Sergio Romano, Corriere della Sera, 14/12/2009, 14 dicembre 2009
LE SCELTE DIFFICILI DEL ’43 E ’44 TRADIRE PER SOPRAVVIVERE
Non ho ancora capito perché lei consideri l’8 settembre anche un tradimento nei confronti dei tedeschi – ed effettivamente fu anche questo – e ritenga invece «un piccolo capolavoro diplomatico» il tradimento degli Alleati con l’invio di Prunas da Vyshinskij per offrire all’Urss una presenza stabile in Italia. Poiché con il secondo tradimento Togliatti e compagni ottennero il rientro in Italia, i comunisti furono i più determinati nella lotta ai tedeschi e li fecero anche saltare in aria in via Rasella.
Crede lei che ai tedeschi, traditi l’8 settembre, sia piaciuto saltare in aria in via Rasella per il «piccolo capolavoro» che rilanciò un Paese sconfitto?
Non è una questione ideologica, ma di pura logica.
O si decide che il «nostro interesse» viene prima di tutto e allora ce ne infischiamo di tutti e non ha alcuna giustificazione logica parlare di tradimento per l’8 settembre.
Oppure decidiamo che è abbastanza logico essere considerati inaffidabili, troppo furbi, superficiali, frivoli.
Oltretutto, non siamo una grande potenza, a cui tutto è permesso, ma un vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro.
Donatella Casali , Firenze
Cara Signora,
Nelle relazioni internazionali esistono due piani distinti ma inevitabilmente destinati a intrecciarsi: quello dei rapporti fra gli Stati e quello, più vario e meno facilmente definibile, dei rapporti fra gli uomini. Vi sono circostanze in cui gli Stati possono trovarsi nella necessità di fare scelte da cui dipende in ultima analisi la loro sopravvivenza. Nel 1943 l’Italia dovette decidere se continuare a combattere accanto ai tedeschi o rompere il patto stretto con l’alleato e cercare d’ingraziarsi il nemico. Imboccò, come sappiamo, la seconda strada e fece bene; ma con una tattica pasticciata e maldestra che rischiò di pregiudicare gli esiti dell’operazione e lasciò allo sbaraglio parecchie centinaia di migliaia di militari. Nel 1944 l’Italia dovette decidere se accettare supinamente la sua condizione di Paese interamente soggetto al controllo degli anglo-americani o conquistare una maggiore indipendenza stabilendo rapporti con un Paese (l’Unione Sovietica) che gli Alleati occidentali volevano tenere fuori del Mediterraneo. Imboccò la seconda strada e pagò un prezzo: il ritorno di Togliatti in Italia. Ma sino a quando sarebbe stato possibile, per un governo che si proclamava antifascista, impedire ai leader comunisti di tornare in patria?
Nei rapporti fra gli uomini, invece, esistono, accanto agli interessi, altri elementi che potremmo definire genericamente culturali: giudizi e pregiudizi, memorie personali e collettive, miti e stereotipi, spesso residui di antiche divergenze politiche e religiose. Lo Stato che agisce spregiudicatamente per tutelare i propri interessi (in questo caso l’Italia) non può impedire che la sua politica provochi rabbia e rancore in coloro che ne soffrono le conseguenze. Non può impedire che questi sentimenti si sommino ad altri che hanno radici più lontane. E non può impedire infine che questo groviglio di giudizi e pregiudizi riemerga alla superficie ogniqualvolta deve assumere altri impegni internazionali. Non sarebbe realista, insomma, pensare che i rapporti fra gli Stati siano governati soltanto dalla realpolitik e che i diplomatici siano automi programmati per agire meccanicamente in difesa di un astratto interesse nazionale.