Valerio Cappelli, Corriere della Sera 13/12/2009, 13 dicembre 2009
ROMA – Al massimo due mesi, e dopo ben 42 anni (la legge 800 è del 1967) in Parlamento sarà proposta la nuova legge che, assegnando grande peso alle Regioni, disciplinerà gli spettacoli dal vivo: musica, prosa, danza, circhi, festival
ROMA – Al massimo due mesi, e dopo ben 42 anni (la legge 800 è del 1967) in Parlamento sarà proposta la nuova legge che, assegnando grande peso alle Regioni, disciplinerà gli spettacoli dal vivo: musica, prosa, danza, circhi, festival. La sorpresa è che le Fondazioni liriche, la spina del settore, sono uscite dalla riforma: saranno regolate da un decreto previsto per la fine di gennaio. Se ne sta occupando direttamente (e in gran segreto), il ministro dei Beni culturali Sandro Bondi e soprattutto il suo capo di Gabinetto Salvatore Nastasi. «Lo abbiamo chiesto noi della Commissione cultura: che dell’opera si occupi il governo, sennò non ne usciamo vivi», dice il deputato Pdl Gabriella Carlucci, che è la prima firmataria e relatrice della legge. Il principio del decreto sul mondo dell’opera è di riposizionarla «in chiave moderna», in una logica aziendale, negando la specificità culturale rivendicata dai sovrintendenti. «Basta con i debiti» che poi devono essere ripianati dallo Stato perché i privati latitano e le risorse sono quelle, «basta con i privilegi », dice il governo. Che comunque cerca una mediazione con i «falchi » capitanati dal ministro Brunetta, pronto al regolamento dei conti. Carlucci anche se lavora alla legge ed è fuori dal decreto qualcosa si lascia scappare: «Gli organici esorbitanti dei teatri lirici impediscono di usare fondi per produrre, gli stipendi mangiano l’80 per cento del budget. Occorre mettere mano al Contratto nazionale, nessuno finirà in mezzo alla strada. Il personale dell’opera in più sarà assorbito dalla pubblica amministrazione » . Il governo intende avocare a sé la nomina dei sovrintendenti, e qui le critiche sul salto all’indietro nel tempo e sulla filiazione politica si faranno sentire. previsto il blocco delle assunzioni e degli integrativi, i danzatori dei corpi di ballo andranno in pensione a 45 anni (ora vanno a 52, all’estero a 40-42). Quanto ai privati, dopo il cinema si estenderanno agli altri settori – lirica compresa – la possibilità di sgravi e agevolazioni fiscali, utili detassati che possono essere reinvestiti. C’è poi il tema incandescente delle «eccellenze»: Scala e Accademia di Santa Cecilia come teatri nazionali dovrebbero uscire dal Fus, il fondo statale, e disporre di risorse governative proprie, avendo la possibilità di fare statuti e contratti. Ma il tema delle «eccellenze» che stava a cuore a Bondi dovrebbe uscire dalla porta del decreto per rientrare dalla finestra di una leggina ad hoc in un secondo momento, quando gli animi saranno meno surriscaldati su quello che i sindacati definiranno forse mobbing e il governo chiama «flessibilità». Salvatore Nastasi è anche commissario al San Carlo di Napoli, uno dei due teatri, con l’Opera di Roma, a cui lavorerà Riccardo Muti, contrario al disegno delle «eccellenze»: «L’Italia non è l’Inghilterra, che si riassume nel Covent Garden di Londra...». Nastasi ci penserà due volte prima di scontentare sia Muti sia il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il quale vuole rilanciare Roma con Muti e dice: «Io penso che non ci saranno leggi speciali». Quanto alla proposta di legge che regola gli altri settori, è suddivisa in 22 articoli. «In passato il male – dice Carlucci – è stato dare soldi a pioggia, tutto a tutti». Però Francesco Agnello, presidente del Cidim (che riunisce 44 istituzioni musicali in tutta Italia) porta le cifre del Fus confrontando il 2009 con il 2003: «In sei anni il fondo segna un meno 4.66 per cento. Nello stesso periodo la cifra a favore dell’opera diminuisce del 7.52 e per noi del 17.72 per cento. Molte associazioni musicali hanno chiuso, sono scese da 274 a 161. Grazie ai tagli». Ora lo Stato – riprende Carlucci’ si limiterà a fissare i principi generali, valorizzando Regioni e autonomie nell’unitarietà dei valori culturali». La titolarità del Fus resta allo Stato: «Saranno le Regioni a individuare obiettivi, progetti sul territorio e risorse su cui interverrà poi lo Stato. Per evitare la guerra civile non si indicheranno percentuali tra Regione e Regione». In altre parole: nell’accordo di programma con lo Stato, le Regioni devono dire a chi dare cosa. E lo Stato assegna la cifra «X». Ancora: assegnato lo status giuridico di piccole e medie imprese per quelle di spettacolo che potranno accedere alle finanziarie regionali e alle Camere di commercio; il welfare dei lavoratori dello Spettacolo, «che finora si sono trovati in una zona grigia senza diritti, non aveva cassa integrazione; un fondo a sostegno dei giovani, autori, artisti o tecnici; la bacheca telematica per incrociare offerte e richieste di lavoro dove si potrà inviare il proprio provino; la figura dell’agente di spettacolo che sarà codificata: ’Troppi imbroglioni in giro’». Carlucci parla di meritocrazia e trasparenza. C’è un neo a cui nemmeno lei sa dare risposta: «L’Italia non usa i fondi europei per la cultura. Centinaia di milioni di euro l’anno inutilizzati». Valerio Cappelli