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 2010  febbraio 11 Giovedì calendario

TESTORI INNAMORATO DI ALAIN DELON- Pubblichiamo alcuni estratti dal libro Testori 8 e 43 (pp. 64, euro 10,5) in uscita oggi per Archinto

TESTORI INNAMORATO DI ALAIN DELON- Pubblichiamo alcuni estratti dal libro Testori 8 e 43 (pp. 64, euro 10,5) in uscita oggi per Archinto. L’autore è Ambrogio Borsani, ideatore della rivista libraria ”Wuz” e scrittore, racconta nel testo la sua amicizia con Giovanni Testori, nata prendendo lo stesso treno delle Ferrovie Nord milanesi alle 8.43 ogni mattina, e rivela alcuni episodi biografici dell’autore lombardo. Era un bellissimo mattino di primavera del 1977. (...) Lo scompartimento di prima classe dell’8 e 43 era vuoto, e quando il treno fermò alla stazione di Novate Milanese io stavo leggendo un libro di Robert Walser. Salì Giovanni Testori. I sedili della carrozza erano liberi, tuttavia lui sedette di fronte a me. Interpretai il gesto come un evidente segnale di disponibilità e di incoraggiamento. Così mi decisi a balbettare la frase a lungo masticata in tutta la sua sconvolgente, patetica ingenuità: «Mi scusi... lei è Giovanni Testori?». Incominciò così una frequentazione quotidiana che andò avanti fino al momento in cui io tradii le Ferrovie Nord per una solidità stanziale nel cuore di Milano, e un’amicizia che durò fino alla sua morte. (...) Giulio Einaudi Quando scendevo dal treno con Testori, i nostri discorsi continuavano senza più spettatori nella torrefazione all’uscita di sinistra della stazione Cadorna. (...) Su quel percorso, un mattino di gennaio notammo, accostata al marciapiede, un’imponente macchina blu targata Torino. Era coperta di brina, aveva il motore acceso e al volante l’autista aspettava qualcuno leggendo il giornale dietro i vetri appannati. «Guarda, si vede che si è fermato qui a dormire, stanotte» disse Testori. «Chi?» « la macchina di Giulio Einaudi». Mi raccontò che in quel palazzo abitava una nota signora del mondo milanese di cui l’editore si era innamorato. Altre volte trovammo l’auto ferma allo stesso punto col motore acceso. Qualche settimana dopo vedemmo la nebbia diradarsi all’improvviso e sul marciapiede spuntò lui, il Re Sole. Monarca dei territori editoriali italiani, signore delle pagine stampate. Testori lo salutò con molta cordialità, era stato l’editore del suo primo romanzo. Me lo presentò e io, che avevo letto mirabilie sul personaggio, gli strinsi la mano con evidente emozione. Einaudi mi lanciò un’occhiata severa. Per un attimo mi sembrò di vederlo col dito puntato in segno di accusa: «Si vede dalla faccia che lei ha il libro nel cassetto e me lo vuole rifilare!». (...) Io mi preparavo a negare la verità con tutte le mie forze: «Non ho mai scritto una riga in vita mia!». Ero pronto a giurare il falso. Invece lui non disse nulla e non fui costretto a mentire. Il Re Sole si congedò con un saluto che era quasi una benedizione. Lo si vide risplendere ancora per pochi passi, poi la nebbia inghiottì la sua aura luminosa con una lingua di vapori brinati. (...) Ricordo con particolare intensità un mattino di fine novembre. (...) Testori si girò verso di me, disse che su quelle carrozze unav olta era riuscito ad appartarsi con Alain Delon. Lo guardai con un certo smarrimento. Durante le riprese di Rocco e i suoi fratelli, mi spiegò, seguiva la troupe. Alcune scene erano state girate nei dintorni della Bovisa. Lui si era invaghito di Alain Delon, che però in quel periodo era legato a Luchino Visconti. Ma durante una ripresa in cui Delon non era coinvolto, Testori riuscì a trascinare l’attore che tutte le donne e molti uomini del mondo amavano, sulle carrozze parcheggiate alla Bovisa. «Quando tornammo sul set» disse Testori, «Visconti era livido, fece una scenata a tutti e due. Si era accorto della nostra scomparsa perché sospettava qualcosa e ci teneva d’occhio». Le storie d’amore occupavano una grossa parte dei suoi racconti ferroviari. C’erano vicende avventurose di corteggiamenti, come la passione per un corridore ciclista che gli aveva anche ispirato il suo primo romanzo, Il dio di Roserio. Questa vicenda amorosa aveva portato Testori a comprarsi la bicicletta da corsa, i pantaloncini elastici e la maglietta sportiva per seguire il suo campione nelle faticose giornate degli allenamenti. (...) (...) Le amarezze per un inadeguato riconoscimento della sua opera, se le portava dentro con grande dignità. L’ostilità di Calvino ad accogliere Il dio di Roserio nei ”Gettoni”, sbloccata poi da un intervento di Roberto Longhi, o l’invasione dei Remainders con i suoi libri da parte della Feltrinelli, erano episodi di cui parlava raramente e oramai con distacco. C’era ancora una vicenda non completamente rimarginata. Quando erano usciti I trionfi, Carlo Bo gli aveva manifestato la sua ammirazione, comunicandogli di aver scritto una recensione entusiastica per il Corriere della Sera, dove diceva che era uno dei più bei libri di poesia del dopoguerra. Allora al Corriere c’era Eugenio Montale che si occupava della cultura. Le settimane passavano e la recensione non compariva. Recensione negata Dopo mesi Carlo Bo disse a Testori che prima aveva avuto varie rassicurazioni dal giornale sulla pubblicazione dell’articolo, ma alla fine gli avevano detto che la recensione era andata persa. Oramai era passato troppo tempo ed era diventata inattuale. Allora ci aveva pensato l’amatissimo Alain a gridare allo scandalo. Raccontò Testori, con una certa soddisfazione, che una sera, nel foyer della Scala, durante l’intervallo di un’opera, Alain si era rivolto a un gruppetto di persone radunate attorno a Montale e aveva espresso al poeta, di fronte a tutti, la sua indignazione: «Ceci n’est pas de la poesie, c’est de la merde». (...) Qualche tempo dopo fui testimone di un episodio sgradevole. Testori mi aveva invitato a pranzo al Ciovassino. Avevamo appena iniziato, quando nella sala entrò Livio Garzanti accompagnato da una giovane signora milanese. Andarono a collocarsi a un tavolo alle nostre spalle. Poco dopo la signora, che era amica di Testori, voltandosi si accorse della sua presenza. Venne al nostro tavolo a salutarlo.«Sono qui con Livio Garzanti», disse. «Naturalmente vi conoscete». «No», disse Testori «non abbiamo avuto occasione». Ero sconcertato. Era passato ormai da un anno alla sua casa editrice e ancora non si conoscevano. La Garzanti aveva già pubblicato l’edizione tascabile del Ponte della Ghisolfa, non ancora le novità. «Oh, ma allora venga che glielo presento» disse la signora. Testori andò al tavolo di Garzanti, che si alzò con aria padronale. «Ah Testori, ho saputo che da noi c’è gente che punta molto su di lei». Ero allibito, sembrava stesse parlando a un ragazzino della provincia che era riuscito a farsi accettare il primo manoscritto. Testori incassò da gran signore fingendo di non aver colto la pesantezza della frase. «Eh, puntano su un cavallo stanco», disse con grande eleganza. «No, no, c’è gente che crede molto in lei, da noi, davvero», insistette Garzanti. Testori tornò al tavolo, riprendemmo la conversazione. Vidi nel suo sguardo l’ombra dell’umiliazione, ma non ritenne opportuno commentare il fatto, io evitai di esprimere la mia indignazione per non dar peso alla scena. Ma qualche anno dopo, mi disse che passava da Garzanti a Longanesi. «Come mai?», gli chiesi. «Per vari motivi, uno dei quali forse te lo ricordi... Sei stato testimone anche tu».