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 2010  gennaio 15 Venerdì calendario

La sua ascesa sembrava irresistibile. E invece il Giappone è da tempo sulla via del declino. Che rischia di essere definitivo

La sua ascesa sembrava irresistibile. E invece il Giappone è da tempo sulla via del declino. Che rischia di essere definitivo. Ecco perché.  di ieri un raid della polizia negli uffici del leader democratico giapponese Ichiro Ozawa, per sequestrare documenti compromettenti sui finanziamenti elettorali. Pochi giorni prima il partito di governo aveva subìto un altro smacco con le improvvise dimissioni del ministro delle Finanze Hirohisa Fuji, il meno inesperto fra i membri dell´esecutivo. già un pallido ricordo l´entusiasmo dello scorso autunno, quando la vittoria elettorale dei democratici era stata salutata come un evento storico: la prima vera alternanza dal dopoguerra doveva aprire una nuova èra, rivoluzionare un ceto politico sclerotizzato. Ora sembra tutto un sogno. Anche i democratici, da pochi mesi al potere, recitano il vecchio teatrino della politica nipponica, tra scandali e lotte di fazione. In Occidente, il Giappone sembra fare notizia solo per delle storie di declino. La Japan Airlines è sull´orlo della bancarotta. Solo l´acquisto da parte di una compagnia aerea americana (forse la Delta) può salvare quella che decenni fa fu il simbolo di una superpotenza: sui Boeing 747 Jumbo-cargo della Jal attraversavano il Pacifico i pezzi più pregiati dell´elettronica made in Japan, alla conquista del mercato americano. Perfino della Toyota, numero uno mondiale dell´auto, si parla ormai solo in negativo da quando il suo presidente Akio Toyoda ha detto che l´azienda «sta lottando per la sopravvivenza». La Toyota era stata molto più di una semplice casa automobilistica: era un modello universale di industria avanzata, la leader del post-fordismo, l´azienda studiata ed emulata per la flessibilità e la qualità totale. Oggi al salone dell´auto di Detroit gli americani sono molto più attenti alle notizie che arrivano dalla Cina: il primato mondiale del mercato della Repubblica Popolare (che ha superato gli Usa per vendite di vetture), o l´annuncio che un´impresa della Repubblica Popolare lancerà sul mercato la prima auto tutta-elettrica negli Stati Uniti entro la fine di quest´anno. Anche nelle cronache dei "sorpassi" simbolici, Tokyo è messa totalmente nell´ombra da Pechino. I giornali occidentali hanno dato evidenza al declassamento della Germania, che per la prima volta ha perso la leadership mondiale dell´export a vantaggio della Cina. Nessuno ha ricordato che fino a un decennio fa la vera candidata al primato era l´industria del Sol Levante. Il declino del Giappone non è accaduto all´improvviso, e tuttavia resta un fenomeno straordinario, impressionante nella sua severità. Esattamente trent´anni fa arrivava nelle nostre librerie il best-seller Japan Number One di Ezra Vogel, un saggio che descriveva il Giappone all´apogeo della sua ascesa, lanciato alla conquista del mondo. Fu un successo internazionale, e soprattutto negli Stati Uniti. La leadership americana allora sembrava condannata, proprio per la superiore competitività di Tokyo. Vogel divenne il guru più studiato dai manager americani, ansiosi d´imparare le ricette che stavano portando i loro concorrenti asiatici alla conquista del mondo. Le cronache quotidiane narravano di un´avanzata inesorabile, con episodi esemplari come l´acquisto da parte di capitali nipponici del Rockefeller Center di New York e della Columbia Pictures a Hollywood. Le due fasi dell´ascesa e del declino sono state altrettanto strepitose. Nel 1950, in mezzo alla ricostruzione post-bellica e agli albori del suo miracolo economico, il reddito pro capite dei giapponesi era appena un quinto rispetto a quello degli americani. Nel 1991, al termine della trionfale cavalcata dell´export made in Japan, il reddito del giapponese medio era salito fino all´85% di quello americano. L´aggancio sembrava vicinissimo. Ma da quel momento in poi, Tokyo non ha fatto altro che regredire. Oggi il reddito medio dei giapponesi è ridisceso al 72% rispetto agli Stati Uniti. In quanto al Prodotto interno lordo, è la Cina che avanza a grandi passi verso il primato globale sfidando la leadership americana. L´unico terreno sul quale il Giappone è il Number One incontrastato, per riprendere il titolo di Ezra Vogel, è il debito pubblico. Perfino l´Italia, la Grecia, e tutti i "Pigs" mediterranei, sembrano casi più curabili se confrontati al dissesto del bilancio statale di Tokyo. Il debito pubblico lordo giapponese nel 2009 ha toccato la fatidica soglia del 200% del Pil e quest´anno sfiorerà il 230%. Non è più vera neppure la vecchia massima rassicurante, secondo cui quel debito non avrebbe mai destabilizzato il paese grazie agli elevati risparmi delle famiglie. Sol Calante, oggi è anche la descrizione di una nazione industrializzata che ha sperimentato per prima e nelle forme più estreme lo choc dell´invecchiamento demografico. Compreso il declino dei risparmi in una popolazione troppo anziana. Unica fra le società avanzate, quella nipponica è già arrivata alla terza decade di denatalità. Sarà anche a causa di questa senescenza, se Tokyo ha reagito peggio di ogni altra potenza industriale all´ultima recessione? Nel periodo più cupo della crisi 2007-2009, il suo Pil ha registrato una caduta dell´8,6%, più grave rispetto a Europa e Stati Uniti. Ormai il Sol Calante sembra attirare l´interesse occidentale solo come "caso clinico". Un mostro da laboratorio. Un concentrato di tutti gli errori da non imitare in casa nostra. «Che cosa possiamo imparare dal decennio perduto del Giappone», è un saggio dell´economista del Financial Times Martin Wolf. "Evitare una decade giapponese", è il titolo di un editoriale del New York Times. Che invita l´Amministrazione Obama a studiare bene gli sbagli che perpetuarono a Tokyo il ciclo della deflazione. Questo è un tema caro anche al Premio Nobel dell´Economia Paul Krugman. Lui alla sindrome depressiva del Sol Calante dedicò anni di studi. Che gli tornano utili oggi, per indicare al governo di Washington che non è ancora il momento giusto per togliere all´economia americana la "flebo" della spesa pubblica. Fu proprio quello uno degli errori che precipitarono il crepuscolo di Tokyo. Quando scoppiò la bolla speculativa nipponica nel 1989 - azioni e immobili crollarono paurosamente - il successivo piano statale di rilancio della crescita non venne sostenuto abbastanza a lungo, col risultato di continue e dolorose ricadute nella recessione. L´altro errore, anche questo da non imitare oggi in Occidente, fu il trattamento troppo blando riservato alle banche di Tokyo, nei cui bilanci giacquero a lungo montagne di titoli tossici. Ma davvero il Giappone è ormai solo un modello in negativo? In realtà il paese conserva delle qualità ammirevoli. L´ambiente è un capitolo esemplare. Nel risparmio energetico e nella riduzione dell´inquinamento è tuttora il primo della classe mondiale. Avrebbe molto da insegnare ai due massimi colpevoli del cambiamento climatico, Cina e Stati Uniti. Il guaio è che la sindrome giapponese del declino si riflette anche in una perniciosa perdita di autostima. Al vertice di Copenaghen, qualcuno ricorda di aver sentito i dirigenti giapponesi dare lezioni a Obama e Hu Jintao? Naturalmente no. Dall´arroganza conquistatrice di trent´anni fa, la classe dirigente nipponica è passata all´estremo opposto: l´incapacità di difendere i propri meriti, un profilo così basso da risultare invisibile. E quindi irrilevante. L´America da questa vicenda trae invece una inconfessabile speranza. Chi negli Stati Uniti ha un ricordo ancora vivido dell´epoca trionfale del Sol Levante, chi conserva in uno scaffale della biblioteca il best-seller di Vogel e altri manuali di guru del management che inneggiavano all´inevitabile supremazia di Tokyo, conclude che bisogna diffidare delle profezie. E spera che un destino analogo, dall´apogeo alla crisi, sia in agguato anche nei confronti dello sfidante asiatico di oggi: la Cina. Dietro il crescente allarme degli esperti americani verso la "bolla cinese" - gli strabilianti exploit della Borsa di Shanghai o del mattone a Pechino - c´è anche un desiderio segreto. Di vedersi ripetere a Oriente un improvviso colpo di scena.