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 2009  dicembre 14 Lunedì calendario

TV, CHI CONQUISTA IL TESORO DELLE FREQUENZE

Anche negli Usa le frequenze liberate dal passaggio al digitale della tv non si libereranno prima del 2012, ma l’anno scorso le hanno già messe all’asta ricavandone 19 miliardi di dollari, soprattutto da operatori di tlc come Verizon e At&t. In Europa, dalla Gran Bretagna, alla Francia, alla Germania e alla Spagna, si stanno organizzando per seguirne l’esempio. All’Italia quei soldi non interessano e si è già deciso che le frequenze del dividendo digitale verranno assegnate a "beauty contest": non se ne caverà che una manciata di euro. E non si sa nemmeno quando. «Il Regno Unito ha deciso di allocare due terzi delle frequenze legate al passaggio dall’analogico al digitale a servizi radiotelevisivi. Il restante terzo, un blocco comunque assai sostanzioso di 112 MHz, sarà messo all’asta senza vincoli sulle tecnologie o sugli utilizzi: gara quindi aperta anche agli operatori mobili e a quelli fissi di banda larga. In Francia uno studio commissionato dal governo stima a 25 miliardi di euro il beneficio di non limitare l’allocazione ai soli servizi televisivi. Anche Il governo tedesco ha annunciato che parte del dividendo digitale sarà utilizzato per offrire servizi wireless a banda larga»: a parlare così è Tommaso Villetti: docente di Economia a Tor Vergata e all’Imperial College di Londra. Ma soprattutto uno dei tre saggi accademici ufficiali a cui ricorre la Ofcom, l’Autorità britannica delle tlc. E in Italia? «In Italia, al contrario afferma Villetti affidiamo nel modo peggiore una risorsa scarsa senza generare né efficienza né incassi per lo Stato». Proviamo a spiegare perché.
Il passaggio alla tv digitale sta in effetti liberando frequenze anche da noi. Tanto che il governo si è impegnato con l’Ue ad assegnarne 5 a nuovi operatori. Ma non si sa quali saranno, e non si sa quando questa assegnazione si farà. In compenso quello che si sa è che di soldi ne porterà pochi o niente. Intanto il 2012 si avvicina. Per quella data tutto il sistema tv italiano sarà digitalizzato. E soprattutto a quella data scade la promessa del viceministro per le Comunicazioni Paolo Romani di garantire almeno 2 mega di banda a tutti gli italiani. Solo 24 mesi per coprire il divario digitale che penalizza il 15% degli italiani e una vasta parte dei 4 milioni di imprese collegando in fibra ottica un migliaio di centrali Telecom oggi connesse solo in rame. I soldi pubblici, i famosi 800 milioni, ancora non ricompaiono. E la banda larga mobile potrebbe a questo punto essere l’ultimo treno da non perdere.
Lo stato dell’arte è quanto mai confuso. Lo scorso aprile l’AgCom ha pubblicato una delibera per stabilire che lo switch off avrebbe liberato ben 5 frequenze. Per farlo ha tolto, rispetto alle decisioni precedenti, una frequenza ciascuno a Rai, Mediaset e Telecom Italia (Rai e Mediaset scendono da 5 a 4, Telecom Italia da 4 a 3, e Bernabè ha su questo fatto ricorso al Tar impugnando il fatto di aver subito un taglio pari a quello dei due incumbent pur avendo una quota di mercato tv infinitamente più piccola). Nella stessa delibera ha già stabilito che l’assegnazione di questo dividendo digitale avverrà con una asta competitiva ma con un beauty contest, i cui criteri sono però ancora da definire. Con questa prima decisione, inviata subito a Bruxelles, Roma è riuscita a ”congelare’ la procedura di infrazione che pende sull’Italia grazie alla legge Gasparri. Delle 5 frequenze, alle prime 3 potranno concorrere solo operatori nuovi entranti. Le ultime due sono invece aperte a tutti e potranno concorrere anche Rai e Mediaset.
Mancano ora i criteri della gara. L’AgCom ha preparato un documento tuttora in consultazione pubblica. Secondo questo documento l’assegnazione dovrà tener conto anche ma non solo, anzi non soprattutto, dell’offerta economica: l’eventuale rilancio rispetto al valore base (ancora da stabilire) sarà apprezzato, ma conteranno di più criteri come «la diffusione di contenuti di buona qualità».
Su chi vince un’asta non si possono fare polemiche: i numeri, anzi gli euro, parlano chiaro. Come possano invece essere valutati i contenuti di buona qualità introduce in un campo di completa arbitrarietà. E chi potrà partecipare alla gara se soggetti di peso internazionale sembrano in varo modo esclusi? Sky perché fino a fine 2011 non può controllare infrastrutture diverse dal satellite. Società delle reti come i francesi di Rtf o l’americana Crown Castle perché la loro offerta ovviamente non prevede i contenuti. «Non è un meccanismo partecipato e trasparente commenta Nicola D’Angelo, uno dei commissari AgCom che ha votato contro la delibera Non c’è chiarezza sufficiente su quali soggetti possano alla fine partecipare. Non si accenna all’assegnazione dei cosiddetti ”white space’, frequenze che fanno parte dello spettro in questione ma che non sono utilizzabili per la tv mentre potrebbero essere utilmente assegnate alle società telefoniche. E soprattutto non si fa menzione del Dvbh».
Già la tv sui telefonini. Attualmente esistono tre frequenze assegnate al Dvbh: una è della Rai, una di Mediaset e una di H3g. La delibera AgCom decide che, in nome del pluralismo, ne andrà assegnata una quarta. Peccato che delle tre frequenze oggi ufficialmente attive ne funzioni davvero solo una: quella di H3g. Quelle di Rai sono vuote. Quelle di Mediaset sono ufficialmente affittate a Tim e Vodafone ma sono mesi che le due telecom mobili hanno smesso di comunicare l’esistenza di servizi in Dvbh. Non si vede perciò la necessità di assegnarne una quarta. E non si vede perché queste frequenze Dvbh, in tutto e per tutto uguale alle altre, non facciano parte del computo. A questo punto va aggiornata l’assegnazione delle reti: Rai e Mediaset hanno di fatto 5 frequenze ciascuna e non 4.
Ma i punti critici non sono finiti. L’AgCom è indietro nella definizione del piano frequenze. Il piano di riordino elaborato dall’ex direttore generale della Fondazione Bordoni Antonio Sassano è stato chiuso in un cassetto e lì è rimasto. Lo switch off si sarebbe dovuto fare assegnando prima le frequenze agli operatori e poi procedendo al passaggio al digitale. E invece prima si procede e alla fine si arriverà alla ratifica dello stato di fatto. Risultato: se si va in giro a chiedere quali sono le frequenze liberate nelle regioni in cui lo switch off è già avvenuto (Sardegna, Val d’Aosta, Trentino, parte del Piemonte, quasi tutto il Lazio e in questi giorni tutta la Campania) non si hanno risposte certe. Semplicemente non si sa. Per accontentare le private si danno frequenze in base alle esigenze. E questo non è certo un modo per dare una soluzione al caos. Con eccessi paradossali. Uno dei migliori risultati del processo di switch off è stato, sulla carta, il passaggio del sistema italiano alla ”monofrequenza’: l’assegnazione a ogni singolo operatore di una singola frequenza. Il principio è rispettato per tutti tranne che per la Rai che, per esempio, nel Lazio si è fatta assegnare ben 8 frequenze: una per ciascuno dei suoi ultimi tre Multiplex, ma ben 5 per il Multiplex 1, quello che trasporto Rai, 2, 3 e 4. La ragione? La Rai non ha investito abbastanza sulla sua rete principale (era la frequenza su cui passava Rai1 analogica), che è rimasta come era, con una tecnologia e una architettura vecchie. Vecchie al punto che o si faceva così o sarebbe sparita dai teleschermi di mezza regione.
E non è ancora tutto. C’è il fatto che 25 milioni di case italiane hanno oggi un’antenna che riceve senza problemi le bande IV e V, ossia i canali dal 21 al 69. Sono invece molto poche le zone in cui le antenne ricevono anche la banda III (canali 511) e la banda I (canali A). Aggiornare le antenne costa poco: a chi avesse chiamato un antennista per regolare la ricezione aggiungere il ”ferro’ per le due bande mancanti sarebbe costato una decina di euro. Ma nessuno lo sapeva. Risultato: quei canali sono assegnabili solo a emittenti locali nelle e solo nelle zone in cui venivano già utilizzati. Infine, resta il problema che nel 2015 i canali da 61 a 69 dovranno essere liberati perché l’Ue li assegna in esclusiva alle tlc. E tutte le emittenti che li utilizzano oggi (quasi tutte locali) dovranno spostarsi di nuovo.