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 2010  febbraio 11 Giovedì calendario

INTERVISTA A NERI MARCORE’


Il talento di Neri Marcorè è quello di avere molti talenti. Lui li sfrutta con prudenza, li alterna con intelligenza e sembra aspettare che si compongano in un’unica arte che li comprenda tutti. Senza fretta, con un andamento quasi flemmatico, è intanto uno straordinario imitatore (il suo Gasparri resta una vetta insuperata del genere), un ottimo attore (come si è visto in due film di Pupi Avati e nel ’Papa Luciani’ della fiction Rai), un presentatore garbato (da dieci anni conduce ’Per un pugno di libri’ su RaiTre), un cantante provetto (tanto da cimentarsi nella riproposta di uno spettacolo di Giorgio Gaber), un doppiatore di qualità e forse, tra non molto, anche un regista e un romanziere. A Marcorè piace insomma non farsi trovare là dove ci si aspetta che sia. Per questo colloquio si è fatto scovare in un piccolo albergo di Livorno, dopo lo spettacolo ’Attenti a quei due’ dove canta, recita e balla insieme a Luca Barbarossa.

Come riesce a fare tutto, Marcorè? Dov’è la chiave di questo eccesso di eclettismo?

"Nel fare le cose con divertimento, non con dolore e fatica".

Un po’ poco per il successo che gliene deriva.

"Quella è la base. Poi ci vuole un po’ di fortuna, molta volontà di arrivare e la capacità di riconoscere ciò che ti appartiene senza sentirti fissato a un genere. Se mi dicono: ’Sei un presentatore, un comico, un attore’, io sbuco da un’altra parte e faccio il cantante".

Questo è il punto: perché?

"Per sfuggire alle definizioni, per non avere un voto in pagella e forse anche per non conoscere una popolarità eccessiva che mi spaventerebbe. Tra un programma che dura un anno in seconda serata e un sabato sera con dieci milioni di spettatori, sceglierei il primo. La mia ambizione non è essere il numero uno, voglio essere uno dei numeri che seguono".

Difficile non metterla in cima agli imitatori. Il suo Gasparri è un cult.

" la macchietta più riuscita, ormai perfino sganciata dal suo riferimento reale. A questo punto è un mio personaggio, a cui posso far fare tutto, dall’opinionista al politico. All’inizio fu decisivo il labbro. Me lo feci incollare ripiegato sul mento e mi presentai alla Dandini dicendo: ’Mbeh... che volemo fa?’. Funzionò subito".

Il vero Gasparri si è mai risentito?

"L’ho incontrato una volta sola a una cena di gala. Abbiamo incrociato gli sguardi, ci siamo alzati all’unisono e siamo stati per un po’ fermi in piedi come nella sfida di un western. Mancava solo la musica di Morricone. Mentre ci avvicinavamo lentamente ho pensato che poteva accadere tutto. Poi a un metro di distanza mi ha detto: ’Aoh, te devo fa’ i complimenti, a casa mia s’ammazzano dal ride’ quando me fai l’imitazione!’".

 andata sempre così bene con tutti?

"Nessuno si lamenta. Un piccolo equivoco con Ligabue si è risolto presto. Casini è felice, Fassino pure, Capezzone un po’ meno ora che non ne faccio più il radicale pensoso ma il ’Capezon servo del padron’".

Eppure lei uccide con una sola espressione. Come mai non è finito negli editti contro i comici?

"Forse perché non do la precedenza al veleno politico e non attacco mai i difetti fisici. Troppo facile far ridere dicendo che Brunetta è basso. Chi fa questo mestiere deve individuare qualcosa a cui il pubblico non ha pensato, non inveire su ciò che tutti vedono. Io cerco di indicare una perversione che magari non esiste, ma calza".

Insomma non fa politica.

"Nei contenuti la faccio, eccome. Ma il vestito della satira deve essere definito, altrimenti si fanno proclami da tribuno che finiscono per tradirla. Ormai tutto si confonde. Anche i politici fanno i comici, cercano di essere seri ma spiritosi, ficcanti ma divertenti... Quanto rimpiango Prodi, che forse stava fermo come un semaforo, come dice Guzzanti, però era uno statista che non concedeva niente allo spettacolo".

Ora sta scivolando nella militanza. noto che lei è stato eletto nella prima assemblea del Partito democratico.

"Sì, ma non ci sono mai andato. Mi chiesero di candidarmi nella lista di Veltroni e mi sono esposto chiarendo che il mio impegno finiva lì. E poi non sono un militante, tanto è vero che poco dopo, alle provinciali di Ascoli Piceno, viste in giro un po’ di porcherie del Pd, ho appoggiato pubblicamente il presidente uscente, una persona seria che veniva da Rifondazione. Naturalmente ha perso".

Fa spesso riferimento alla sua terra. per questo attaccamento che non riesce a darsi un tono metropolitano?

"La ritengo una fortuna. Io sono di Porto Sant’Elpidio, una cittadina di mare di 20 mila abitanti. Nascere in provincia e vederne tutti i limiti mentre cresci, ti dà lo stimolo per cercare altro. Nello stesso tempo, una madre che cuce le tomaie delle scarpe in casa, un padre che ha il laboratorio da falegname nel retro, due nonni in casa e due a pochi passi, ti danno il senso del rifugio sicuro. una sicurezza che resta per sempre. Anche per questo oggi ci porto spesso i mie tre bambini".

Come ha fatto a staccarsene?

"La prima spinta me l’ha data mia madre. Mi vedeva timido e imbranato e mi ha sollecitato a partecipare a un concorso di una radio libera. Ho vinto e a 12 anni ho cominciato a fare serate nei dintorni. Più tardi, mentre studiavo per fare l’interprete parlamentare, ho scritto alla ’Corrida’ e ho vinto. Più tardi ancora mi sono presentato a una selezione per ’Stasera mi butto’ di Gigi Sabani".

E naturalmente ha vinto anche lì.

"Sì, ma lì ho scoperto anche un mondo. Seicento imitatori che aspettano il provino, si dividono in gruppetti, quelli di Totò, quelli di Fabrizi, e si misurano l’un l’altro. Io decido per la quantità e faccio sei imitazioni in un minuto. Vengo preso e comincia un strada che mi porterà dalla Carrà e poi dalla Dandini e al ’Pippo Kennedy Show’".

Si è mai chiesto da dove le viene la sua capacità imitativa?

"Penso che alla base ci sia qualche problema di relazione. Non si inizia per caso a fare le voci altrui. un modo per camuffarsi ed entrare nelle simpatie degli altri senza rischiare".

Ha una spiegazione psicologica anche per i suoi risultati come attore? Al primo film da protagonista ha rischiato la Palma d’oro.

"E ho preso almeno il Nastro d’argento. Mi ero impegnato con umiltà per quel ruolo drammatico ne ’Il cuore altrove’ di Pupi Avati. Il trucco sta nel non confondere i mezzi e nel rispettare i diversi tipi di pubblico. Anche in televisione, con i liceali del quiz ’Per un pugno di libri’, mi guardo bene dal proporre i miei sketch e mi ispiro alla sobrietà che fu di Corrado Mantoni".

Ora sta per tornare in teatro con ’Un certo signor G.’ di Gaber, l’uomo di spettacolo che per primo ha cantato la disillusione politica. Lo ha scelto per questo?

"Sarebbe stato un buon motivo, ma l’idea non è mia, l’ho solo accettata con entusiasmo. I testi sono attualissimi. Gaber riesce a raccontare l’uomo di oggi sia perché parla un linguaggio universale, sia perché questo paese non si è affatto evoluto".

Però Gaber cantava "Io non mi sento italiano" e lei tiene lezioni sulla Costituzione.

"Ma lui aggiungeva anche: ’Per fortuna e purtroppo lo sono’. Io amo questo Paese e quando la Fondazione della Camera mi ha chiamato per un documentario che ripercorre la storia della Costituzione, sono corso a farlo. Secondo me la Carta va trattata come le tavole di Mosè: principi generali che possono essere declinati ma non deformati".

Ci sono idee come queste nel romanzo che tiene nel cassetto?

"Niente romanzo, per ora solo racconti. Ma della scrittura ho tanto rispetto che per ora non oso la pubblicazione. Prima meglio un film. Magari una specie di ’Ricomincio da tre’ di Marcorè".