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 2009  dicembre 13 Domenica calendario

Morì sussurrando «l’Italia è fatta». Ma andandosene nell’aldilà temeva che non fosse esattamente così

Morì sussurrando «l’Italia è fatta». Ma andandosene nell’aldilà temeva che non fosse esattamente così. Cavour, equidistante dall’impazienza guerrigliera di Garibaldi e dai furori repubblicani di Mazzini, sapeva che il lavoretto era ancora lungo e complicato. Con la sua intelligenza diplomatica, con la sua cautela riformista, con le sue idee avanti di un secolo, con la sua abilità nell’utilizzare le contesse-escort dell’epoca per trovare alleanze, fece molto per costruire la patria. Per inciso, ebbe probabilmente anche il merito di «inventare» il Barolo, invecchiando come si deve l’uva nebbiolo. Ora l’Italia, la «sua» Italia avrebbe due ottime occasioni per celebrarlo. Il 10 agosto 2010, bicentenario della nascita, e il 6 giugno 2011, 150° anniversario della morte. Ma come ha denunciato ieri Massimo Gramellini su «La Stampa», il Paese attuale è pigro, distratto, per non dire di peggio. Una furia come Garibaldi, piace ancora. La saggia pinguedine piemontese di Cavour pare invece démodé. E il suo pensiero autenticamente liberale non stuzzica né la destra né la sinistra, né tantomeno la Lega, lievemente prevenuta verso l’unità di Padania e Meridione. «Cavour è dimenticato dallo stato», dice Nerio Nesi, presidente dell’Associazione amici di Cavour e vicepresidente delegato della Fondazione eponima, che hanno sede a Torino. «E’ una rimozione in atto da tempo, e lo dimostra il fatto che vie e piazze a lui dedicate sono molte meno di quelle che ha Garibaldi. Garibaldi è più facile, più popolare. Litigavo sempre con Craxi su questo. Ma il vero padre della patria è Cavour. E quasi tutti se lo sono dimenticati». Non l’hanno dimenticato né la Fondazione né gli Amici che da anni, facendo i salti mortali, ne tengono viva la memoria. Organizzano un premio (tra gli ultimi vincitori Ciampi e Veronesi), convegni pubblicazioni. E soprattutto cercano di rattoppare il patrimonio immobiliare che comprende la villa, il parco, le carte a Santena (il 6 giugno presenteranno il restauro della tomba). Il tutto con una cifra risibile ricevuta dallo Stato: 4 mila euro l’anno. Altri soldi cavourofili arrivano da industriali privati, da Intesa-San Paolo. Comune e Regione sono «orgogliosi» dell’antico padre patrio e fanno molto per le infrastrutture, ma riescono a dare pochissimo per la gestione ordinaria. C’è da pagare, per esempio, il custode, la luce, i giardinieri che potano gli alberi, i muratori che aggiustano un muro. Risultato: la Fondazione ha accumulato in 15 anni un debito che sfiora i 6-700 mila euro. E così, oltre al «conte che non torna» - come ha scritto Gramellini -, non tornano nemmeno i conti. Forse non si presenterà un idraulico creditore a chiedere il pignoramento d’una quercia o d’un quadro. «Ma la situazione è davvero triste - continua Nesi -. E’ così da anni. Con un aggravamento negli ultimi tempi. Questo governo ha delle colpe in più nell’oblio. Credo che ci sia una precisa volontà politica. I valori dell’unità d’Italia non sono certo ben visti dalla Lega. Sto scrivendo una lettera al ministro per chiedere se hanno intenzione di fare qualcosa». Lettere ne ha già vergate un’altra associazione, il «Comitato Cavour», perché a dispetto della spilorceria pubblica i cavouriani doc si moltiplicano ovunque, dal basso, accomunando nella fede studiosi, politici, cittadini, forse sempre più numerosi in questi tempi di incertezza politica. «Nel marzo 2008 abbiamo mandato una domanda per costituire un Comitato Nazionale per le celebrazioni del bicentenario della nascita, ma giace nei cassetti del ministero. Abbiamo sollecitato con una seconda lettera a febbraio e siamo tuttora in attesa di una decisione». Roma assicura che il conte Camillo non è snobbato. Che la politica non c’entra. Che il ministero finanzia bipartisan istituzioni d’ogni genere, anche quelle che proprio fiancheggiatrici del centro-destra non sono, tipo la fondazione Gramsci. Il problema è decidere quali progetti appoggiare. Pare ce ne fosse uno anche del Grinzane di Soria, prima dello scandalo. «Nessun oblio, non possiamo dimenticarci di un padre della patria - dice il ministro Bondi - Abbiamo previsto un finanziamento di circa 300 mila euro, attendiamo solo la costituzione di una consulta per decidere come e dove spenderli». In attesa di capire come la complicata questione verrà risolta - probabilmente servirebbe un novello saggio e diplomatico Cavour per dirimerla - aleggia il dubbio che qualunque cosa si faccia non basterà. Il patrimonio cavouriano logorato dal tempo - pure l’alluvione del ”94 ci ha messo del suo lasciando scempi nella villa di Santena - ha bisogno di risorse ben più cospicue di quelle finora prospettate. «Con un po’ di pressing sono sicura che i denari arriveranno - dice Manuela Lamberti, consulente della Fondazione Italia 150. E’ lei che ha elaborato i programmi cavouriani per il comune di Santena. «Per rendere davvero agibile al pubblico il preziosissimo patrimonio servono 5-6 milioni di euro. Ma Cavour non trova finanziamenti perché non è raccomandato, non ha più sponsor. A sinistra è considerato troppo liberale, a destra troppo torinese e poco populista». L’unica cosa cavouriana che ancora funziona benissimo sono le pastiglie Leone. Adorava quelle alla violetta. E se le masticava prima di costruire l’Italia unita. Le fanno ancora oggi, buonissime. Ma è un po’ poco per la sua immensa eredità. Stampa Articolo