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 1992  maggio 19 Martedì calendario

In quindici quadernetti di diverso formato - alcuni scompaginati, altri elegantemente profilati di seta, altri ancora rivestiti di carta marmorizzata -, in quindici scartafacci annotati con grafia ordinata e invadente fino a occupare i margini della pagina, è consegnato il diario intimo di Camillo Benso conte di Cavour

In quindici quadernetti di diverso formato - alcuni scompaginati, altri elegantemente profilati di seta, altri ancora rivestiti di carta marmorizzata -, in quindici scartafacci annotati con grafia ordinata e invadente fino a occupare i margini della pagina, è consegnato il diario intimo di Camillo Benso conte di Cavour. Una lunga confessione, in lingua francese, che parte dall’ agosto del 1833 - Camillo ha ventitré anni e una fama di pericoloso liberale - per chiudersi il 16 aprile del 1856, lui già ministro, presidente del Consiglio, protagonista della diplomazia internazionale al Congresso di Parigi. La pubblica ora, per la prima volta in edizione integrale - dopo la parziale versione ottocentesca di Domenico Berti, tradotta in italiano nel 1941 da Luigi Salvatorelli - l’ Ufficio centrale per i beni archivistici del ministero Beni culturali: ottocento pagine, a cura di Alfonso Bogge, dense di riflessioni sentimentali e civili, conti di gioco e indirizzi del bel mondo, investimenti in borsa e dotte bibliografie (Camillo Cavour, Diari: 1833-1856, pagg. 808). Sbaglierebbe, tuttavia, chi cercasse in questi diari i segreti, i dietro le quinte, le rivelazioni dello statista che tesseva le fila della politica mondiale. Lo Zibaldone di Cavour, particolarmente nutrito negli anni dell’ educazione sentimentale, restituisce la fatica di vivere d’ un giovane inquieto e ombroso, incline a umori saturnini, terribilmente complicato, impulsivo negli accessi di passione, affascinato dalle diavolerie del gioco. Un ritratto a chiaroscuro che rovescia l’ immagine oleografica e un po’ stucchevole dell’ impenetrabile uomo d’ acciaio, razionale e perfettamente controllato. Un Camillo Benso, per semplificare, che ancora non si nasconde dietro i suoi minuscoli occhialetti di metallo, mostrando al contrario uno sguardo languido e sconfortato. "Sono tornato a casa più disgustato e annoiato che mai", scrive il 19 ottobre del 1833, "non avendo per consolarmi che i ricordi di un passato senza interessi e un avvenire senza scopo, senza speranze, direi quasi senza desideri... Che sarà di me a trent’ anni? Piuttosto che figlio di famiglia, come ora, preferirei mille volte non essere più a questo mondo". Un Cavour sorprendentemente somigliante a Leopardi? "Non esageriamo", minimizza Giuseppe Talamo, ordinario di Storia del Risorgimento all’ Università di Roma La Sapienza, autore di saggi significativi su Camillo Benso, membro della commissione nazionale per la pubblicazione dei carteggi (presenterà oggi i Diari cavourriani al Museo del Risorgimento di Torino). "Un lettore frettoloso potrebbe attribuire al giovane Cavour una natura radicalmente pessimista e, comunque, tutta incline all’ introspezione. In realtà, quei turbamenti derivavano dal sentimento di estraneità verso un mondo modellato su principi che egli non poteva condividere. Era l’ aristocrazia piemontese retriva e bigotta, nella quale non vedeva spazi per sé e per la propria intelligenza. Non dimentichiamoci che già a quattordici anni, lui cadetto del marchese Michele Cavour, aveva mostrato tutta la sua allergia all’ ambiente di corte accogliendo come una sentenza patibolare la sua nomina a paggio di Carlo Alberto, principe di Carignano. Detestava con tutto il cuore quella ’ livrea da gambero’ . Ma è straordinario come, anche nei momenti di maggiore scoramento, finisse per prevalere quell’ alta coscienza di sé, rimarcata dal suo biografo Rosario Romeo, quella segreta vitalità che gli consentiva recuperi assai rapidi". Una potente vitalità che lo trascina a Ginevra, Londra, Parigi, dove incontra il meglio della cultura europea, discute di Benjamin Constant o di Tocqueville (nel 1835 era apparso a Parigi De la democratie en Amerique), può sfoggiare le sue letture anche di Machiavelli, Montesquieu, Bentham, Chateaubriand. Fino alla fine dei Quaranta, quando le sue energie potranno finalmente incanalarsi nell’ attività politica, con la direzione de Il Risorgimento e l’ ingresso in Parlamento. "Sono gli anni in cui Camillo abbandona il colloquio con se stesso per dedicarsi interamente al colloquio con gli altri", spiega Talamo. "Segno, anche questo, di una natura sostanzialmente votata all’ estroversione, costretta fino a quel momento dalle circostanze a un’ investigazione interiore. Non è un caso che le testimonianze migliori sulle sue vicende politiche, sui suoi progetti e le sue delusioni, sulle sue iniziative diplomatiche andranno cercate soprattutto nelle Lettere. Da allora, nel Diario, troveremo soltanto notizie telegrafiche, appunti rapidi, lunghe serie di indirizzi di persone da visitare, inviti a pranzo o a cena. Faccio un paio di esempi: 3 novembre 1853, Cavour riceve dal re l’ incarico di formare il nuovo ministero dopo la caduta di quello presieduto dall’ Azeglio; il diario reca soltanto: ’ Visita al Duca di Genova e alle Regine’ , cioè a Maria Adelaide, moglie di Vittorio II, e a Maria Teresa sua madre. Lo stesso Congresso di Parigi è liquidato con un sobrio: ’ Discussion sur l’ Italie’ . E subito dopo la notizia del successo parigino della grande attrice Adelaide Ristori nella Medea di Legouvé". E’ dunque nel Diario dei primi dieci anni che possiamo trovare i segreti del giovane Camillo, angustiato dalla passione per il gioco - a Parigi le sue perdite ammonteranno a 40 mila franchi - e invischiato in un rapporto con la bella Anna Schiaffino, di tre anni più grande, educazione e modi raffinati, padronanza di tre lingue, versata nel canto, nella musica, nel disegno. E a complicare le cose, coniugata al marchese Giustiniani. Cavour l’ ammira molto, ma non la ricambia con pari intensità, pur standole oppresso. Racconta nel 1834 sul Diario: "Abbandonando cinquanta faccende che avevo da terminare (ndr, a Grinzane, dove curava una tenuta agricola della famiglia), sfidando l’ ardore insopportabile del sole, mi misi in cammino all’ una pomeridiana. Cambiato il cavallo a Bra, senza fermarmi mai, arrivai a Torino alle 8 passate. Corro a casa mia, mi cambio di vestito e, senza perdere un istante, volo all’ albergo dove alloggiava. Mi dicono che era uscita per andare all’ Opera; corro immediatamente, mi precipito in platea, passo in rassegna i palchetti, e nel sesto a sinistra della prima fila scorgo una signora in gran lutto, che portava sul più dolce dei volti le tracce di lunghe e crudeli sofferenze: era lei". Ne è coinvolto, insomma, apprezza le sue capacità d’ amare, ma si sente inadeguato ai sentimenti di lei. "Le donne sanno amare più degli uomini", scrive il 16 gennaio del 1837. La marchesa Giustiniani ha già tentato il suicidio una volta, sempre per amor suo; ci riuscirà al terzo tentativo. E nel Diario, d’ ora in poi, sarà la "povera Nina". - SIMONETTA FIORI