Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  dicembre 14 Lunedì calendario

PIECH, IL NIPOTE DI PORSCHE CHE VUOL PORTARE LA VOLKSWAGEN PIU’ IN ALTO DELLA TOYOTA

Il suo grande sogno è sempre stato, e sempre resterà, quello di non essere secondo a nessuno. Non allo zio Ferry Porsche, né al padre di lui Ferdinand, fondatore del mitico marchio sportivo tedesco, in famiglia. E meno che mai secondo a chicchessia nel mondo dell’auto: salito al vertice, poi fattosi solo in apparenza da parte, alla Volkswagen, sopravvissuto a scandali, critiche, insuccessi e clamorosi fiaschi, oggi è lui l’uomo forte del primo costruttore europeo nel comparto delle quattro ruote. E appunto, la sua ambizione da "mister Volkswagen" è quella di guidare un gruppo che diventi numero uno mondiale in assoluto. Crisi economica e finanziaria o no, globalizzazione o meno. Il suo grande sogno, insomma, è guidare in ogni senso la Volkswagen per portarla a sorpassare per sempre, in modo consolidato, non solo General Motors in preda ai suoi gravi problemi, ma anche il primo della classe incontrastato fino a ieri: il colosso giapponese Toyota Motor Company.
In questi sogni, ambizioni e disegni strategici in cui nulla manca fuorché misura o modestia, c’è tutta l’anima, la personalità e la storia di Herr Professor Doktor Ferdinand Karl Piech, il gentiluomo di natali austriaci che guida il gigante tedesco dell’automotive e che è stato l’eminenza grigia, l’ispiratore e il regista delle due ultime grandi svolte di Volkswagen. Cioè prima la vittoria nella lunga guerra con Porsche su chi avrebbe acquisito l’altro, con Volkswagen che si è alla fine impossessata del marchio sportivo. Poi, nei giorni scorsi, l’evento ancor più clamoroso: lo sbarco in forze in Giappone. Con l’acquisto, per 1,6 miliardi di euro, di ben il 19,9% del pacchetto della Suzuki.
"Vivere a tutto gas, puntando sempre in alto: questo è il mio sogno". Così ha detto Piech di se stesso, riassumendo il suo stile e la sua vita. A molti sembra condannato a essere e restare un workaholic, un tossicodipendente dal lavoro e dal successo, fino ai suoi ultimi giorni. Più volte ha rinviato il suo vecchio progetto confessato in dichiarazioni e interviste, di lasciare infine la guida di un gruppo Volkswagen rafforzato e reso imbattibile, e di passare a un’esistenza di riposo, cominciando da pensionato d’oro con un lungo, lussuoso giro del mondo in barca a vela. Ogni volta, qualcosa l’ha trattenuto. L’istinto primordiale, che lo porta sempre a voler vincere e imporre le sue visioni, convinto che sono le migliori. La vita, eppure, Ferdinand Karl Piech ha saputo anche godersela. Non a caso ha dodici (o secondo alcune fonti tredici) figli, nati da quattro sue unioni.
Il piano che egli sta imponendo step by step è ambiziosissimo, ma lineare: Volkswagen deve reagire alla crisi avanzando sempre, espandendosi, guai a credere che si possa vincere con il "reculer pour mieux sauter", cioè con un passo indietro per poi saltare meglio. Nella strategia dell’espansione aziendale come nei giochi di potere, Ferdinand Karl Piech non concepisce compromessi, ma solo il gusto della vittoria o il temuto sapore amaro della sconfitta e della ritirata.
Viene da lontano, l’uomo che molti ritengono essere oggi forse il più potente e influente manager tedesco, l’esponente del Gotha dei poteri forti economici del made in Germany con i migliori contatti, nel mondo politico nazionale come oltre confine. Nato il 17 aprile 1937 a Vienna da Louise Porsche, figlia del fondatore del casato Ferdinand, e dell’avvocato viennese Anton Piech, si decise presto a studiare al meglio per armarsi per una carriera nell’azienda dinasticafamiliare fino ai vertici. Studiò e si laureò alla ETH, la prestigiosa università tecnicoscientifica svizzera a Zurigo, con una tesi, guarda caso, sullo sviluppo dei motori di Formula Uno. Poi alla Audi fece i suoi primi passi, trasformando quel vecchio marchio, che produceva (siamo ai primi anni Sessanta) auto robuste e solide ma dal look molto demodé, da vetture per pensionati o medici di campagna in un produttore all’avanguardia della tecnologia. Piech è già da allora un maniaco ossessionato della perfezione tecnologica: è lui a inventare la trazione totale "Quattro" e il motore diesel TDI, due brevetti che sono stati tra le armi segrete più importanti del successo di Audi.
Il passo decisivo, lo ha compiuto però il primo gennaio 1993, salendo al vertice di Volkswagen. Erano anni difficili, una grave recessione aveva colpito la Germania. Lui s’inventò con i sindacati l’accordo salvalavoro: lavorare (e guadagnare) meno per lavorare tutti, settimana lavorativa di trenta ore con tagli proporzionali in busta paga per evitare il taglio di 30 mila esuberi. Ma quelli furono anche gli anni di un patto col diavolo che gli costò caro. Piech sottrasse alla Opel il responsabile degli acquisti Ignacio Lopez. Manager basco rivelatosi poi senza scrupoli: portò con sé decine di dipendenti e progetti segreti di Opel. Alla fine Volkswagen fu condannata per spionaggio industriale a pagare 100 milioni di dollari di risarcimento a General Motors e ad impegnarsi ad acquistare indotto da GM per 1 miliardo di dollari, E non fu tutto. Con la sua ossessione per i risparmi nell’acquisto dell’indotto Lopez portò a un grave deterioramento della qualità delle auto Vw.
Ma Piech è come la Fenice, riesce sempre a risorgere dalle ceneri. Guidò fin da allora una strategia d’espansione. Così Vw rilevò non solo Seat e Skoda, ma anche marchi di lusso, da Rolls Royce (di cui però poi le restò solo Bentley, dopo una sconfitta con Bmw cui alla fine andò il marchio della silver lady), Bugatti, Lamborghini. Fece di Vw il numero uno in Cina. E con i suoi uomini portò Audi al livello di un marchio premium capace di sfidare Bmw, Mercedes e Lexus.
I suoi uomini sono quelli che non lo sfidano. Chi lo sfida paga sempre. Da FranzJosef Kortuem, capo di Audi destituito nel 1993 dopo appena 13 mesi, al suo successore FranzJosef Paefgen: nel 2001 bastò una frase sussurrata da Piech (in un’intervista alla Frankfurter Allgemeine) contro "la stagnazione alla Audi" per costargli il posto. Fino a Bernd Pischetsrieder, l’ex ceo di Bmw, che Piech aveva inizialmente scelto come successore alla guida di Vw. Divergenze sulla strategia dei modelli e di potere bastarono a spingere Piech a mobilitare dietro le quinte il potente consiglio di sorveglianza e i sindacati contro Pischetsrieder, e a farlo cadere, nel dicembre 2006.
Gli ultimi ad assaggiare la potenza fredda e spietata del samurai austriaco sono stati i cugini e altri parenti del casato Porsche: Wolfgang e gli altri eredi di Ferry. E Wendelin Wiedeking, ceo di Porsche, protagonista nei Novanta e all’inizio di questo secolo del rilancio della "Ferrari tedesca". Porsche aveva una cassa di guerra straricca, Wiedeking e i rivali di Piech nel casato avevano cominciato a carezzare concretamente l’idea di rilevare Volkswagen. E’ stata una guerra senza esclusione di colpi, in cui Piech ha saputo avere la meglio mobilitando ogni stratagemma, ogni mossa da scacchista, ogni blitz a sorpresa, ogni conoscenza nel mondo politico. Non solo nella Spd, in cui il suo grande amico e fan era stato Gerhard Schroeder durante il suo cancellierato, ma anche la CduCsu di Angela Merkel, dove è con Piech il giovane popolare Christian Wulff, governatore della Bassa Sassonia. Cioè dello Stato dove sorge Wolfsburg, la casa madre. Anche i sindacati sono stati compatti col "dottor Ferdinand", che quasi idolatrano. Poi sono emersi scandali di insider trading che hanno travolto Wiedeking. Alla fine, insomma, il resto del casato si è arreso con dignità, in nome della pace in famiglia e del successo del gruppo. Adesso, grande azionista di Porsche Automobil Holding (di cui Vw ha il controllo), e presidente del consiglio di sorveglianza di Volkswagen, ricchissimo, Ferdinand Karl Piech è all’apice della sua potenza. Con lo sbarco in Giappone, può dire come un imperatore d’altri tempi che sul suo regno non tramonta mai il sole. Con Suzuki, ha in mano le chiavi per sfondare in India, Cina, e negli altri mercati di domani.