siamo, poi cominciamo a sbizzarrirci con variazioni sul genere: non troviamo nomi o cifre espresse in lettere che non siano stati già accaparrati da qualcuno. Così accade per altri nomi, più o meno famosi. Ma naturalmente questo è più facile, dato che c’è chi, da qualche anno si dedica a questa attività di accaparramento delle parole.
L’amico mi spiega che è un fenomeno noto, si chiama in inglese cybersquatting o anche domain grabbing, oppure domain squatting. C’è pure la voce in Wikipedia: fenomeno di accaparramento di nomi di dominio, corrispondenti a marchi altrui o a personaggi famosi, al fine di rivendere poi questo possesso. Appena il web ha allargato le sue ali, subito c’è stato chi si è messo a registrare nomi, cominciando da quelli dei marchi più celebri e diffusi; così negli Stati Uniti nel 1999 hanno promulgato una legge, l’Anticybersquatting Consumer Protection Act; in Italia non c’è una legge specifica, ma vale la normativa del Codice civile, articolo 7, per cui se si impossessano del tuo cognome, o del tuo nome commerciale, e ne fanno un uso indebito, si può chiedere la cessazione di questo utilizzo rivolgendosi al giudice; la stessa cosa vale per un logo o per i segni distintivi.
Subito batto il mio cognome sul computer, e verifico se qualcuno se ne è impadronito: www.belpoliti.it o .com o .org. Non c’è nessun sito con questo nome, solo un www.belpolitik.com dedicato a una non troppo chiara «politica haitiana». In questa ricerca ho trovato sul web la notizia, forse non infondata, che il dominio business.com sarebbe stato rivenduto da un cybersquatter a 7,5 milioni di dollari negli Stati Uniti. D’accordo, mi sembra logico che la legge ci difenda, che impedisca l’utilizzo del mio patronimico, che io sia una persona nota oppure no. Ma quando, come ho potuto constatare con il mio amico, sono stati registrati i nomi di luoghi, oggetti, cose, piante, animali, alberi ecc., che cosa si può fare? Per analogia: è qualcosa di simile alla privatizzazione dell’acqua, di un bene comune. Le parole diventano marchi, passano dallo stato comunicativo tra i parlanti, dove sono moneta corrente di scambio, a essere moneta commerciale che appartiene a qualcuno invece che a tutti. Possibile? Non solo possibile, ma certo.
L’amico con cui ci consultiamo alla ricerca del nome - oramai è diventato un gioco - mi fa osservare che il computer, Internet, il web ci hanno introdotto alla «facilità della quantità». Non c’è più limite: basta avere un computer, un collegamento Internet e un po’ di soldi e si possono registrare le parole come proprie. Certo, si tratta di una registrazione in cui la parola trapassa in qualcosa d’altro in virtù di quel «prefisso»: www. Tuttavia la parola, quello che indica, diventa un «dominio», qualcosa di privato. Era naturale che questo accadesse, mi dice l’amico, che cita Marx e lo sviluppo del capitalismo: il web è il nuovo mercato dove ogni parola o nome proprio diventa uno spazio da comprare. La fabbrica immateriale dei «domini» in cui lo spazio virtuale sostituisce lo spazio vero del capannone, dell’officina, della fabbrica.
La lotta per il possesso dello spazio è uno dei grandi temi contemporanei. Se la diffusione dell’orologio e del cronometro ha segnato l’unificazione del tempo della produzione (l’introduzione dell’orario ferroviario in Gran Bretagna ha segnato l’unificazione delle ore locali in unica ora), e poi la conquista dello spazio terrestre tra colonialismo e imperialismo ha significato l’estensione del dominio della lotta all’intero pianeta, ora la conquista delle parole e la loro iscrizione nel dominio della proprietà privata indica un nuovo passaggio. Il virtuale è il nuovo mercato mondiale. Così le parole anglosassoni sono già state conquistate da tempo, e quelle del lessico della lingua italiana - un dialetto nel sistema-mondo - lo sono ogni giorno di più.
Dal regno della qualità al regno della quantità? Il capitalismo ha liberato le forze incatenate del progresso e ha sbaragliato ogni altro sistema economico. Ora tocca al web, così, giorno dopo giorno, decadono le parole della nostra piccola lingua, prendono il volo e diventano un dominio nel mondo virtuale. Marx ci aveva avvisato: tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria. Da correggere in: tutto ciò che è aria si consolida nel web. Anche le parole non sono più quelle di un tempo.
Marco Belpoliti